sabato 11 aprile 2020

REDDITO DI CITTADINANZA E LA REINVENZIONE DEL DENARO - Antonio Martins






Resuscitatemi, in modo che nessuno sia più costretto
a sacrificarsi per una casa, per un buco.
Vladimir Maiakovski

E ciò che poi sarà rivelato ai popoli
non sorprenderà perché esotico
ma perché sarà in qualche modo rimasto celato tutto il tempo
essendo sempre stato l’ovvio.
Caetano Veloso

1.       
In crisi acute il celato – verità a lungo sepolte dall’acritica ripetizione della vita o dall’ideologia – spesso sboccia come l’ovvio. Poche settimane di pandemia di coronavirus sono state sufficienti a dissipare due miti del pensiero economico rozzo. No, i governi non sono limitati a spendere quanto incassano, perché esercitano il potere di emettere moneta (e lo fanno, specialmente per salvare banche). Sì, è possibile offrire agli esseri umani denaro non collegato al lavoro. Oggigiorno anche i governi più retrogradi riconoscono questi fatti. Negli USA Trump parla dell’”assegno da 1.500 dollari” erogato ai più colpiti dalla crisi. In Brasile la Camera Federale dei Deputati ha respinto il 26 marzo la miseria proposta dal presidente Jair Bolsonaro e dal ministro dell’economia Paulo Guedes, (il “voucher della quarantena” da R$ 6,66 al giorno), compiendo un passo piccolo ma molto importante verso un reddito di cittadinanza.
Ma ci sono due problemi principali in tali soluzioni. Primo: sono entrambe limitate nel tempo e scarse di valore, dunque non in grado di garantire una vita dignitosa, in particolare in tempi di pandemia e di collasso dell’attività economica. Secondo: arrivano come la parte più limitata di grandi pacchetti di soccorso che beneficiano i casinò finanziari. In questo senso sono più simili a misure indirette concepite per aiutare le grandi imprese. La popolazione riceverà le risorse proposte e le spenderà immediatamente per acquistare beni e rimborsare parzialmente debiti, in tal modo restando permanentemente dipendente e priva di potere. Nel frattempo gli stati stanno riversando volumi di denaro infinitamente maggiori per salvare speculatori con scommesse elefantiache nei mercati finanziari, esattamente quelli che ci hanno condotto alla crisi attuale, tanto per cominciare. In altri termini: se saranno mantenute le politiche attuali l’occidente emergerà dalla crisi con ancora maggiore disuguaglianza e (peggio!) con un mucchio di maggiore potere nelle mani dell’aristocrazia finanziaria, che trent’anni fa ha sequestrato l’economia e la stessa politica.
Questo testo promuoverà due idee opposte a tale logica: una proposta di immediata applicazione e una provocazione per una riflessione di più lungo termine. Primo: dobbiamo creare un Reddito di Cittadinanza d’Emergenza universale, ugualitario e dignitoso. Sarà versato per integrare – e non per sostituire – redditi normali. Il suo valore sarà sufficiente per proteggere i cittadini dalla crisi sanitaria (consentendo loro di restare a casa) e dalla probabile depressione economica in arrivo (a meno che debbano morire per mancanza di soldi in una società mercantilizzata o perché in bancarotta pochi mesi in anticipo).
Una buona ipotesi iniziale riguardo a questo reddito: un versamento mensile corrispondente circa al PIL pro capite di ciascun paese. In Brasile si tratterebbe di R$ 100 al giorno, o R$ 3.000 mensili [US$ 560; 1 USD = 5,35 BRL] per l’intera popolazione nella prima fase, mentre perdura la pandemia. Il valore può parere esagerato a prima vista; ma nel corso del testo diverrà chiaro che non lo è. Per la grande maggioranza delle famiglie tale reddito sarà ben superiore a quanto ricevono oggi dai datori di lavoro e dalla loro stessa attività (il reddito medio delle famiglie è pari a R$ 5.426,70 ma, a causa della disuguaglianza, il 73 per cento guadagna meno di ciò e il 23,9 per cento meno di due volte il salario minimo). Per una piccola minoranza corrisponderà a poco o niente (l’un per cento più ricco guadagna in media 27.700 R$ al mese, e lo 0,01 per cento 213.600 R$, US$ 39.925!). Oltre a coprire le spese mensili, il Reddito di Base d’Emergenza sarà, perciò, il primo movimento di grande rilevanza per ridurre l’abissale disuguaglianza che macchia il Brasile da 500 anni.
