Da
bambino ho seguito (come molti, immagino) il catechismo.
Uno dei dubbi che ogni tanto
apparivano alla mia mente riguardava il significato della parola “omissioni”.
Sì, perché è facile per un bambino comprendere il senso di “pensieri, parole,
opere”, ma le “omissioni” cosa sono esattamente? Di che cosa sono fatte? Si
muovono, sono vive come gli animali e le piante, sono dure e consistenti come
le cose reali che ci circondano?
Crescendo ho compreso finalmente il
senso di quella parola, inizialmente immerso nella nebbia dell’ambiguità.
Aldilà del significato religioso, ho
potuto constatare come tante, troppe volte nella vita, la negazione della
verità dei fatti passi per delle omissioni. Certo, poi esistono pure le bugie
belle e buone, esistono le false testimonianze e le “fake news”. Ma molto
spesso una narrazione falsa e tendenziosa della realtà passa attraverso un
accurato uso dello strumento delle omissioni: “quelle cose lì sono importanti
per comprendere la verità e per questo motivo io, volutamente, non le dico”.
L’introduzione della cosiddetta
“Didattica a Distanza” (DaD per gli amici) è stata uno splendido esempio di
questo esercizio della capacità di omissione. Omissione che, se in un contesto
religioso è “peccato”, in un contesto laico costituisce perlomeno “grave
scorrettezza” e “negazione della verità”.
A seguito dello tsunami provocato
dall’emergenza COVID 19 (con annessa sospensione delle attività didattiche,
chiusura delle scuole e numerose altre misure restrittive) tutto il mondo della
scuola si è interrogato sul da farsi. In questo quadro si è inserita la
ministra dell’istruzione rilasciando una serie di dichiarazioni che, nella
migliore delle ipotesi, avevano lo scopo di rassicurare le famiglie ma che non
sono state assolutamente chiare e complete. Parlando a più riprese di
“didattica a distanza” (come se fosse la cosa più normale del mondo) la
ministra ha omesso di spiegare che tale attività non è minimamente normata.
Cioè non esiste un quadro che stabilisca regole e garanzie per tutti
nell’utilizzo di tecnologie DaD.
Quindi, la cosiddetta “didattica a
distanza” non ha nessun fondamento giuridico nell’ordinamento dello Stato
italiano. A maggior ragione, non esiste alcun obbligo per i docenti e per gli
alunni di effettuare attività di “didattica a distanza”. Solo recentemente,
nella bozza di decreto emanato dal Consiglio dei ministri il 6 aprile,
all’articolo 2 comma 3 si trova scritto: “In corrispondenza della sospensione
delle attività didattiche in presenza a seguito dell’emergenza epidemiologica,
il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità
a distanza”. +
Incredibilmente, non c’è scritto
altro. La frase è assolutamente generica (ci si può riferire ad un sistema di
videoconferenze per sei ore al giorno come ad una telefonata al rappresentante
di classe una volta al mese) e soprattutto non fornisce garanzie a docenti,
dirigenti, alunni e genitori.
Perché anche di garanzie e non solo
di obblighi c’è bisogno, quando si fa una legge.
Sappiamo tutti che viviamo una
situazione di emergenza, che siamo chiamati ad uno sforzo eccezionale, che
dobbiamo mobilitare tutte le risorse e quant’altro. Sono d’accordo. Siamo tutti
d’accordo. Il punto è: come?
Ci vogliamo muovere nel rispetto di
uno Stato di diritto, nel rispetto delle norme (anche di quelle eccezionali e
urgenti), o ci vogliamo muovere nell’ottica del far west? Lo chiedo perché
sembrerebbe che certi dirigenti e docenti, colpiti da un’improvvisa e smodata
passione verso la DaD, abbiano scelto questa seconda strada. Magari senza piena
consapevolezza, magari in buona fede, ma comunque ben decisi ad affermare la
loro “legge” (quella tra virgolette), se necessario con la forza delle “Colt
45”.
L’alternativa al far west è la legge.
Senza virgolette. Troppo spesso ci dimentichiamo che le leggi non sono solo
degli orpelli e degli appesantimenti burocratici. Esse possono offrire un
sistema di garanzie, un alveo entro cui indirizzare le nostre azioni
rispettando diritti e doveri di ognuno. In altre parole: rispettando le
persone. E quando parliamo di scuola, con particolare delicatezza, rispettando
i minori.
