le morti causate dall’11 settembre 2001 (Torri Gemelle) sono
state circa 3000 (da qui)
dal 16 aprile 2020 i morti per coronavirus negli Usa superano
quotidianamente quella cifra.
cosa potrà succedere?
vedremo Mike Pompeo andare all'ONU con qualcosa fra le mani, come ha fatto quell'attore consumato di nome Colin?
i generali faranno rombare i loro motori?
o si cercherà di dimenticare in fretta (come scrive bortocal)?
...si
aggiungono informazioni di cui non dovrebbe sfuggire la stranezza, ad una mente
critica; sentite questa: Dal 2015 l’ambasciata degli Stati Uniti in
Cina ha sistematicamente inviato scienziati al Wuhan Institute of Virology,
l’ultima visita è avvenuta il 27 marzo 2018 e alcuni funzionari dell’ambasciata
hanno segnalato alla Casa Bianca con due cablogrammi diplomatici misure
di sicurezza inadeguate, collegate agli studi condotti
sui coronavirus associati ai pipistrelli; “avvertivano che il lavoro
in corso nel laboratorio sui coronavirus dei pipistrelli e sulla
potenziale trasmissione umana rappresentava un rischio di una nuova
pandemia simile alla Sars” e che nel laboratorio di Wuhan c’era carenza di
tecnici adeguatamente preparati. Il dipartimento di Stato americano non ha
voluto commentare la notizia.
come è
possibile che gli USA svolgano ispezioni in un laboratorio cinese oltretutto su
ricerche di potenziale importanza strategica globale? evidentemente solo se si
ammette che queste erano svolte di comune accordo fra i due paesi; e infatti il
2015 è stato anche l’anno nel quale queste ricerche furono vietate negli USA
per motivi di sicurezza; e per questo motivo vennero trasferite in Cina, ma
sotto vigilanza USA.
si tratta
delle ricerche per un vaccino contro il coronavirus a cui gli stessi scellerati
e sconsiderati protagonisti benefattori dell’umanità che le hanno
imprudentemente promosse fino alla catastrofe vogliono farci credere che
dobbiamo affidare le nostre speranze di uscire dal disastro che loro per primi
potrebbero avere provocato.
sia chiaro a
tutti: non credo fino in fondo a Montaigner e non ho le prove; questa è per ora
soltanto la trama di un orribile racconto di fantascienza non particolarmente
entusiasmante.
ma se fosse
vero?
se questa
alleanza trasversale fra USA e Cina fosse la vera origine del virus che sta
sconvolgendo le nostre vite? e noi non immaginiamo neppure che cosa sta
succedendo altrove: sono ore in cui sono caldi i miei collegamenti whatsapp con
lo Sri Lanka: ecco un amico che mi scrive: non mangio da
due giorni, ma stanotte esco a pescare; spero di essere fortunato; eccone
un altro che mi dice: dopo un mese di lockdown ho finito
tutti i miei risparmi ed è un mese che non guadagno niente; eppure qui finora
abbiamo avuto solo 7 morti e 245 infetti.
. . .
il portavoce
del ministero degli Esteri di Pechino ha dichiarato: “Funzionari
dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) hanno ripetutamente detto che
non ci sono prove che il virus sia nato in laboratorio e molti
esperti hanno affermato che si tratta di teorie prive di basi scientifiche. La Cina ritiene
che l’origine del virus sia una questione scientifica che va gestita in modo
serio. La Cina continuerà a lavorare con gli altri Paesi e a
promuovere il sostegno reciproco nella battaglia contro il coronavirus”.
non è una smentita, evidentemente,
ma pare quasi un appello tra le righe all’omertà globale.
e alla fine sarà stato solo quello che scrive Gianpaolo Cherchi?:
Coronavirus: lo spettacolo di un’epidemia che non ha avuto luogo – Gianpaolo
Cherchi
Quando
l’emergenza Coronavirus sarà cessata (si spera, ovviamente, molto presto) e le
nostre vite verranno restituite alla loro normalità, la domanda che dovremo
farci dovrà essere la seguente: ha avuto veramente luogo un’epidemia di
Coronavirus?
Ciò che
abbiamo vissuto è stata una reale situazione di emergenza sanitaria o abbiamo
piuttosto assistito ad uno spettacolo in cui fatti, numeri, statistiche,
opinioni contrastanti e informazioni contraddittorie si sono accavallati con
una velocità impressionante, dando luogo ad una situazione irreale? Che ruolo
ha giocato, nelle misure estreme varate dal governo, l’informazione?