Ma da dove verrà il denaro? Questa è la domanda posta immediatamente. E la risposta dovrebbe essere ugualmente immediata e chiara: sarà creato dal nulla! Non un centesimo sarà tolto dai bilanci della Sanità e dell’Istruzione, o da progetti infrastrutturali, dalle pensioni o dai salari dei dipendenti civili e militari. La Banca Centrale verserà 700 Real Sociali (S$ 700) ogni domenica in conti individuali creati direttamente – senza nessuna mediazione di banche private – per ciascun cittadino brasiliano. Vi si accederà mediante un’applicazione (i meno digitalmente capaci riceveranno banconote stampate come denaro tradizionale) e dovranno essere accettati obbligatoriamente e avranno un potere d’acquisto identico alla moneta ordinaria.
Ma è possibile stampare moneta dal nulla? Questa domanda ci porta alla parte più eccitante – e potenzialmente trasformatrice – della tesi. Quasi tutta la moneta contemporanea è creata dal nulla. La crisi ha reso evidente questa verità, non visibile in tempi normali. Il 12 marzo, quando sono aumentati i tremori dei mercati finanziari, la Banca Centrale statunitense (la Federal Reserve Fed) ha annunciato, senza un’ombra di dibattito al Congresso o presso l’opinione pubblica, il primo grosso intervento di “salvataggio”. Dal nulla, e senza uno iota tolto dal bilancio del paese, sono stati creati 1,5 trilioni di dollari al fine di sostenere le imprese e le banche in crisi.  Da allora banche centrali di tutto il mondo hanno annunciato che produrranno “quantità illimitate di denaro” al fine di salvare gli speculatori e di mantenere aperti i casinò. In Brasile il ministro Paulo Guedes ha annunciato un pacchetto di misure assortite ma, nel complesso, il pacchetto consente ai mercati finanziari di usare R$ 1,2 trilioni, che corrisponderebbero a  R$ 6.000 per ciascun brasiliano. La “via d’uscita” operata dagli stati, al fine di preservare il casinò globale che tiene in ostaggio le economie, consiste nel proteggere (e arricchire ulteriormente) gli stessi speculatori la cui avidità ha alimentato la crisi.
L’alternativa richiede di infrangere un tabu. E’ in gioco nientemeno che la reinvenzione della moneta. Questo articolo mostrerà che la moneta ha perso, in modi sempre più accelerati negli ultimi trent’anni, lo status di “unità di conto”. Questa espressione tecnica designa l’aspetto dei beni comuni incorporato nel denaro. Costituisce il lubrificante necessario che propizia lo svolgimento agile della produzione e della circolazione della ricchezza. Rende attuabile una miriade di relazioni economiche e sociali che, senza di esso, sarebbero ardue e inutilmente complicate: comprare una camicia, vendere un servizio di montaggio video o affittare una casa, ad esempio.
Ma il denaro è, al tempo stesso, “riserva di valore” e, sotto questo aspetto, è uno strumento di disuguaglianza e di alienazione. Consolida, amplifica e moltiplica le differenze di ricchezza. Subordina quelli che non ce l’hanno agli ordini di quelli che lo accumulano. Rende naturale questa sottomissione: se lavoro in una fabbrica di mine antiuomo, coinvolgendomi in tal modo nell’uccisione di bambini in guerra, lo faccio “per i soldi” al fine di sostenere la mia famiglia e me stesso.
