domenica 5 aprile 2020

Scuola e valutazione ai tempi del Covid, tra Fondazione Agnelli e INVALSI - Rossella Latempa



Se c’è una cosa che l’emergenza sanitaria di queste settimane ha messo bene in evidenza  è la differenza tra ciò che è veramente indispensabile rispetto a ciò che non lo è. Anche per la scuola. Tutto a un tratto: niente più lezioni, voti, niente più test INVALSI, simulazioni o addestramenti, niente più Alternanza Scuola Lavoro, niente più verifiche. Niente di niente.  Dopo una prima sensazione di straniamento, fin dai giorni che hanno seguito prima la chiusura, poi la sospensione delle attività didattiche nelle regioni del Nord e in tutta Italia, è stato presto chiaro quello di cui si sentiva veramente la mancanza: la relazione umana, tra studenti e insegnanti, tra studenti e studenti. Anche se mediati o surrogati attraverso tecnologie più o meno efficaci e diffuse, sono stati il dialogo e l’interazione tra corpi, sguardi e voci ciò che abbiamo cercato e tentato subito di riprodurre, in tempi di isolamento. “Continuieté pedagogique”, la chiamano in Francia, “Didattica a Distanza” – con un nuovo e  triste acronimo: la DAD –  la chiamano le note ministeriali italiane.
Indipendentemente dalle percentuali dei (frettolosi) monitoraggi dei recenti resoconti parlamentari, è evidente a chiunque, in qualsiasi casa, quanto la scuola italiana si stia mobilitando, ovunque e con ogni mezzo a disposizione. Lo confermano le ancor più stridenti disuguaglianze di opportunità – non solo di dotazione e accesso, di mezzi, spazi e sostegno genitoriale, ma anche di soluzioni e scelte didattiche, orari e impegni, carichi di compiti  – che mai come adesso emergono e paiono inaccettabili. Non tutte le case sono uguali, e nemmeno tutte le discipline: condividere pc o tablet con un fratello in cucina è ben altra cosa dal disporre di una postazione autonoma e silenziosa; videolezioni di filosofia e storia dell’arte sono altro rispetto ad ore di laboratorio di pittura in un liceo artistico o di cucina in un istituto professionale. Su tutti questi aspetti, sullo stato di eccezionalità e di emergenza e sui suoi strascichi sulla nostra futura “normalità”, diverse sono state le riflessioni di questi giorni (quiqui,  qui, e qui, ad esempio).
Nell’attesa che il Ministero si assuma la responsabilità di definire un’ipotesi di chiusura dell’anno scolastico, di dare indirizzi comuni sulla valutazione degli studenti e indicazioni sulle modalità con cui verranno svolti i futuri esami di Stato; mentre gli insegnanti si ingegnano con chat e webcam e gli studenti tentano di riorganizzare il loro nuovo “tempo di mezzo” della pandemia, i “piazzisti” dell’istruzione continuano una fiorente attività di propaganda, dalle colonne dei maggiori quotidiani nazionali.1. La Fondazione Agnelli, il suo direttore e l’ossessione della formazione docenti
La Fondazione Agnelli schiera artiglieria pesante e retorica alla “whatever it takes”: una campagna-progetto, dal nome #restoascuola,  per “aiutare scuole e docenti a combattere la battaglia contro la perdita delle conoscenze già acquisite dai loro studenti”, a cui nessuno tra   “tutti coloro che abbiano a cuore la formazione delle nuove generazioni” potrà sottrarsi. Insieme alla Fondazione La Stampa – Specchio dei tempi, è stato approntato e reso disponibile un pacchetto di risorse e materiale online utilizzabili, previa iscrizione, da parte di tutte le scuole secondarie di I e II grado.
Il direttore Gavosto non cessa di sottolinearlo – dopo averlo ribadito in più occasioni:
le analisi dicono che i docenti italiani impegnati a trasformare la propria didattica in senso digitale sono ancora una piccola avanguardia. L’emergenza tuttavia sicuramente farà crescere la consapevolezza che è necessario innovare le pratiche didattiche con un uso mirato ed efficace delle nuove tecnologie; così molti docenti finora riluttanti al cambiamento si avvicineranno volenti o nolenti alla didattica digitale.”
Laddove l’imposizione ideologica finora non abbia funzionato, ci penserà insomma la necessità della pandemia. Volenti o nolenti, dice Andrea Gavosto.
D’altra parte, solo pochi giorni prima, sul portale lavoce.info, lo stesso Gavosto, insieme a Stefano Molina, ci ricordavano, con analoghi toni che
la preparazione professionale dei docenti alla didattica a distanza è in molti casi inadeguata. [..] È evidente che in futuro la capacità di insegnare online dovrà diventare un requisito obbligatorio per tutti i docenti”,
facendo ancora una volta discendere un’evidenza solo a prima vista incontrovertibile – ma tuttavia priva di ogni fondamento scientifico – da una necessità apparente, dettata dalla contingenza dell’emergenza in atto.
Anche in una recente intervista, su Sky Tg 24 il direttore della Fondazione non si trattiene dal ripeterlo:
 la scuola italiana sconta un certo ritardo nella didattica online. I nostri docenti non sono mai stati particolarmente formati […] Un’altra cosa che dovremo imparare dopo questi giorni è che il fatto di fare didattica a distanza deve far parte della cassetta degli attrezzi di tutti i docenti per il futuro. [..] in futuro tutti gli insegnanti dovranno sapere come attivare lezioni a distanza”.
Non c’è occasione, pare – tanto più in piena crisi sociale e sanitaria – in cui la Fondazione Agnelli non cessi di rilanciare il suo vecchio cavallo di battaglia: formazione obbligatoria, contrattualizzata una volta per tutte e – ora – finalmente digitale.  Piegare le residue resistenze sindacali, scosse dall’attuale situazione della salute pubblica, sarà un gioco da ragazzi.