La velocità
con cui hanno circolato le notizie in continuo aggiornamento sul contagio, la
viralità con cui sono proliferate le opinioni contrastanti dei tecnici e degli
esperti, l’eccezionalità delle soluzioni politiche adottate, sono tutti
elementi che non possono esimerci da una riflessione sul ruolo tutt’altro che
secondario che è stato giocato dalla percezione del fenomeno, o meglio sarebbe
dire dalla sua spettacolarizzazione. Un punto soltanto sfiorato nel
dibattito, spesso appena accennato quando non clamorosamente mancato o
imperdonabilmente taciuto, mai approfondito a sufficienza. È quanto ci si
propone di fare, invece, in questo articolo.
Percezione
È in
relazione ai suoi studi sul rapporto tra velocità e politica che Paul Virilio
introduce il concetto di logistica della percezione, pilastro
fondamentale nella sua dromologia, o “scienza della velocità”. Il
termine logistica non è casuale: oggetto di indagine del
teorico francese è l’insieme delle operazioni di reperimento, catalogazione e
distribuzione applicabili non alle persone e alle cose che fanno parte della
realtà (si potrebbe dire alle merci, ma non lo diremo), quanto alle
percezioni della realtà stessa, alle sue immagini (anch’esse, appunto, merci).
Grazie
all’utilizzo di un qualsiasi medium tecnologico (dal cannocchiale al
telescopio, dal televisore a internet) l’immagine di un mondo lontano dalla
nostra portata – in termini di spazio, dimensioni, distanze – può essere
proiettata nella nostra esperienza quotidiana. Si tratta di una rivoluzione
radicale che implica una accelerazione nell’ambito della percezione sociale dei
fenomeni: quel che avviene è una sorta di collisione, un vero e proprio
abbattimento di ogni barriera tra il vicino e il lontano, e che dà luogo ad una
vera e propria epidemia dell’immaginario, per dirla con Zizek. Una
circolazione incontrollata dell’immaginario all’interno della realtà, nella
quale il senso del reale inizia a vacillare, e dove la possibilità di
distinzione fra questi due ambiti – fra ciò che, appunto, è reale e ciò che,
invece, è immaginario – si fa sempre più difficile.
Turbolenza
Baudrillard
adopera un altro termine per definire questo fenomeno: turbolenza,
ovvero una situazione percettiva in cui a sfumare e a svanire è l’effetto
di realtà. La linearità fra cause ed effetti – per mezzo di cui si genera e
si produce quel che chiamiamo comunemente realtà – finisce per
distorcersi, subisce urti, e provoca turbolenze percettive dei fenomeni
sociali. La domanda è: chi è che genera questa turbolenza? La percezione è un
fatto storicamente e tecnologicamente determinato: qualsiasi mutazione storica
è in primis una mutazione tecnologica. La stessa periodizzazione storica
procede secondo classificazioni basate sulle tecnologie adottate nelle varie
epoche (età della pietra, del bronzo, del ferro, etc). Al mutare delle condizioni
tecnologiche mutano perciò anche le condizioni storiche della percezione del
reale. Stando così le cose il responsabile di tale turbolenza va cercato nella
tecnologia, giunta oggi alla sua espressione più elevata: l’informatica,
vale a dire la scienza dell’informazione.
Realtà
Che ne è del
reale nell’epoca dell’informatica? È diventato il prodotto di processi
computazionali, ovvero può essere elaborato e rielaborato, prodotto e
riprodotto, costruito, decostruito e ricostruito in maniera illimitata e indefinita.
Detto in altre parole: l’effetto di realtà, quella linearità dei
rapporti tra cause ed effetti che produce l’esperienza di ciò che comunemente
chiamiamo reale, nell’ambito della scienza dell’informazione si
rivela essere non un qualcosa di razionale (come un lineare
concatenamento di cause ed effetti farebbe presupporre), quanto di operazionale:
esso è propriamente il prodotto di determinati processi e operazioni
tecnologiche. La conseguenza di ciò non consiste solamente nel fatto che gli
individui diventano dei semplici operatori in grado di
instaurare rapporti di ibridazione e di innervazione con
gli strumenti tecnologici che li circondano (dal telecomando, al touch-screen
fino ai più sofisticati sistemi di riconoscimento vocale). La vera conseguenza
– per lo meno quella che più ci riguarda in questa sede – è che l’esperienza
che gli individui fanno del reale avviene dentro questi stessi
strumenti tecnologici. Se oggi, in ambito informatico (e non), si parla tanto
di user experience è perché ciò che la rende possibile è una
più ampia experience design, una ingegneria tecnologica
dell’esperienza, in cui la vita quotidiana viene disegnata, progettata e
costruita mediante precisi processi operazionali che avvengono all’interno di
precisi strumenti tecnologici. È all’interno di essi che oggi, principalmente,
si dà la possibilità stessa di un’esperienza di ciò che continuiamo a
chiamare realtà.