Oggi la seconda caratteristica della moneta affossa e soffoca completamente al prima caratteristica, quella di Bene Comune. La necessità di denaro ci condanna a un lavoro sempre più folle. I debiti condizionano tutti i nostri piani. Come si vedrà ciò non ha luogo a causa di interventi come quello della Fed. Oggi sono le banche private che creano regolarmente – dal nulla – quasi tutto il denaro del mondo. E’ l’aristocrazia finanziaria che lo controlla e lo concentra. Demolire questa enorme distorsione richiederà la trasformazione della totalità dei sistemi monetari e finanziari. La Moneta-Bene-Comune e le Banche Pubbliche saranno la chiave. Ma il Reddito di Cittadinanza d’Emergenza può offrire la scintilla. La crisi sanitaria ed economica collegata al coronavirus strapperà migliaia di vite (nella maggior parte dei casi senza necessità) e causerà una sofferenza immensa. Ma può anche generare un nuovo ordine sociale.

1.       
Da un punto di vista immediato, il Reddito di Cittadinanza d’Emergenza è, assieme alla quarantena, la misura più essenziale per evitare quella che l’ONU già chiama la “pandemia apocalittica”. Le due misure sono complementari e quasi gemelle. La distanza sociale è oggi la sola arma disponibile per ridurre il numero dei contagi mentre “appiattiamo la curva” della propagazione del COVID-19 ed evitiamo il collasso dei servizi ospedalieri che sta devastando l’Italia, e il crollo ancor più catastrofico in paesi quali gli Stati Uniti e il Brasile. Ma in economie di mercato, contrassegnate dall’individualismo e dalla competizione, brulicanti di popolazioni impoverite, gettate nei debiti e nella precarietà dal neoliberismo, restare a casa può condannare a un’altra forma di morte: cadere nell’abisso dell’esclusione. Una parte considerevole della popolazione non ha risparmi e incontrerà difficoltà anche a cercare di mangiare, di tenersi un tetto sopra la testa o a rispettare le indispensabili misure di precauzione contro la malattia. Molti altri, anche se non minacciati, vedranno crollare il loro tenore di vita, cessando di onorare i propri impegni finanziari e finendo ancora più impoveriti e sottoposti ai debiti e alle banche quando tornerà la vita sociale. Governi criminali – come sta già facendo Bolsonaro in Brasile – sfrutteranno questa fragilità per incitare i disperati contro la quarantena e altre azioni protettive.
Il Reddito di Cittadinanza d’Emergenza può far fronte a tali sfide, a condizione che soddisfi determinate condizioni. Innanzitutto il suo importo deve essere realmente rilevante, cioè sufficiente a garantire una vita frugale, ma dignitosa. Un buon riferimento è il PIL pro capite, la base formulata in questo testo, o 100 R$ al giorno per persona. I 600 R$ al mese approvati dal Congresso brasiliano sono molto lontani da questo. Autisti, addetti alle pulizie, baristi o muratori guadagnano, netti, circa 100 R$ al giorno nelle regioni metropolitane. Le loro spese sono compatibili con tale reddito. Sarebbe iniquo se il loro tenore di vita, per nulla lussuoso, dovesse crollare mentre l’élite finanziaria festeggia e approfitta delle risorse dello stato. Come nota in calce, val la pena di ricordare che i banchieri brasiliani stanno approfittando delle difficoltà della maggioranza per imporre, dopo il coronavirus, tassi d’interesse ancora più elevati e condizioni ancor più dure  per il rinnovo dei debiti.
La seconda condizione è l’universalità: il Reddito di Cittadinanza deve essere versato a ogni cittadino. Da un punto di vista concettuale non può essere considerato un “aiuto ai poveri”, un palliativo o una consolazione per quelli fuori dal mercato, proprio come l’istruzione e la sanità pubblica non possono essere mere opzioni “per quelli che non possono permettersi” una scuola privata o un ospedale privato. Al contrario, non è questione di tornare all’obsoleta idea di “beneficienza” ma deve significare il superamento delle relazioni mercantili. In un mondo in cui le macchine eseguono sempre più compiti in passato obbligatori per gli umani, il Reddito di Cittadinanza è uno dei modi per garantire che tutti beneficino di una parte della ricchezza sociale prodotta nel pianeta.