Dico questo perché spesso chi come me
evidenzia in questo frangente l’assenza di una normativa chiara e nitida viene
“verbalmente lapidato” in quanto “scansafatiche troglodita che non sa usare i
moderni mezzi tecnologici e che si dimentica della situazione eccezionale che
stiamo vivendo”.
Ma chi scaglia gli anatemi commette
gravi scorrettezze e (ancora una volta) omissioni. Calma e gesso, quindi.
Io stesso, sin dall’inizio di questa
emergenza, sto dedicando da casa mia tanto tempo e risorse per “mantenere un
filo” con i miei giovani alunni, aiutandoli, motivandoli e, come dico loro,
“tenendoli un poco in allenamento”. Né io né tanti altri colleghi e colleghe
vogliamo essere tacciati di menefreghismo. Però vorremmo mantenere anche la
caratteristica di “esseri pensanti dotati di sensibilità e di spirito critico”.
Entriamo nel merito. Quando parlo di
“mancanza di un quadro giuridico di riferimento” non mi riferisco solo a un
articolo di legge che da domani imponga la DaD come obbligo. Questo sarebbe
(nel caso che si voglia procedere in tal senso), necessario, ma assolutamente insufficiente.
Mi riferisco invece ad un insieme ricco e numeroso di criticità da affrontare e risolvere (se vogliamo restare nel campo di uno Stato di diritto e non nel far west). E da affrontare anche e soprattutto da un punto di vista pedagogico.
Mi riferisco invece ad un insieme ricco e numeroso di criticità da affrontare e risolvere (se vogliamo restare nel campo di uno Stato di diritto e non nel far west). E da affrontare anche e soprattutto da un punto di vista pedagogico.
Provo ad elencarne qualcuna, cercando
così di dare un contributo a una descrizione veritiera della realtà. Fuggendo
la comoda tentazione dell’omissione.
• Discriminazione tra bambini che
hanno i mezzi (computer e linea disponibili e per molte ore al giorno) e bambini
che non hanno questi mezzi. E’ vero che il governo ha stanziato dei fondi a tal
proposito. E’ altrettanto vero che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e
prima che la situazione si risolva concretamente, saranno passati mesi.
• Ci sono situazioni familiari molto diverse: in alcuni casi le famiglie possono supportare agevolmente i bambini durante le “lezioni”, in altri casi queste ultime possono essere un fattore destabilizzante in situazioni familiari poco favorevoli, ma diffuse. Si pensi a genitori che sono impegnati tutto il giorno col lavoro agile a casa, a genitori con diversi figli piccoli, a genitori separati, o con situazioni difficili e conflittuali o comunque con pochi aiuti nella gestione quotidiana. In questi casi una DaD apparentemente “moderna ed efficace” in realtà serve solo ad aumentare disparità sociali e disuguaglianze tra chi è ben aiutato a casa e chi non lo è, venendo meno al dettato costituzionale.
• Non tutti gli utilizzatori sono ragazzi di scuole superiori che interagiscono con i “prof”. Nel caso di utilizzo da parte di bambini si evidenzia la necessità di vigilanza da parte degli adulti nell’uso degli strumenti. Si ripropone il tema della grande disparità tra chi può farlo e chi non può farlo.
• L’uso di vari sistemi, tra i quali quelli del tipo “videoconferenza”, lascerebbe totalmente irrisolte le questioni legate ai bambini con disabilità che non avrebbero un supporto quale quello assicurato a scuola e che vivrebbero tale esperienza (molto probabilmente) come frustrante.
• Grandi criticità rispetto alle tematiche della privacy: sino a ieri ci hanno quasi terrorizzato imponendoci autorizzazioni firmate da entrambi i genitori per scattare una semplice “foto di gruppo della classe” e oggi ci vorrebbero far credere che non c’è alcun problema a far transitare in rete ore e ore di dati, compiti, filmati, registrazioni eccetera? C’è qualcosa che non torna!
• Ci sono situazioni familiari molto diverse: in alcuni casi le famiglie possono supportare agevolmente i bambini durante le “lezioni”, in altri casi queste ultime possono essere un fattore destabilizzante in situazioni familiari poco favorevoli, ma diffuse. Si pensi a genitori che sono impegnati tutto il giorno col lavoro agile a casa, a genitori con diversi figli piccoli, a genitori separati, o con situazioni difficili e conflittuali o comunque con pochi aiuti nella gestione quotidiana. In questi casi una DaD apparentemente “moderna ed efficace” in realtà serve solo ad aumentare disparità sociali e disuguaglianze tra chi è ben aiutato a casa e chi non lo è, venendo meno al dettato costituzionale.
