Resuscitatemi, in modo che nessuno sia più costretto
a sacrificarsi per una casa, per un buco.
Vladimir Maiakovski
E ciò che poi sarà rivelato ai popoli
non sorprenderà perché esotico
ma perché sarà in qualche modo rimasto celato tutto il
tempo
essendo sempre stato l’ovvio.
Caetano Veloso
1.
In crisi acute il celato – verità a lungo sepolte dall’acritica ripetizione
della vita o dall’ideologia – spesso sboccia come l’ovvio. Poche settimane di
pandemia di coronavirus sono state sufficienti a dissipare due miti del
pensiero economico rozzo. No, i governi non sono limitati a spendere quanto
incassano, perché esercitano il potere di emettere moneta (e lo fanno,
specialmente per salvare banche). Sì, è possibile offrire agli esseri umani
denaro non collegato al lavoro. Oggigiorno anche i governi più retrogradi
riconoscono questi fatti. Negli USA Trump parla dell’”assegno da 1.500 dollari”
erogato ai più colpiti dalla crisi. In Brasile la Camera Federale dei Deputati
ha respinto il 26 marzo la miseria proposta dal presidente Jair Bolsonaro e dal
ministro dell’economia Paulo Guedes, (il “voucher della quarantena” da R$ 6,66
al giorno), compiendo un passo piccolo ma molto importante verso un reddito di
cittadinanza.
Ma ci sono due problemi principali in tali soluzioni. Primo: sono entrambe
limitate nel tempo e scarse di valore, dunque non in grado di garantire una
vita dignitosa, in particolare in tempi di pandemia e di collasso dell’attività
economica. Secondo: arrivano come la parte più limitata di grandi pacchetti di
soccorso che beneficiano i casinò finanziari. In questo senso sono più simili a
misure indirette concepite per aiutare le grandi imprese. La popolazione
riceverà le risorse proposte e le spenderà immediatamente per acquistare beni e
rimborsare parzialmente debiti, in tal modo restando permanentemente dipendente
e priva di potere. Nel frattempo gli stati stanno riversando volumi di denaro
infinitamente maggiori per salvare speculatori con scommesse elefantiache nei
mercati finanziari, esattamente quelli che ci hanno condotto alla crisi
attuale, tanto per cominciare. In altri termini: se saranno mantenute le
politiche attuali l’occidente emergerà dalla crisi con ancora maggiore
disuguaglianza e (peggio!) con un mucchio di maggiore potere nelle mani
dell’aristocrazia finanziaria, che trent’anni fa ha sequestrato l’economia e la
stessa politica.
Questo testo promuoverà due idee opposte a tale logica: una proposta di
immediata applicazione e una provocazione per una riflessione di più lungo
termine. Primo: dobbiamo creare un Reddito di Cittadinanza d’Emergenza
universale, ugualitario e dignitoso. Sarà versato per integrare – e non per
sostituire – redditi normali. Il suo valore sarà sufficiente per proteggere i
cittadini dalla crisi sanitaria (consentendo loro di restare a casa) e dalla
probabile depressione economica in arrivo (a meno che debbano morire per
mancanza di soldi in una società mercantilizzata o perché in bancarotta pochi
mesi in anticipo).
Una buona ipotesi iniziale riguardo a questo reddito: un versamento mensile
corrispondente circa al PIL pro capite di ciascun paese. In Brasile si
tratterebbe di R$ 100 al giorno, o R$ 3.000 mensili [US$ 560; 1 USD = 5,35 BRL]
per l’intera popolazione nella prima fase, mentre perdura la pandemia. Il
valore può parere esagerato a prima vista; ma nel corso del testo diverrà
chiaro che non lo è. Per la grande maggioranza delle famiglie tale reddito sarà
ben superiore a quanto ricevono oggi dai datori di lavoro e dalla loro stessa
attività (il reddito medio delle famiglie è pari a R$ 5.426,70 ma, a causa
della disuguaglianza, il 73 per cento guadagna meno di ciò e il 23,9 per cento
meno di due volte il salario minimo). Per una piccola minoranza corrisponderà a
poco o niente (l’un per cento più ricco guadagna in media 27.700 R$ al mese, e
lo 0,01 per cento 213.600 R$, US$ 39.925!). Oltre a coprire le spese mensili,
il Reddito di Base d’Emergenza sarà, perciò, il primo movimento di grande
rilevanza per ridurre l’abissale disuguaglianza che macchia il Brasile da 500
anni.