Da un punto di vista pratico, il Reddito di Cittadinanza non può escludere tutti quelli che, ugualmente partecipanti alla lotta contro il virus, hanno un lavoro o un reddito formali in cui guadagnano più di tre volte il salario minimo. Questo è ancora più vero per i milioni le cui occupazioni esigono che continuino a lavorare. Professionisti della sanità, più i lavoratori che producono, tra l’altro, respiratori artificiali, sapone e gel all’alcol, l’olio e il burro per i pasti preparati in casa, la birra. I contadini che ci danno da mangiare. Le commesse che mantengono aperti e attivi supermercati e farmacie. Gli operatori che assicurano che tutti dispongano di elettricità e di internet. Quelli che mantengono in movimento i trasporti pubblici. I giornalisti che scrivono i testi che leggete durante la vostra quarantena…
Deve essere chiaro: sì, in tali condizioni il Reddito di Cittadinanza sovverte le forme consuete di reddito e distribuzione della ricchezza che la nostra società è abituata ad accettare acriticamente, come se fossero le sole possibili. Se lo stato di calamità pubblica dovesse durare 100 giorni, in Brasile, sarebbero distribuiti circa 2,1 trilioni di Reals Sociali in modo ugualitario, ed esercitare lo stesso potere monetario del Real attuale. Questo darebbe alla popolazione un potere economico inaudito, individuale e collettivo. Molti rimborseranno i loro debiti, il che li renderà meno dipendenti dalla dittatura finanziaria, e renderà le banche meno potenti e predatrici. Si immagini che, se si devono 10.000 R$ di scoperto e si stanno pagando rate mensili di 1.000 R$ solo per non affondare ancora di più nel debito, si potrebbe rimborsare lo scoperto (e liberarsi dalle spese che si mangiano i vostri salari) con i Real Sociali che si ricevono. Altri programmeranno l’acquisto di un bene o servizio a lungo desiderato: un piccolo restauro in casa, un nuovo frigorifero o divano, un viaggio. Alcuni, unendosi, avranno la somma necessaria per avviare un’attività. Quanto al ritorno della vita alla “normalità” non si troverebbe una moltitudine di individui in bancarotta assoggettati a banche e imprese, ma invece soggetti sociali con una certa forza economica.
Insieme, i 210 milioni di brasiliani deterranno, in cento giorni, un totale di 2,1 trilioni di S$ (o R$). Sarà un buon inizio. In confronto, lo 0,1 per cento più ricco in Brasile avrà a quel punto, in titoli governativi, immediatamente convertibili in liquidità, 4,4 trilioni di R$, più del doppio. Ma le 200.000 persone che costituiscono lo 0,1 per cento (e le cui entrate medie sono di 213.600 R$ al mese), fanno parte di (e sono economicamente attive in) un mondo diverso. I 2,1 trilioni di S$ distribuiti ai 210 milioni di brasiliani cambieranno il volto del paese. Gli aeroporti saranno decisamente affollati come stazioni delle corriere. Ristoranti popolari spunteranno come funghi dopo la pioggia, contrastando la monotonia gastronomica delle regioni centrali, dove prosperano solo le catene internazionali. Nessuno sarà costretto a lavorare per una piatto di cibo: ci sarà, certamente, un aumento del salario medio brasiliano, oggi circa del 30 per inferiore a quello cinese. La classica logica della segregazione brasiliana tra ville di lusso e gabbie di schiavi sarà fatta a pezzi.
Deve essere anche perfettamente chiaro che, sì, il Reddito di Cittadinanza sovvertirà un’altra idea, ancora più radicata nell’ideologia del senso comune. Il denaro (cioè la partecipazione alla ricchezza prodotta socialmente) può essere associato a molte azioni e meriti, oltre a quelli riconosciuti dalla logica mercantile. Alcuni sono campo, quasi infallibilmente, delle donne. Allevare i bambini, pulire la casa, preparare il cibo per l’intera famiglia. Altri sono sottovalutati perché non generano direttamente valore. Suonare uno strumento in grigie stazioni della metropolitana, raccontare storie nelle piazze, curare giardini pubblici, offrire pasti in strada a quelli che altrimenti soffrirebbero la fame, scrivere un romanzo o un libro di poesie, tenere corsi di lingue straniere o di cucina… gratis. Il giornalismo, fondato sulla conoscenza di un popolo indigeno, l’esperienza di usare una pianta per curare una malattia ignota. Intrattenere i bambini in un ospedale. Tutti questi e molti altri sono motivi che giustificano il Reddito di Cittadinanza.