2. L’INVALSI e le proposte meritocratiche dell’ex presidente Sestito
Sospese le attività didattiche, sono sospese anche le prove INVALSI. Dal 5 marzo scorso, sul rinnovato sito dell’Istituto nazionale di valutazione, un comunicato stampa ci informa che il calendario previsto per le prove INVALSI di circa 2,5 milioni di studenti italiani è in attesa di “riformulazione”.

Se la didattica a distanza in qualche modo, e generosamente, sta procedendo, il reale nodo da sciogliere riguarda la valutazione degli studenti, in assenza di attività scolastiche ordinarie. Tante sono le soluzioni “fai da te” finora approntate dalle scuole, supportate da dubbie delibere di consigli di classe on line: voti in decimi o medie aritmetiche assegnati ad interrogazioni telematiche o a verifiche con tempi di consegna prefissati. Tutte scelte e procedure assolutamente fuori dagli ordinamenti e dalla legittimità, profondamente inique nella loro eterogeneità.
Finora nessuna indicazione, se non una generica nota ministeriale, che ribadisce  “il dovere alla valutazione da parte del docente, come competenza propria del profilo professionale, e il diritto alla valutazione dello studente, come elemento indispensabile di verifica dell’attività svolta”.
E’ di ieri, 30 Marzo, una prima proposta concreta, avanzata dalle colonne del Corriere della Sera, attraverso l’autorevole voce dell’ex presidente dell’INVALSI, Paolo Sestito.
L’idea, che coniuga un inedito spirito pop con il più classico afflato meritocratico, è la seguente.
Sestito concorda con quanto dicevamo all’inizio di questo post: la didattica a distanza non fa che aumentare i divari territoriali e sociali. D’altra parte, in questa fase, è impossibile sottrarvisi. Come fare, allora, per rendere meno eterogenei gli interventi? L’ex direttore della Banca d’Italia propone di lanciare:
una grande campagna di didattica a distanza tramite il mezzo televisivo, che è l’unico che entra davvero in tutte le case”.
Continua, poi, suggerendo:
lo stesso mezzo potrebbe anche fungere da canale per altre iniziative di informazione a favore della popolazione, in tema di abitudini alimentari sportive, sanitarie, di fronte all’emergenza sanitaria”.
Una sorta di Rieducational channel, insomma, a scopi didattici e pedagogici – si intende – di cui potrebbero beneficiare tutti, in tempi di domicilio coatto. La nuova frontiera del Life Long Learning.
Una volta risolto il problema di uguaglianza di opportunità – assicurati i contenuti televisivi uguali per tutti – si potrebbe poi cominciare a ragionare secondo la logica del merito.
Innanzitutto, riprogrammare l’anno scolastico venturo, dilatandolo. I primi 2 mesi – a partire dal 1 settembre – sarebbero dedicati “al recupero e al rafforzamento delle competenze degli alunni”. Terminato questo periodo, si potrebbe “decidere se un alunno abbia ancora debiti formativi da recuperare o se debba ritornare nella classe immediatamente precedente”.
In altri termini, tutti promossi a giugno, ma solo a condizione di superare una verifica di recupero da fare a scuola, dopo due mesi di ripasso. Sappiamo bene che le promozioni d’ufficio (“il 6 politico”) non piacciono a chi crede nella meritocrazia.
E per gli esami di Stato? Lapalissiano: ci penserebbe l’INVALSI.
D’accordo con la sospensione universale dei test ad una popolazione di milioni di studenti, ma perché togliere anche a  quelli dell’ultima classe del ciclo secondario superiore l’opportunità di svolgere un test “oggettivo” sulle proprie “competenze”?
Scrive Sestito:
i test INVALSI potrebbero essere adoperati su base volontaria dalle singole scuole come informazione di background in sede di effettuazione, con modalità semplificata (eventualmente anche online) dell’esame di maturità; eventualmente un esito oltre una certa soglia dei test INVALSI potrebbe essere condizione necessaria (ma non sufficiente) per l’ottenimento del massimo dei voti (il 100).
Questo risolverebbe, a ben vedere, due problemi in un colpo solo:
Previo accordo col mondo dell’Università, e con eventuali aggiustamenti di contenuto, il test INVALSI potrebbe essere propedeutico quanto meno come una sorta di prima fase, nelle esistenti procedure di ammissione ai corsi universitari”.
Test INVALSI al posto della maturità. E corsia diretta per le future ammissioni ai vari corsi universitari. Il Ministero tergiversa nell’emanare un decreto ad hoc che definisca i profili giuridici della maturità 2020, eppure, ha la soluzione già in tasca.
Tempi grigi, questi che la scuola sta vivendo, in piena emergenza coronavirus, in cui ciascuno di noi è impegnato a “fingere” la propria quotidianità. Tempi in cui c’è chi è pronto a fare della crisi un’opportunità e dell’emergenza una risorsa di potere. Vigileremo, anche online.

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