Ma da dove verrà il denaro? Questa è la domanda posta immediatamente. E la
risposta dovrebbe essere ugualmente immediata e chiara: sarà creato dal
nulla! Non un centesimo sarà tolto dai bilanci della Sanità e
dell’Istruzione, o da progetti infrastrutturali, dalle pensioni o dai salari
dei dipendenti civili e militari. La Banca Centrale verserà 700 Real Sociali
(S$ 700) ogni domenica in conti individuali creati direttamente – senza nessuna
mediazione di banche private – per ciascun cittadino brasiliano. Vi si accederà
mediante un’applicazione (i meno digitalmente capaci riceveranno banconote
stampate come denaro tradizionale) e dovranno essere accettati
obbligatoriamente e avranno un potere d’acquisto identico alla moneta
ordinaria.
Ma è possibile stampare moneta dal nulla? Questa domanda ci porta alla
parte più eccitante – e potenzialmente trasformatrice – della tesi. Quasi tutta
la moneta contemporanea è creata dal nulla. La crisi ha reso evidente questa
verità, non visibile in tempi normali. Il 12 marzo, quando sono aumentati i
tremori dei mercati finanziari, la Banca Centrale statunitense (la Federal
Reserve o Fed) ha annunciato, senza un’ombra di dibattito
al Congresso o presso l’opinione pubblica, il primo grosso intervento di
“salvataggio”. Dal nulla, e senza uno iota tolto dal bilancio del paese, sono
stati creati 1,5 trilioni di
dollari al fine di sostenere le imprese e le banche in
crisi. Da allora banche centrali di tutto il mondo hanno annunciato che
produrranno “quantità
illimitate di denaro” al fine di salvare gli speculatori e di
mantenere aperti i casinò. In Brasile il ministro Paulo Guedes ha annunciato un
pacchetto di misure assortite ma, nel complesso, il pacchetto consente ai
mercati finanziari di usare R$ 1,2 trilioni,
che corrisponderebbero a R$ 6.000 per ciascun brasiliano. La “via
d’uscita” operata dagli stati, al fine di preservare il casinò globale che
tiene in ostaggio le economie, consiste nel proteggere (e arricchire
ulteriormente) gli stessi speculatori la cui avidità ha alimentato la crisi.
L’alternativa richiede di infrangere un tabu. E’ in gioco nientemeno che la
reinvenzione della moneta. Questo articolo mostrerà che la moneta ha perso, in
modi sempre più accelerati negli ultimi trent’anni, lo status di “unità di
conto”. Questa espressione tecnica designa l’aspetto dei beni comuni
incorporato nel denaro. Costituisce il lubrificante necessario che propizia lo
svolgimento agile della produzione e della circolazione della ricchezza. Rende
attuabile una miriade di relazioni economiche e sociali che, senza di esso,
sarebbero ardue e inutilmente complicate: comprare una camicia, vendere un
servizio di montaggio video o affittare una casa, ad esempio.
Ma il denaro è, al tempo stesso, “riserva di valore” e, sotto questo
aspetto, è uno strumento di disuguaglianza e di alienazione. Consolida,
amplifica e moltiplica le differenze di ricchezza. Subordina quelli che non ce
l’hanno agli ordini di quelli che lo accumulano. Rende naturale questa
sottomissione: se lavoro in una fabbrica di mine antiuomo, coinvolgendomi in
tal modo nell’uccisione di bambini in guerra, lo faccio “per i soldi” al fine
di sostenere la mia famiglia e me stesso.
Oggi la seconda caratteristica della moneta affossa e soffoca completamente
al prima caratteristica, quella di Bene Comune. La necessità di denaro ci
condanna a un lavoro sempre più folle. I debiti condizionano tutti i nostri
piani. Come si vedrà ciò non ha luogo a causa di interventi come quello della
Fed. Oggi sono le banche private che creano regolarmente – dal nulla – quasi
tutto il denaro del mondo. E’ l’aristocrazia finanziaria che lo controlla e lo
concentra. Demolire questa enorme distorsione richiederà la trasformazione
della totalità dei sistemi monetari e finanziari. La Moneta-Bene-Comune e le
Banche Pubbliche saranno la chiave. Ma il Reddito di Cittadinanza d’Emergenza
può offrire la scintilla. La crisi sanitaria ed economica collegata al coronavirus
strapperà migliaia di vite (nella maggior parte dei casi senza necessità) e
causerà una sofferenza immensa. Ma può anche generare un nuovo ordine sociale.