• Non tutti gli utilizzatori sono ragazzi di scuole superiori che interagiscono con i “prof”. Nel caso di utilizzo da parte di bambini si evidenzia la necessità di vigilanza da parte degli adulti nell’uso degli strumenti. Si ripropone il tema della grande disparità tra chi può farlo e chi non può farlo.
• L’uso di vari sistemi, tra i quali quelli del tipo “videoconferenza”, lascerebbe totalmente irrisolte le questioni legate ai bambini con disabilità che non avrebbero un supporto quale quello assicurato a scuola e che vivrebbero tale esperienza (molto probabilmente) come frustrante.
• Grandi criticità rispetto alle tematiche della privacy: sino a ieri ci hanno quasi terrorizzato imponendoci autorizzazioni firmate da entrambi i genitori per scattare una semplice “foto di gruppo della classe” e oggi ci vorrebbero far credere che non c’è alcun problema a far transitare in rete ore e ore di dati, compiti, filmati, registrazioni eccetera? C’è qualcosa che non torna!
Il Garante si è recentemente espresso
fornendo alcune prescrizioni. Ma restano comunque numerose “zone oscure”.
Ricordo che la privacy non è un “vezzo” né un diritto trascurabile. La
protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati di
carattere personale è un diritto fondamentale. Un diritto sacrosanto, la cui
violazione non può trovare giustificazione alcuna neanche in situazioni di
emergenza. La gratuità con la quale vengono offerti certi servizi online (per
esempio l’uso di certe piattaforme) ci dovrebbe far riflettere. Si tratta di
pura generosità da parte di chi le gestisce, oppure queste società hanno un tornaconto
dalla registrazione e dall’utilizzo dei dati che noi forniamo? Siamo pienamente
consapevoli dell’utilizzo che potrà essere fatto di questi dati? I genitori
sono consapevoli? Davvero sono possibili tanta leggerezza, spensieratezza e
superficialità? Per parlare ancora più chiaro: non possiamo permettere che dati
e informazioni riguardanti milioni di bambini e ragazzi, raccolti
sistematicamente, vadano ad arricchire i data base di personaggi senza
scrupoli. Non possiamo rischiare che una raccolta – dati (sensibili e non)
riguardanti minori sia facilmente messa a disposizione di chi potrà in seguito
orientare le scelte di acquisto, di lavoro e gli orientamenti politici dei
futuri cittadini ed elettori. Dobbiamo fare tutto il possibile perché ciò non accada,
ma sinora su questi temi regnano il caos e l’approssimazione.
• Da sempre i migliori pedagogisti del mondo hanno giustamente criticato un certo modo di fare scuola basato su una didattica puramente “trasmissiva”. Inoltre è stata frequentemente criticata una impostazione innaturale che prevede che gli alunni (specialmente i bambini) debbano stare ore e ore seduti ai banchi. Queste modalità “tecnologicamente avanzate” delle “DaD” non corrono il rischio di riproporre i medesimi errori, in misura addirittura maggiore? Con l’aggravante che gli alunni restino tante, troppe ore “inchiodati” davanti ad uno schermo.
• Spesso chi accosta il lavoro degli insegnanti a casa ad altre forme di telelavoro si dimentica che la scuola non è un ufficio né un’azienda e le relazioni degli insegnanti con gli alunni non sono “atti formali”. E’ del tutto legittimo che un insegnante non voglia “mettere in piazza” davanti a genitori, fratelli, sorelle, nonni (che magari assistono gli alunni vicino al computer) le dinamiche tipiche di un rapporto complesso di un gruppo classe: richiami, complimenti, rimproveri, risposte varie eccetera. Capite subito che si tratterebbe di un campo molto delicato da gestire. Gli insegnanti possono avere delle riserve più che legittime per il fatto di “vedersi registrati” durante le lezioni. E lo stesso, ovviamente, dicasi per gli alunni.