Ma come sarà la società in grado di remunerare con solo 100 R$ al mese [sic – probabilmente ‘al giorno’ – n.d.t.] (una cifra prossima al PIL pro capite) attività che non generano valore mercantile? Ora è il momento di introdurre il fattore forse più rilevante in questo dibattito, dal punto di vista dell’immaginario sociale. A causa del suo relativo carattere espressivo, il Reddito di Cittadinanza ci costringe a riflettere sui meccanismi che producono il denaro nella nostra società; e sugli artifici usati dall’aristocrazia finanziaria (con la complicità degli stati) nell’approfittare delle crisi per concentrare ancora più ricchezza, e produrre ancora più disuguaglianza e povertà.

III.
I dati iniziali della crisi economica sono tanto terrificanti quanto il numero dei morti o le circostanze simili  alla “scelta di Sophie” che affliggono medici nel nord dell’Italia. Negli USA, forse il primo paese a pubblicare dati sulla disoccupazione post crisi, il numero dei senza lavoro è salito alle stelle. Tre settimane fa 200.000 persone avevano chiesto l’indennità di disoccupazione. Improvvisamente, nei sette giorni prima di giovedì 2 aprile, tale numero è esploso a 6,6 milioni, quasi quindici volte tanto. Analisi economiche affidabili prevedono, per i paesi occidentali, tassi di disoccupazione tra il 20 e il 50 per cento fino alla fine dell’anno. Dal punto di vista finanziario la realtà è ugualmente spaventosa. Le banche, valuta un test recente, sono sprofondate in trilioni di dollari di debiti. Buona parte di essi non sarà rimborsata.
Ma c’è un trucco ideologico qui. I media commerciali attribuiscono, acriticamente, questo collasso al… coronavirus! E’ vero? La logica elementare e i fatti suggeriscono che non lo sia.
Quando le autorità agiscono correttamente la quarantena è breve: dura al massimo due mesi. Si consideri il caso di Wuhan, in Cina, il luogo in cui l’epidemia è scoppiata a sorpresa. L’isolamento radicale è stato decretato il 23 gennaio. Il numero dei casi e delle morti ha cominciato a diminuire già il 5 febbraio (tredici giorni dopo) e da allora è sceso bruscamente. Così il 1° marzo il primo dei due ospedali costruiti in fretta per affrontare la malattia è stato chiuso. Dal 18 marzo (esattamente 55 giorni dopo l’inizio dell’isolamento) non è stato registrato nemmeno un solo caso di trasmissione.
Due mesi, anche se lunghi da passare, sono un periodo breve nell’esistenza totale delle persone e, ancor di più, in quella delle economie. In Brasile la vita media adulta dura 700 mesi (840 in Giappone…). In società non devastate dall’estremo individualismo, la quarantena – esclusa la sofferenza per la pandemia – potrebbe essere un’occasione per rallentare, riflettere, ritrovarsi con sé stessi e con i problemi e le bellezze del mondo. La produzione di beni e servizi diminuirà certo bruscamente. Ma riprenderà abbastanza presto, nella maggior parte dei casi con risarcimenti. Un frigorifero che era necessario e il cui acquisto era stato rimandato a causa della quarantena, sarebbe in ogni caso acquistato dopo. Un viaggio sarebbe riprogrammato. I dipendenti assunti continueranno a essere necessari. Perché licenziarli? Qual è il motivo del dramma?
La risposta sta in qualcosa che l’analisi convenzionale ora cerca di nascondere. La crisi economica non è una conseguenza della pandemia. Il minuscolo coronavirus è stato solo l’innesco che ha fatto detonare distorsioni molto più profonde. Un castello di carte è crollato. Con esso sono caduti trilioni.