1.
Da un punto di vista immediato, il Reddito di Cittadinanza d’Emergenza è,
assieme alla quarantena, la misura più essenziale per evitare quella che l’ONU già chiama la
“pandemia apocalittica”. Le due misure sono complementari e quasi gemelle. La
distanza sociale è oggi la sola arma disponibile per ridurre il numero dei
contagi mentre “appiattiamo la curva” della propagazione del COVID-19 ed
evitiamo il collasso dei servizi ospedalieri che sta devastando l’Italia, e il
crollo ancor più catastrofico in paesi quali gli Stati Uniti e
il Brasile. Ma in
economie di mercato, contrassegnate dall’individualismo e dalla competizione,
brulicanti di popolazioni impoverite, gettate nei debiti e nella precarietà dal
neoliberismo, restare a casa può condannare a un’altra forma di morte: cadere
nell’abisso dell’esclusione. Una parte considerevole della popolazione non ha
risparmi e incontrerà difficoltà anche a cercare di mangiare, di tenersi un
tetto sopra la testa o a rispettare le indispensabili misure di precauzione
contro la malattia. Molti altri, anche se non minacciati, vedranno crollare il
loro tenore di vita, cessando di onorare i propri impegni finanziari e finendo
ancora più impoveriti e sottoposti ai debiti e alle banche quando tornerà la
vita sociale. Governi criminali – come sta già facendo Bolsonaro in Brasile –
sfrutteranno questa fragilità per incitare i disperati contro la quarantena e
altre azioni protettive.
Il Reddito di Cittadinanza d’Emergenza può far fronte a tali sfide, a
condizione che soddisfi determinate condizioni. Innanzitutto il suo importo
deve essere realmente rilevante, cioè sufficiente a garantire una vita frugale,
ma dignitosa. Un buon riferimento è il PIL pro capite, la base formulata in
questo testo, o 100 R$ al giorno per persona. I 600 R$ al mese approvati dal
Congresso brasiliano sono molto lontani da questo. Autisti, addetti alle
pulizie, baristi o muratori guadagnano, netti, circa 100 R$ al giorno nelle
regioni metropolitane. Le loro spese sono compatibili con tale reddito. Sarebbe
iniquo se il loro tenore di vita, per nulla lussuoso, dovesse crollare mentre
l’élite finanziaria festeggia e approfitta delle risorse dello stato. Come nota
in calce, val la pena di ricordare che i banchieri brasiliani stanno
approfittando delle difficoltà della maggioranza per imporre,
dopo il coronavirus, tassi d’interesse ancora più elevati e condizioni ancor
più dure per il rinnovo dei debiti.
La seconda condizione è l’universalità: il Reddito di Cittadinanza deve
essere versato a ogni cittadino. Da un punto di vista concettuale non può
essere considerato un “aiuto ai poveri”, un palliativo o una consolazione per
quelli fuori dal mercato, proprio come l’istruzione e la sanità pubblica non
possono essere mere opzioni “per quelli che non possono permettersi” una scuola
privata o un ospedale privato. Al contrario, non è questione di tornare
all’obsoleta idea di “beneficienza” ma deve significare il superamento delle
relazioni mercantili. In un mondo in cui le macchine eseguono sempre più
compiti in passato obbligatori per gli umani, il Reddito di Cittadinanza è uno
dei modi per garantire che tutti beneficino di una parte della ricchezza
sociale prodotta nel pianeta.