Simulazione
Si tratta,
tuttavia, di un’esperienza che si rivela priva di contenuto. Quel che conta ai
fini della experience design non è il contenuto concreto
dell’esperienza quanto la capacità di una sua simulazione: la pura e semplice
emissione di una realtà (virtuale) percepibile come reale.
Relativamente
alla percezione del fenomeno Coronavirus, l’unico dato di cui si ha certezza è
l’esistenza di quello che Baudrillard chiama il regime di simulazione,
ovvero l’assoluta trasparenza della realtà percepita indipendentemente dalla
sua concreta ed effettiva realizzazione. Mediante l’esibizione continua della
realtà da parte dei media, ecco che al suo posto compare un simulacro di realtà
generato dall’informazione: la realtà raccontata dal punto di vista delle
telecamere, dei titoli in sovraimpressione, degli appelli terroristici al non
lasciarsi prendere dal terrore; la realtà dei pareri discordanti degli esperti
e dei tecnici invitati a dare costantemente la loro opinione; la realtà dei
numeri e dei dati in costante aggiornamento sui contagi, non importa se certi o
solamente presunti, purché i numeri e i dati siano aggiornati. La scienza
dell’informazione deve informare e comunicare, qualsiasi cosa succeda. Anche a
costo di informare e comunicare il niente. È il regime di simulazione,
bellezza! L’unica realtà di cui possiamo dire di avere esperienza certa.
Sparizione
Quel che in
questo modo si produce, però, è un effetto paradossale: la sparizione
del reale. Il reale scompare proprio laddove esso diviene più trasparente,
proprio laddove la scienza dell’informazione riesce a presentare ed esibire
ogni suo aspetto, ogni suo dato, ogni suo minimo dettaglio. L’informazione
punta all’occupazione totale della vita sociale. Nel momento in cui
l’onnipervasività dei sistemi di informazione consente di cogliere qualsiasi
realtà individuale nella sua assoluta trasparenza per presentarla come realtà
sociale, l’individualità scompare: cede il suo posto ad una esistenza sociale
che tuttavia ha luogo solo e unicamente all’interno dei media,
all’interno degli stessi sistemi di informazione. Ogni singola esistenza viene
perciò modellata dalla potenza sociale che lo spettacolo è in grado di
conferirgli. Solo per il fatto che non è, le è permesso di apparire.
In questo modo l’insieme delle informazioni che circolano nel regime di
simulazione non si rivela nient’altro che un insieme di giustificazioni per una
forma di organizzazione sociale priva di giustificazione. L’assalto
ingiustificato ai centri commerciali per fare incetta di beni di prima
necessità, la ressa ingiustificata nelle farmacie per fare scorte di amuchina e
di mascherine, l’ingiustificato aumento dei prezzi di questi beni; e di
seguito, specularmente, le ingiustificate e autocontraddittorie misure di
sicurezza e prevenzione adottate dal governo; l’ingiustificata sospensione di
qualsiasi attività sociale (lavorativa, ludica, sportiva, educativa, religiosa,
ecc…), l’incomprensibile sperpero di soldi pubblici in attività di
sorveglianza, in presidi militari, in posti di blocco (piuttosto che il loro
utilizzo per un ampliamento delle strutture della sanità pubblica). Tutto diventa
condizionato dallo spettacolo, da un sistema di potere che per reggersi non ha
più bisogno di pensare la propria base materiale, la realtà, ma deve al
contrario occultarla, farla scomparire.
Spettacolo
Se l’unica
realtà esistente è il regime di simulazione, ovvero la spettacolarizzazione
della realtà, risulta chiaro a questo punto che i media non sono un semplice
strumento di comunicazione, un qualcosa che può essere adoperato per veicolare
e diffondere determinati contenuti più o meno corrispondenti alla realtà. Essi
sono molto di più. A nulla servono, ad esempio, gli appelli continui per una
gestione consapevole dell’informazione, le rassicurazioni costanti di
tranquillità e le mobilitazioni anti-panico cui abbiamo assistito in queste
settimane, se non ad alimentare esattamente l’effetto opposto. È come attivare
un allarme facendo suonare la sirena per segnalare costantemente e
ripetutamente che non vi è alcun rischio.