Due testi pubblicati su Outras Palavras [1 e 2], basati su un articolo apparso sul The Economist e sul Financial Times spiegano in dettaglio questo movimento. L’intera storia non può essere riprodotta qui. Questo è un riassunto sintetico della catena del contagio: a) i mercati finanziaria hanno recuperato, una volta evaporata la crisi del 2008, l’”esuberanza irrazionale” che è stata un caratteristica dell’intero periodo neoliberista. Le banche sono state inondate di tonnellate di denaro, emesso da stati in base alla scaltra logica della ‘ricaduta dall’alto’, secondo la quale il denaro versato al vertice della piramide sociale colerà giù fino a raggiungere la base; b) al fine di continuare a lucrare irresponsabilmente, le grandi banche globali hanno tale denaro senza criterio. Con l’esplodere della pandemia, il volume del credito concesso dalle banche è stato maggiore del picco del 2008. E i grandi beneficiari sono stati, questa volta, le imprese non finanziarie più grandi di portata globale. Parte di esse ha ricevuto fondi anche una volta tecnicamente in bancarotta; c) la crisi ha svelato la follia. Grandi società con redditi in diminuzione (nell’aviazione civile, nei settori automobilistico e alberghiero, ad esempio) probabilmente non saranno in grado di rimborsare crediti irresponsabili offerti loro dalle banche. La presa di coscienza ha anche causato il collasso dei prezzi delle loro azioni in borsa; d) le prossime a essere colpite saranno le stesse mega banche. Diverranno insolventi, se un numero sufficiente di aziende debitrici finiranno in arretrato nei loro pagamenti.
L’accumulazione di montagne di credito che fanno funzionare il capitalismo finanziarizzato non può essere spiegato in dettaglio nei limiti di questo testo. Al fine di comprenderlo è raccomandato un libro, Just Money, dell’economista britannica Ann Pettifor.  Nel suo libro la Pettifor rivela come il denaro è creato nel capitalismo neoliberale.  Contrariamente a quanto suggeriscono i miti fondativi, non emerge dal lavoro svolto o da qualcosa di prodotto. Il denaro non è ancorato a un bene raro e presumibilmente prezioso, come l’oro. Dagli anni Trenta, la moneta è creata dal nulla da stati e banche. Nell’era keynesiana il denaro era amministrato, in occidente, da governi che lo usavano per rendere realizzabile la grande invenzione della civiltà: lo stato sociale. Dagli anni Ottanta in poi, il neoliberismo si è appropriato delle simboliche macchine da stampa del denaro. Sono le banche commerciali, oggi, che creano quasi tutto il denaro disponibile. Cercando di accrescere incessantemente i profitti, prestano una quantità di denaro molte volte maggiore di quanto ne detengano in deposito. Questa pratica è chiamata “leva”. Un esempio eloquente: il 23 marzo, con un tratto di penna, la banca centrale brasiliana ha consentito l’aumento della leva autorizzando le banche commerciali a creare denaro dal nulla e a prestarlo, al ritmo di 1,2 trilioni di reals! E questo senza dibattiti di alcun genere nella società o presso il Congresso.

IV.
Questo è il casinò che si sta sgretolando davanti ai nostri occhi, inceppato dalla chiave inglese gettata dal coronavirus. In condizioni normali una fermata delle attività produttive, limitata nel tempo, avrebbe determinato conseguenze molto ridotte. Un sistema finanziario sano finanzierebbe le perdite dei cittadini e delle imprese e consentirebbe loro di rimborsare il debito puntualmente, con interessi remunerativi ma bassi Ma l’economia mondiale odierna è assoggettata a una macchina speculativa globale, a un mercato in cui i volumi negoziati ogni giorno sono venti volte maggiori dell’importo che il commercio mondiale muove in un anno. Questo è il motivo per il quale il soffio più deboli può abbattere l’intero castello di carte. Questo è ciò che è accaduto con il coronavirus.
Il dramma, sia sanitario sia umano, è incomprensibile. Ma un sistema eretto di una pila gigantesca di interessi egoistici è incapace di autoriforma. E’ per questo che tutte le azioni per “combattere la crisi” intraprese da governi occidentali presentano una componente centrale: salvare le banche e l’aristocrazia finanziaria. L’ordine del giorno è: “Qualsiasi cosa costi”. La maggior parte dei 5 trilioni di dollari “contro il coronavirus” stanziati con grande fragore il 27 marzo in una riunione del G-20, è rivolta a irrigare i casinò. Grandi imprese, indebitate e insolventi, non saranno autorizzate a fallire. Banche globali ancor meno. L’esperienza del 2008 ci ha insegnato a programmare qualcosa di molto più grande. La via d’uscita per il neoliberismo consiste nel creare dal nulla qualsiasi importo sembri necessario. Il fine consiste nel continuare a far girare la ruota della speculazione, la ruota che ha creato la crisi precedente, che alimenta quella attuale e che genererà quelle future.