Da un punto di vista pratico, il Reddito di Cittadinanza non può escludere
tutti quelli che, ugualmente partecipanti alla lotta contro il virus, hanno un
lavoro o un reddito formali in cui guadagnano più di tre volte
il salario minimo. Questo è ancora più vero per i milioni le cui occupazioni
esigono che continuino a lavorare. Professionisti della sanità, più i
lavoratori che producono, tra l’altro, respiratori artificiali, sapone e gel
all’alcol, l’olio e il burro per i pasti preparati in casa, la birra. I
contadini che ci danno da mangiare. Le commesse che mantengono aperti e attivi
supermercati e farmacie. Gli operatori che assicurano che tutti dispongano di
elettricità e di internet. Quelli che mantengono in movimento i trasporti
pubblici. I giornalisti che scrivono i testi che leggete durante la vostra
quarantena…
Deve essere chiaro: sì, in tali condizioni il Reddito di Cittadinanza
sovverte le forme consuete di reddito e distribuzione della ricchezza che la
nostra società è abituata ad accettare acriticamente, come se fossero le sole
possibili. Se lo stato di calamità pubblica dovesse durare 100 giorni, in
Brasile, sarebbero distribuiti circa 2,1 trilioni di Reals Sociali in modo
ugualitario, ed esercitare lo stesso potere monetario del Real attuale. Questo
darebbe alla popolazione un potere economico inaudito, individuale e
collettivo. Molti rimborseranno i loro debiti, il che li renderà meno
dipendenti dalla dittatura finanziaria, e renderà le banche meno potenti e
predatrici. Si immagini che, se si devono 10.000 R$ di scoperto e si stanno
pagando rate mensili di 1.000 R$ solo per non affondare ancora di più nel
debito, si potrebbe rimborsare lo scoperto (e liberarsi dalle spese che si
mangiano i vostri salari) con i Real Sociali che si ricevono. Altri
programmeranno l’acquisto di un bene o servizio a lungo desiderato: un piccolo
restauro in casa, un nuovo frigorifero o divano, un viaggio. Alcuni, unendosi,
avranno la somma necessaria per avviare un’attività. Quanto al ritorno della
vita alla “normalità” non si troverebbe una moltitudine di individui in
bancarotta assoggettati a banche e imprese, ma invece soggetti sociali con una
certa forza economica.
Insieme, i 210 milioni di brasiliani deterranno, in cento giorni, un totale
di 2,1 trilioni di S$ (o R$). Sarà un buon inizio. In confronto, lo 0,1 per
cento più ricco in Brasile avrà a quel punto, in titoli governativi,
immediatamente convertibili in liquidità, 4,4 trilioni di R$, più del doppio.
Ma le 200.000 persone che costituiscono lo 0,1 per cento (e le cui entrate
medie sono di 213.600 R$ al mese), fanno parte di (e sono economicamente attive
in) un mondo diverso. I 2,1 trilioni di S$ distribuiti ai 210 milioni di
brasiliani cambieranno il volto del paese. Gli aeroporti saranno decisamente
affollati come stazioni delle corriere. Ristoranti popolari spunteranno come
funghi dopo la pioggia, contrastando la monotonia gastronomica delle regioni
centrali, dove prosperano solo le catene internazionali. Nessuno sarà costretto
a lavorare per una piatto di cibo: ci sarà, certamente, un aumento del salario
medio brasiliano, oggi circa del 30 per inferiore a quello cinese. La classica
logica della segregazione brasiliana tra ville di lusso e gabbie di schiavi
sarà fatta a pezzi.
Deve essere anche perfettamente chiaro che, sì, il Reddito di Cittadinanza
sovvertirà un’altra idea, ancora più radicata nell’ideologia del senso comune.
Il denaro (cioè la partecipazione alla ricchezza prodotta socialmente) può
essere associato a molte azioni e meriti, oltre a quelli riconosciuti dalla
logica mercantile. Alcuni sono campo, quasi infallibilmente, delle donne.
Allevare i bambini, pulire la casa, preparare il cibo per l’intera famiglia.
Altri sono sottovalutati perché non generano direttamente valore. Suonare uno
strumento in grigie stazioni della metropolitana, raccontare storie nelle
piazze, curare giardini pubblici, offrire pasti in strada a quelli che
altrimenti soffrirebbero la fame, scrivere un romanzo o un libro di poesie, tenere
corsi di lingue straniere o di cucina… gratis. Il giornalismo, fondato sulla
conoscenza di un popolo indigeno, l’esperienza di usare una pianta per curare
una malattia ignota. Intrattenere i bambini in un ospedale. Tutti questi e
molti altri sono motivi che giustificano il Reddito di Cittadinanza.