I media, come diceva Pasolini, non veicolano contenuti reali, ma sono al contrario operatori ideologici, e in quanto tali manifestano in concreto lo spirito del nuovo potere. Baudrillard avrebbe detto che sono il luogo in cui il reale viene disattivato mediante la proliferazione virale della sua assoluta trasparenza o, detto con le parole di Debord, attraverso il suo spettacolo: lo spettacolo non è un insieme di immagini ma un rapporto sociale tra individui, mediato dalle immagini. Ed è questo rapporto sociale che si impone alla nostra percezione e che si tratta di definire: un rapporto sociale che è sempre, in ultima istanza, un rapporto di potere.
I media, come diceva Pasolini, non veicolano contenuti reali, ma sono al contrario operatori ideologici, e in quanto tali manifestano in concreto lo spirito del nuovo potere. Baudrillard avrebbe detto che sono il luogo in cui il reale viene disattivato mediante la proliferazione virale della sua assoluta trasparenza o, detto con le parole di Debord, attraverso il suo spettacolo: lo spettacolo non è un insieme di immagini ma un rapporto sociale tra individui, mediato dalle immagini. Ed è questo rapporto sociale che si impone alla nostra percezione e che si tratta di definire: un rapporto sociale che è sempre, in ultima istanza, un rapporto di potere.
Potere
Si deve
certamente a Foucault l’abbandono di una concezione obsoleta del potere come un
qualcosa di concentrato e individuabile, e la sua ridefinizione e
riconfigurazione nel senso di un qualcosa che si esercita. Ma se Baudrillard
afferma che è giunta l’ora di dimenticare Foucault, non è certo per
una mancanza di stima e di rispetto nei suoi confronti (non si spreca mai tempo
a discutere con chi non si rispetta, in genere lo si ignora). Afferma questo,
piuttosto, per la pienezza semantica e l’onnipervasività ormai raggiunte dal
concetto di dispositivo, e per una concezione generale e
generalista del potere che egli reputa limitata e speculativamente
sterile, nient’altro che l’ulteriore volteggio di una critica tutta interna al
movimento del potere stesso. Dal punto di vista di Baudrillard infatti, il
discorso foucaultiano sul potere, proprio in quanto discorso,
contribuisce ad esibire il potere, ad alimentarne la spettacolarizzazione,
instaurando così un legame di connivenza proprio con quello stesso potere che
intende criticare.
In soldoni:
se il potere è un discorso che si fa, se è un insieme di pratiche e di azioni
che si esercitano, sarà sempre e comunque necessaria la presenza di un oggetto
reale su cui esercitare tali pratiche e tali discorsi, ovvero quelle che per
Foucault erano il sesso, il desiderio, l’inconscio, e così via. Ma nel momento
in cui, a causa del regime di simulazione, il reale sparisce nella sua
trasparenza, nella sua spettacolarizzazione mediatizzata, su cosa potrà mai
esercitarsi il potere? Senza reale, che ne è del potere?
Vuoto
Ecco così
apparire un vuoto. Il vuoto del reale che scompare nello spettacolo è, allo
stesso tempo, il vuoto di un potere che nella sua sovranità soltanto apparente
opera come se fosse realmente esistente. Un potere, insomma, che al suo interno
è vuoto. Vuoto nella misura in cui è incapace di valutare ciò che sta accadendo
e che potrebbe succedere, e che tuttavia non può esimersi dal prendere decisioni,
dal produrre provvedimenti, dall’agire, dall’esercitare sé stesso. Il potere
deve essere esercitato, deve agire, non ci sono alternative; anche nella
situazione eccezionale in cui non vi sia la possibilità di valutare con
certezza come e in che maniera, secondo quali criteri, si debba agire. Un
potere che, vittima dello stesso copione imposto dallo spettacolo, deve
continuare a recitare la sua parte. The show must go on!
Ecco allora
sorgere, da questo vuoto, quella che Debord chiama volontà astratta dell’efficacia
immediata. Ecco lo stato di eccezione, vero e proprio paradigma di governo
in tutte quelle situazioni in cui il vuoto di potere (che, in un mondo ormai
esistente soltanto nella sua dimensione spettacolare, è anche allo stesso tempo
un vuoto di realtà) genera un bisogno autoindotto di attualità da soddisfare in
ogni modo. The show must go on!
Agire,
sempre e comunque, per coprire ed occultare la sua realtà, il suo vuoto: ecco
l’essenza del potere. Ed ecco lo spettacolo a cui abbiamo assistito. Ma come
dice Debord, una critica che voglia andare al di là dello spettacolo, che non
voglia cadere vittima della sua stessa spettacolarizzazione, deve saper
attendere.
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