Alla fine della crisi, macerie e disuguaglianza sono tutto ciò che rimane. Nel 2008 le imprese hanno usato il denaro offerto dagli stati per “modernizzarsi” e licenziare en masse. Una volta passata la crisi, lo scaricabarile è finito nel grembo delle società, costrette a drastiche politiche di riduzione dei servizi pubblici e dei diritti sociali. Cosa succederà ora, se dopo una settimana ci sono due milioni di disoccupati, solo negli USA?

V.
In tutto il mondo è oggi in corso una rivoluzione – anche se silenziosa – del pensiero postcapitalista. Quelli che restano incatenati a forme di lotta di secoli passati stanno perdendo terreno. Un po’ alla volta, emergono nuove prospettive, che stabiliscono un dialogo con soggetti sociali generati dalle nuove configurazioni del sistema. Il vecchio proletariato, che vendeva il lavoro direttamente a un padrone e che era concentrato in grandi unità manifatturiere, ha perso la condizione di “soggetto universale”, quelli che secondo Marx, potevano essere liberi solo quando, al tempo stesso, avessero liberato la società nel suo complesso. Un po’ alla volta emerge un precariato. Il suo centro non sono più le fabbriche, ma le metropoli. E’ disperso. Le sue richieste sono molto meno omogenee. C’è un progetto comune, per quanto celato e largamente non identificato in mezzo a tali richieste. Il precariato desidera, così come il suo fratello maggiore, che la ricchezza prodotta socialmente sia condivisa tra tutti. In questo senso c’è una linea che collega una ragazza che espone il suo corpo al coronavirus mentre consegna pasti in strada fino a Marx, Bakunin, Kropotsky o Rosa Luxembourg.
C’è una vasta gamma di progetti in gestazione per realizzare l’idea nelle condizioni del ventunesimo secolo. Costruire e garantire un Bene Comune. Il New Deal Verde, che articola il sociale ai programmi ambientali mentre propone una grande riduzione delle emissioni di CO2, ottenuta con intensi investimenti in infrastrutture pulite (fattorie eoliche e solari, ferrovie, pulizia dei fiumi, servizi fognari, ecc. ecc.) e la dignitosa garanzia di lavoro a tutti coloro che lo desiderano. Nel nostro contesto attuale, il Reddito di Cittadinanza di Base giganteggia tra le proposte.
Per noi può essere tanto significativo quanto i turni di otto ore lo sono stati cento anni fa per le maggioranze e per la lotta per superare il capitalismo. Stabilisce uno scopo comune e molto concreto per un vasto spettro di lotte del precariato. Anche se oggi esse hanno un senso comune, tali lotte sono eterogenee ed entrano in dialogo solo con difficoltà. (Si pensi, ad esempio, alla richiesta di diritti del lavoro da parte di un autista di Uber, e alla richiesta di un popolo indigeno di essere ricompensato finanziariamente per lo sviluppo di un farmaco basato sul suo sapere ancestrale).
Il Reddito di Cittadinanza sta fiorendo oggi, inoltre, perché coglie il sistema sbilanciato. Due grandi crisi economiche – nel 2008 e quella che si sta aprendo oggi – rendono chiaro che è possibile creare denaro (e, perciò, ridistribuire ricchezza) dal nulla. Di fronte a una pandemia sarà possibile consentire che questo sia fatto per favorire solo lo 0,1 per cento? Se è rimasta una qualche democrazia nella politica contemporanea, la risposta è no. La crisi può ancora una volta, così come tante volte in passato, essere la spinta che ci risveglierà dai sogni e dalla letargia.

Traduzione di Giuseppe Volpe)


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