• Giusto per mettere i “puntini sulle i” anche dal punto di vista strettamente sindacale … L’utilizzo di tali metodologie presupporrebbe comunque che gli insegnanti dispongano obbligatoriamente di strumentazione tecnologica e di connessione (a proprie spese) e che le mettano a disposizione gratuitamente della scuola, cosa che come è noto non è stabilita da alcun contratto o norma. Ho notizie di una collega, ottima insegnante di rara sensibilità, che per sua scelta non possiede in casa né TV né pc né smartphone. La licenziamo in tronco o pensiamo che siano da rivedere alcuni aspetti contrattuali? O che certe pretese di “tecnologia a tutti i costi” siano semplicemente eccessive?
• Da sempre i migliori pedagogisti del mondo hanno giustamente criticato un certo modo di fare scuola basato su una didattica puramente “trasmissiva”. Inoltre è stata frequentemente criticata una impostazione innaturale che prevede che gli alunni (specialmente i bambini) debbano stare ore e ore seduti ai banchi. Queste modalità “tecnologicamente avanzate” delle “DaD” non corrono il rischio di riproporre i medesimi errori, in misura addirittura maggiore? Con l’aggravante che gli alunni restino tante, troppe ore “inchiodati” davanti ad uno schermo.
• Spesso chi accosta il lavoro degli insegnanti a casa ad altre forme di telelavoro si dimentica che la scuola non è un ufficio né un’azienda e le relazioni degli insegnanti con gli alunni non sono “atti formali”. E’ del tutto legittimo che un insegnante non voglia “mettere in piazza” davanti a genitori, fratelli, sorelle, nonni (che magari assistono gli alunni vicino al computer) le dinamiche tipiche di un rapporto complesso di un gruppo classe: richiami, complimenti, rimproveri, risposte varie eccetera. Capite subito che si tratterebbe di un campo molto delicato da gestire. Gli insegnanti possono avere delle riserve più che legittime per il fatto di “vedersi registrati” durante le lezioni. E lo stesso, ovviamente, dicasi per gli alunni.
• Giusto per mettere i “puntini sulle i” anche dal punto di vista strettamente sindacale … L’utilizzo di tali metodologie presupporrebbe comunque che gli insegnanti dispongano obbligatoriamente di strumentazione tecnologica e di connessione (a proprie spese) e che le mettano a disposizione gratuitamente della scuola, cosa che come è noto non è stabilita da alcun contratto o norma. Ho notizie di una collega, ottima insegnante di rara sensibilità, che per sua scelta non possiede in casa né TV né pc né smartphone. La licenziamo in tronco o pensiamo che siano da rivedere alcuni aspetti contrattuali? O che certe pretese di “tecnologia a tutti i costi” siano semplicemente eccessive?
Tutte le criticità evidenziate
esplodono ai massimi livelli quando si parla di utilizzo di piattaforme per
videoconferenza o strumenti simili, utilizzati per 3 – 4 – 5 ore al giorno. Il
retropensiero (senza basi scientifiche) è che si possa sostituire con facilità
e spensieratezza una “classe vera” con una “classe virtuale”. La sostituzione
invece non è affatto scontata, e comunque il passaggio porrebbe enormi
problemi. Soprattutto, lo ripeto, quando ci si ricorda che la scuola non è un
ufficio né un’azienda e le nostre relazioni con gli alunni non sono “atti
formali”.
La straordinaria ricchezza delle
dinamiche relazionali (permeate da affettività, è inutile negarlo!) presenti in
un gruppo classe “vero” e non virtuale ha bisogno di essere compresa e non
compressa.
Stanti tutte queste criticità e
l’assenza di un quadro normativo chiaro e certo, mi pare evidente che ad oggi
non sussista alcun obbligo di svolgere attività di “DaD”. Ci si può,
eventualmente, appellare ad azioni condivise di volontariato e di buonsenso (da
parte di tutti: insegnanti, alunni e genitori).
In tutti i casi, è indispensabile una
riflessione che sia non solo “tecnologica” o “burocratica”, ma che sia
innanzitutto “pedagogica”, prima di abbandonarsi ai troppo facili entusiasmi
per le “mirabolanti innovazioni legate al magico mondo del digitale”.
Quali risvolti, quali possibili
effetti collaterali possono essere indotti dall’adozione di una DaD? Quando si
produce un nuovo farmaco, occorre studiarne attentamente gli effetti benefici ma
anche i limiti e le controindicazioni. E tutto ciò va dichiarato esplicitamente
nel “bugiardino” a corredo del farmaco.
