Se c’è una cosa che l’emergenza
sanitaria di queste settimane ha messo bene in evidenza è la differenza
tra ciò che è veramente indispensabile rispetto a ciò che non lo è. Anche per
la scuola. Tutto a un tratto: niente più lezioni, voti, niente più test
INVALSI, simulazioni o addestramenti, niente più Alternanza Scuola Lavoro,
niente più verifiche. Niente di niente. Dopo una prima sensazione di
straniamento, fin dai giorni che hanno seguito prima la chiusura, poi la sospensione
delle attività didattiche nelle regioni del Nord e in tutta Italia, è stato
presto chiaro quello di cui si sentiva veramente la mancanza: la relazione
umana, tra studenti e insegnanti, tra studenti e studenti. Anche se mediati o
surrogati attraverso tecnologie più o meno efficaci e diffuse, sono stati il
dialogo e l’interazione tra corpi, sguardi e voci ciò che abbiamo cercato e
tentato subito di riprodurre, in tempi di isolamento. “Continuieté pedagogique”, la chiamano in
Francia, “Didattica a Distanza” – con un nuovo e triste acronimo: la DAD
– la chiamano le note ministeriali italiane.
Indipendentemente dalle percentuali dei
(frettolosi) monitoraggi dei recenti resoconti
parlamentari, è evidente a chiunque, in qualsiasi casa, quanto la scuola
italiana si stia mobilitando, ovunque e con ogni mezzo a disposizione. Lo
confermano le ancor più stridenti disuguaglianze di opportunità – non solo di
dotazione e accesso, di mezzi, spazi e sostegno genitoriale, ma anche di
soluzioni e scelte didattiche, orari e impegni, carichi di compiti – che
mai come adesso emergono e paiono inaccettabili. Non tutte le case sono uguali,
e nemmeno tutte le discipline: condividere pc o tablet con un fratello in
cucina è ben altra cosa dal disporre di una postazione autonoma e silenziosa;
videolezioni di filosofia e storia dell’arte sono altro rispetto ad ore di
laboratorio di pittura in un liceo artistico o di cucina in un istituto
professionale. Su tutti questi aspetti, sullo stato di eccezionalità e di
emergenza e sui suoi strascichi sulla nostra futura “normalità”, diverse sono
state le riflessioni di questi giorni (qui, qui, qui, e qui,
ad esempio).
Nell’attesa che il Ministero si assuma
la responsabilità di definire un’ipotesi di chiusura dell’anno scolastico, di
dare indirizzi comuni sulla valutazione degli studenti e indicazioni sulle
modalità con cui verranno svolti i futuri esami di Stato; mentre gli insegnanti
si ingegnano con chat e webcam e gli studenti tentano di riorganizzare il loro
nuovo “tempo di mezzo” della pandemia, i “piazzisti”
dell’istruzione continuano una fiorente attività di propaganda, dalle colonne
dei maggiori quotidiani nazionali.1. La Fondazione Agnelli, il suo direttore
e l’ossessione della formazione docenti
La Fondazione Agnelli schiera
artiglieria pesante e retorica alla “whatever it takes”: una campagna-progetto, dal nome #restoascuola, per “aiutare scuole e
docenti a combattere la battaglia contro la perdita delle conoscenze già acquisite
dai loro studenti”, a cui nessuno tra “tutti coloro che
abbiano a cuore la formazione delle nuove generazioni” potrà sottrarsi.
Insieme alla Fondazione La Stampa – Specchio dei tempi, è stato approntato e
reso disponibile un pacchetto di risorse e materiale online utilizzabili,
previa iscrizione, da parte di tutte le scuole secondarie di I e II grado.
Il direttore Gavosto non cessa di
sottolinearlo – dopo averlo ribadito in più occasioni:
“le analisi dicono
che i docenti italiani impegnati a trasformare la propria didattica in senso
digitale sono ancora una piccola avanguardia. L’emergenza tuttavia sicuramente
farà crescere la consapevolezza che è necessario innovare le pratiche
didattiche con un uso mirato ed efficace delle nuove tecnologie; così molti
docenti finora riluttanti al cambiamento si avvicineranno volenti o
nolenti alla didattica digitale.”
Laddove l’imposizione ideologica finora non abbia
funzionato, ci penserà insomma la necessità della pandemia. Volenti o
nolenti, dice Andrea Gavosto.
D’altra parte, solo pochi giorni prima,
sul portale lavoce.info, lo stesso Gavosto, insieme a Stefano
Molina, ci ricordavano, con analoghi toni che
“la preparazione
professionale dei docenti alla didattica a distanza è in molti casi inadeguata.
[..] È evidente che in futuro la capacità di
insegnare online dovrà diventare un requisito obbligatorio per
tutti i docenti”,
facendo ancora una volta discendere un’evidenza solo
a prima vista incontrovertibile – ma tuttavia priva di ogni fondamento
scientifico – da una necessità apparente, dettata dalla contingenza
dell’emergenza in atto.
Anche in una recente intervista, su Sky
Tg 24 il direttore della Fondazione non si trattiene dal ripeterlo:
“la scuola italiana sconta un certo ritardo
nella didattica online. I nostri docenti non sono mai stati
particolarmente formati […] Un’altra cosa che dovremo imparare dopo
questi giorni è che il fatto di fare didattica a distanza deve far parte della
cassetta degli attrezzi di tutti i docenti per il futuro. [..] in
futuro tutti gli insegnanti dovranno sapere come attivare lezioni a distanza”.