Ma come sarà la società in grado di remunerare con solo 100 R$ al mese [sic
– probabilmente ‘al giorno’ – n.d.t.] (una cifra prossima al PIL pro capite)
attività che non generano valore mercantile? Ora è il momento di introdurre il
fattore forse più rilevante in questo dibattito, dal punto di vista
dell’immaginario sociale. A causa del suo relativo carattere espressivo, il
Reddito di Cittadinanza ci costringe a riflettere sui meccanismi che producono
il denaro nella nostra società; e sugli artifici usati dall’aristocrazia
finanziaria (con la complicità degli stati) nell’approfittare delle crisi per
concentrare ancora più ricchezza, e produrre ancora più disuguaglianza e
povertà.
III.
I dati iniziali della crisi economica sono tanto terrificanti quanto il
numero dei morti o le circostanze simili alla “scelta di Sophie”
che affliggono medici nel nord dell’Italia. Negli USA, forse il primo paese a
pubblicare dati sulla disoccupazione post crisi, il numero dei senza lavoro è
salito alle stelle. Tre settimane fa 200.000 persone avevano chiesto
l’indennità di disoccupazione. Improvvisamente, nei sette giorni prima di
giovedì 2 aprile, tale numero è esploso a 6,6 milioni,
quasi quindici volte tanto. Analisi economiche affidabili prevedono, per i
paesi occidentali, tassi di disoccupazione tra il 20 e il 50 per cento fino
alla fine dell’anno. Dal punto di vista finanziario la realtà è ugualmente
spaventosa. Le banche, valuta un test recente,
sono sprofondate in trilioni di dollari di debiti. Buona parte di essi non sarà
rimborsata.
Ma c’è un trucco ideologico qui. I media commerciali attribuiscono,
acriticamente, questo collasso al… coronavirus! E’ vero? La logica elementare e
i fatti suggeriscono che non lo sia.
Quando le autorità agiscono correttamente la quarantena è breve: dura al
massimo due mesi. Si consideri il caso di Wuhan, in Cina, il luogo in cui
l’epidemia è scoppiata a sorpresa. L’isolamento radicale è stato decretato il
23 gennaio. Il numero dei casi e delle morti ha cominciato a diminuire già il 5
febbraio (tredici giorni dopo) e da allora è sceso bruscamente. Così il 1°
marzo il primo dei due ospedali costruiti in fretta per affrontare la malattia
è stato chiuso. Dal 18 marzo (esattamente 55 giorni dopo l’inizio
dell’isolamento) non è stato registrato nemmeno un solo caso di trasmissione.
Due mesi, anche se lunghi da passare, sono un periodo breve nell’esistenza
totale delle persone e, ancor di più, in quella delle economie. In Brasile la
vita media adulta dura 700 mesi (840 in Giappone…). In società non devastate
dall’estremo individualismo, la quarantena – esclusa la sofferenza per la
pandemia – potrebbe essere un’occasione per rallentare, riflettere, ritrovarsi
con sé stessi e con i problemi e le bellezze del mondo. La produzione di beni e
servizi diminuirà certo bruscamente. Ma riprenderà abbastanza presto, nella
maggior parte dei casi con risarcimenti. Un frigorifero che era necessario e il
cui acquisto era stato rimandato a causa della quarantena, sarebbe in ogni caso
acquistato dopo. Un viaggio sarebbe riprogrammato. I dipendenti assunti
continueranno a essere necessari. Perché licenziarli? Qual è il motivo del
dramma?
La risposta sta in qualcosa che l’analisi convenzionale ora cerca di
nascondere. La crisi economica non è una conseguenza della pandemia. Il
minuscolo coronavirus è stato solo l’innesco che ha fatto detonare distorsioni
molto più profonde. Un castello di carte è crollato. Con esso sono caduti trilioni.