Ecco, chi si pone queste domande lo
fa di certo non in quanto “scansafatiche troglodita che non sa usare i moderni
mezzi tecnologici”. Al contrario, chi si pone queste domande possiede lo
sguardo ampio dell’educatore, uno sguardo che sa andare lontano. E’ uno sguardo
(non me ne vogliano i tecnici – burocrati – informatici, perennemente esaltati
dalle nuove tecnologie) che non ammette bugie né omissioni. Nell’interesse dei
bambini e dei ragazzi.
Queste settimane di “emergenza COVID
19” hanno comportato una attenzione mai vista prima per il mondo della scuola.
In una situazione di crisi mondiale di proporzioni immani, con un numero di
morti che aumenta giorno per giorno, l’idea che gli studenti possano perdere
due o tre mesi di scuola pare ad alcuni qualcosa di assurdo e inaccettabile.
Eppure è sin troppo evidente che in questa situazione la priorità generale è la
salute e tutte le altre questioni vengono in subordine!
Questa strana attenzione però puzza
di bruciato lontano un miglio perché quegli stessi apparati burocratici che
appaiono oggi così solerti nel voler assicurare le lezioni con la “DaD a tutti
i costi”, sono gli stessi che gli anni scorsi non si sono fatti scrupoli
tagliando risorse alla scuola, lesinando in ogni modo le supplenze (facendo
così perdere giorni, settimane, a volte mesi di lezione ai ragazzi senza che
nessuno battesse ciglio), abbandonando gli insegnanti delle tante “scuole di
frontiera” sempre più in balia di alcuni genitori prepotenti e a volte
addirittura violenti.
Questa strana attenzione puzza ancora
di più, nel momento in cui i grandi gruppi che gestiscono piattaforme e servizi
online si aggirano volteggiando come avvoltoi sul mondo della scuola.
I fanatici delle “mirabolanti
innovazioni legate al magico mondo del digitale” non sembrano preoccuparsene
minimamente e, anzi, si augurano che, una volta finita l’emergenza, anche la
scuola si trasformi e “modernizzi” (secondo loro), utilizzando a regime
videoconferenze e DaD a tutto spiano. Attuando così, finalmente, quella
“rivoluzione” di cui la scuola avrebbe tanto bisogno.
Una visione piuttosto ingenua e,
lasciatemi dire, piuttosto ignorante della realtà scolastica. Dove ancora una
volta si commette un gravissimo “peccato di omissione”, trascurando in questo
caso di studiare e comprendere scuola e sistemi educativi nella loro
complessità. E attribuendo alla tecnologia il potere taumaturgico di sanare
ogni ferita e risolvere ogni problema. Una adorazione assoluta e incondizionata
della “divinità tecnologica” alla quale inginocchiarsi e demandare ogni cosa.
Una equazione che identifica erroneamente la “innovazione pedagogica” con la
“innovazione tecnologica”.
Io in alternativa una proposta
veramente rivoluzionaria ce l’avrei, pensando al “post emergenza COVID 19”.
Facciamo che quando finisce questa
storia del virus, delle mascherine e del distanziamento sociale, dotiamo tutte,
ma proprio tutte le scuole elementari di un’area verde ampia e alberata. Un
giardino enorme dove i bambini possano giocare a lungo ma anche sporcarsi le
mani, coltivare la terra, vedere i semi che si trasformano in piante, i fiori
sbocciare. Dove osservino concretamente l’alternarsi delle stagioni.
Forse il mio non è solo un sogno
bucolico: i cambiamenti climatici in atto, le emissioni di CO2 in atmosfera, la
plastica che invade gli oceani, sono tutti temi assai scottanti che abbiamo
temporaneamente rimosso ma che ci attendono al varco, richiedendo urgentissime
e sagge risposte. E’ fondamentale che le nuove generazioni siano educate alla
capacità di “sentirsi parte della natura e dell’insieme vivente”. L’alternativa
potrebbe essere l’annientamento della nostra specie, in tempi non troppo
lunghi. Scusate se è poco.
Rispettando un ordine di priorità,
forse il ritrovare questa saggezza, questa sensibilità, costituirebbe un fatto
pedagogicamente molto più significativo rispetto all’acquisizione di nuove
tecniche in modalità videoconferenza.
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