Non c’è occasione, pare – tanto più in
piena crisi sociale e sanitaria – in cui la Fondazione Agnelli non cessi di
rilanciare il suo vecchio cavallo di battaglia: formazione obbligatoria,
contrattualizzata una volta per tutte e – ora – finalmente digitale.
Piegare le residue resistenze sindacali, scosse dall’attuale situazione
della salute pubblica, sarà un gioco da ragazzi.
2. L’INVALSI e le proposte meritocratiche
dell’ex presidente Sestito
Sospese le attività didattiche, sono
sospese anche le prove INVALSI. Dal 5 marzo scorso, sul rinnovato sito
dell’Istituto nazionale di valutazione, un comunicato stampa ci informa che il
calendario previsto per le prove INVALSI di circa 2,5 milioni di studenti
italiani è in attesa di “riformulazione”.
Se la didattica a distanza in qualche
modo, e generosamente, sta procedendo, il reale nodo da sciogliere riguarda la
valutazione degli studenti, in assenza di attività scolastiche ordinarie. Tante
sono le soluzioni “fai da te” finora approntate dalle scuole, supportate da
dubbie delibere di consigli di classe on line: voti in decimi o medie
aritmetiche assegnati ad interrogazioni telematiche o a verifiche con tempi di
consegna prefissati. Tutte scelte e procedure assolutamente fuori dagli
ordinamenti e dalla legittimità, profondamente inique nella loro eterogeneità.
Finora nessuna indicazione, se non una
generica nota ministeriale, che ribadisce “il
dovere alla valutazione da parte del docente, come competenza propria del
profilo professionale, e il diritto alla valutazione dello studente, come
elemento indispensabile di verifica dell’attività svolta”.
E’ di ieri, 30 Marzo, una prima proposta
concreta, avanzata dalle colonne del Corriere della Sera, attraverso
l’autorevole voce dell’ex presidente dell’INVALSI, Paolo Sestito.
L’idea, che coniuga un inedito spirito
pop con il più classico afflato meritocratico, è la seguente.
Sestito concorda con quanto dicevamo
all’inizio di questo post: la didattica a distanza non fa che aumentare i divari territoriali e sociali.
D’altra parte, in questa fase, è impossibile sottrarvisi. Come fare, allora,
per rendere meno eterogenei gli interventi? L’ex direttore della Banca d’Italia
propone di lanciare:
“una grande
campagna di didattica a distanza tramite il mezzo televisivo, che è l’unico che
entra davvero in tutte le case”.
Continua, poi, suggerendo:
“lo stesso mezzo
potrebbe anche fungere da canale per altre iniziative di informazione a favore
della popolazione, in tema di abitudini alimentari sportive, sanitarie, di
fronte all’emergenza sanitaria”.
Una sorta di Rieducational
channel, insomma, a scopi didattici e pedagogici – si intende – di cui
potrebbero beneficiare tutti, in tempi di domicilio coatto. La nuova frontiera
del Life Long Learning.
Una volta risolto il problema di
uguaglianza di opportunità – assicurati i contenuti televisivi uguali per tutti
– si potrebbe poi cominciare a ragionare secondo la logica del merito.
Innanzitutto, riprogrammare l’anno
scolastico venturo, dilatandolo. I primi 2 mesi – a partire dal 1 settembre –
sarebbero dedicati “al recupero e al rafforzamento delle competenze degli
alunni”. Terminato questo periodo, si potrebbe “decidere se un alunno
abbia ancora debiti formativi da recuperare o se debba ritornare nella classe
immediatamente precedente”.
In altri termini, tutti promossi a
giugno, ma solo a condizione di superare una verifica di recupero da fare a
scuola, dopo due mesi di ripasso. Sappiamo bene che le promozioni d’ufficio (“il
6 politico”) non piacciono a chi crede nella meritocrazia.
E per gli esami di Stato? Lapalissiano:
ci penserebbe l’INVALSI.
D’accordo con la sospensione universale
dei test ad una popolazione di milioni di studenti, ma perché togliere anche a
quelli dell’ultima classe del ciclo secondario superiore l’opportunità di
svolgere un test “oggettivo” sulle proprie “competenze”?
Scrive Sestito:
“i test INVALSI
potrebbero essere adoperati su base volontaria dalle singole scuole come
informazione di background in sede di effettuazione, con modalità semplificata
(eventualmente anche online) dell’esame di maturità; eventualmente un
esito oltre una certa soglia dei test INVALSI potrebbe
essere condizione necessaria (ma non sufficiente) per l’ottenimento del
massimo dei voti (il 100).”
Questo risolverebbe, a ben vedere, due
problemi in un colpo solo:
“Previo
accordo col mondo dell’Università, e con eventuali aggiustamenti di
contenuto, il test INVALSI potrebbe essere propedeutico quanto meno come una
sorta di prima fase, nelle esistenti procedure di ammissione ai corsi
universitari”.
Test INVALSI al posto della maturità. E
corsia diretta per le future ammissioni ai vari corsi universitari. Il
Ministero tergiversa nell’emanare un decreto ad hoc che
definisca i profili giuridici della maturità 2020, eppure, ha la soluzione già
in tasca.
Tempi grigi, questi che la scuola sta
vivendo, in piena emergenza coronavirus, in cui ciascuno di noi è impegnato a
“fingere” la propria quotidianità. Tempi in cui c’è chi è pronto a fare della
crisi un’opportunità e dell’emergenza una risorsa di potere. Vigileremo, anche
online.
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