Due testi pubblicati su Outras Palavras [1 e 2],
basati su un articolo apparso sul The Economist e sul Financial
Times spiegano in dettaglio questo movimento. L’intera storia non può
essere riprodotta qui. Questo è un riassunto sintetico della catena del
contagio: a) i mercati finanziaria hanno recuperato, una volta evaporata la
crisi del 2008, l’”esuberanza irrazionale” che è stata un caratteristica
dell’intero periodo neoliberista. Le banche sono state inondate di tonnellate
di denaro, emesso da stati in base alla scaltra logica della ‘ricaduta
dall’alto’, secondo la quale il denaro versato al vertice della piramide
sociale colerà giù fino a raggiungere la base; b) al fine di continuare a
lucrare irresponsabilmente, le grandi banche globali hanno tale denaro senza
criterio. Con l’esplodere della pandemia, il volume del credito concesso dalle
banche è stato maggiore del picco del 2008. E i grandi beneficiari sono stati,
questa volta, le imprese non finanziarie più grandi di portata globale. Parte di
esse ha ricevuto fondi anche una volta tecnicamente in bancarotta; c) la crisi
ha svelato la follia. Grandi società con redditi in diminuzione (nell’aviazione
civile, nei settori automobilistico e alberghiero, ad esempio) probabilmente
non saranno in grado di rimborsare crediti irresponsabili offerti loro dalle
banche. La presa di coscienza ha anche causato il collasso dei prezzi delle
loro azioni in borsa; d) le prossime a essere colpite saranno le stesse mega
banche. Diverranno insolventi, se un numero sufficiente di aziende debitrici
finiranno in arretrato nei loro pagamenti.
L’accumulazione di montagne di credito che fanno funzionare il capitalismo
finanziarizzato non può essere spiegato in dettaglio nei limiti di questo
testo. Al fine di comprenderlo è raccomandato un libro, Just Money,
dell’economista britannica Ann Pettifor.
Nel suo libro la Pettifor rivela come il denaro è creato nel capitalismo
neoliberale. Contrariamente a quanto suggeriscono i miti fondativi, non
emerge dal lavoro svolto o da qualcosa di prodotto. Il denaro non è ancorato a
un bene raro e presumibilmente prezioso, come l’oro. Dagli anni Trenta, la
moneta è creata dal nulla da stati e banche. Nell’era keynesiana il denaro era
amministrato, in occidente, da governi che lo usavano per rendere realizzabile
la grande invenzione della civiltà: lo stato sociale. Dagli anni Ottanta in
poi, il neoliberismo si è appropriato delle simboliche macchine da stampa del
denaro. Sono le banche commerciali, oggi, che creano quasi tutto il denaro
disponibile. Cercando di accrescere incessantemente i profitti, prestano una
quantità di denaro molte volte maggiore di quanto ne detengano in deposito.
Questa pratica è chiamata “leva”. Un esempio eloquente: il 23 marzo, con un
tratto di penna, la banca centrale brasiliana ha consentito l’aumento della
leva autorizzando le banche commerciali a creare denaro dal nulla e a
prestarlo, al ritmo di 1,2 trilioni di reals! E questo senza dibattiti di alcun
genere nella società o presso il Congresso.
IV.
Questo è il casinò che si sta sgretolando davanti ai nostri occhi,
inceppato dalla chiave inglese gettata dal coronavirus. In condizioni normali
una fermata delle attività produttive, limitata nel tempo, avrebbe determinato
conseguenze molto ridotte. Un sistema finanziario sano finanzierebbe le perdite
dei cittadini e delle imprese e consentirebbe loro di rimborsare il debito
puntualmente, con interessi remunerativi ma bassi Ma l’economia mondiale
odierna è assoggettata a una macchina speculativa globale, a un mercato in cui
i volumi negoziati ogni giorno sono venti volte maggiori dell’importo
che il commercio mondiale muove in un anno. Questo è il motivo per il quale il
soffio più deboli può abbattere l’intero castello di carte. Questo è ciò che è
accaduto con il coronavirus.
Il dramma, sia sanitario sia umano, è incomprensibile. Ma un sistema eretto
di una pila gigantesca di interessi egoistici è incapace di autoriforma. E’ per
questo che tutte le azioni per “combattere la crisi” intraprese da governi
occidentali presentano una componente centrale: salvare le banche e
l’aristocrazia finanziaria. L’ordine del giorno è: “Qualsiasi cosa costi”. La
maggior parte dei 5 trilioni di dollari “contro il coronavirus” stanziati con
grande fragore il 27 marzo in una riunione del G-20, è
rivolta a irrigare i casinò. Grandi imprese, indebitate e insolventi, non
saranno autorizzate a fallire. Banche globali ancor meno. L’esperienza del 2008
ci ha insegnato a programmare qualcosa di molto più grande. La via d’uscita per
il neoliberismo consiste nel creare dal nulla qualsiasi importo sembri
necessario. Il fine consiste nel continuare a far girare la ruota della
speculazione, la ruota che ha creato la crisi precedente, che alimenta quella
attuale e che genererà quelle future.
Alla fine della crisi, macerie e disuguaglianza sono tutto ciò che rimane.
Nel 2008 le imprese hanno usato il denaro offerto dagli stati per
“modernizzarsi” e licenziare en masse. Una volta passata la
crisi, lo scaricabarile è finito nel grembo delle società, costrette a
drastiche politiche di riduzione dei servizi pubblici e dei diritti sociali.
Cosa succederà ora, se dopo una settimana ci sono due milioni di disoccupati,
solo negli USA?
V.
In tutto il mondo è oggi in corso una rivoluzione – anche se silenziosa –
del pensiero postcapitalista. Quelli che restano incatenati a forme di lotta di
secoli passati stanno perdendo terreno. Un po’ alla volta, emergono nuove
prospettive, che stabiliscono un dialogo con soggetti sociali generati dalle
nuove configurazioni del sistema. Il vecchio proletariato, che vendeva il
lavoro direttamente a un padrone e che era concentrato in grandi unità
manifatturiere, ha perso la condizione di “soggetto universale”, quelli che
secondo Marx, potevano essere liberi solo quando, al tempo stesso, avessero
liberato la società nel suo complesso. Un po’ alla volta emerge un precariato.
Il suo centro non sono più le fabbriche, ma le metropoli. E’ disperso. Le sue
richieste sono molto meno omogenee. C’è un progetto comune, per quanto celato e
largamente non identificato in mezzo a tali richieste. Il precariato desidera,
così come il suo fratello maggiore, che la ricchezza prodotta socialmente sia
condivisa tra tutti. In questo senso c’è una linea che collega una ragazza che
espone il suo corpo al coronavirus mentre consegna pasti in strada fino a Marx,
Bakunin, Kropotsky o Rosa Luxembourg.
C’è una vasta gamma di progetti in gestazione per realizzare l’idea nelle
condizioni del ventunesimo secolo. Costruire e garantire un Bene Comune. Il New
Deal Verde, che articola il sociale ai programmi ambientali mentre propone una
grande riduzione delle emissioni di CO2, ottenuta con intensi investimenti in
infrastrutture pulite (fattorie eoliche e solari, ferrovie, pulizia dei fiumi,
servizi fognari, ecc. ecc.) e la dignitosa garanzia di lavoro a tutti coloro
che lo desiderano. Nel nostro contesto attuale, il Reddito di Cittadinanza di
Base giganteggia tra le proposte.
Per noi può essere tanto significativo quanto i turni di otto ore lo sono
stati cento anni fa per le maggioranze e per la lotta per superare il
capitalismo. Stabilisce uno scopo comune e molto concreto per un vasto spettro
di lotte del precariato. Anche se oggi esse hanno un senso comune, tali lotte
sono eterogenee ed entrano in dialogo solo con difficoltà. (Si pensi, ad
esempio, alla richiesta di diritti del lavoro da parte di un autista di Uber, e
alla richiesta di un popolo indigeno di essere ricompensato finanziariamente per
lo sviluppo di un farmaco basato sul suo sapere ancestrale).
Il Reddito di Cittadinanza sta fiorendo oggi, inoltre, perché coglie il
sistema sbilanciato. Due grandi crisi economiche – nel 2008 e quella che si sta
aprendo oggi – rendono chiaro che è possibile creare denaro (e, perciò,
ridistribuire ricchezza) dal nulla. Di fronte a una pandemia sarà possibile
consentire che questo sia fatto per favorire solo lo 0,1 per cento? Se è
rimasta una qualche democrazia nella politica contemporanea, la risposta è no. La
crisi può ancora una volta, così come tante volte in passato, essere la spinta
che ci risveglierà dai sogni e dalla letargia.
Originale: Outras Palavras
(Altre parole)
Traduzione di Giuseppe Volpe)
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