Oggi, per andare in libreria, ho attraversato per la prima volta un pezzo
di città. Ho cercato d’imprimermi negli occhi quel che vedevo: rari passanti
che si aggirano con la museruola bianca. A un certo punto ho incrociato
un’amica e a salubre distanza ci siamo sbracciate per salutarci. Una macchina
della polizia si è fermata. «È possibile incontrare per strada un’amica e non
salutarla?». E il poliziotto: «Ci vuole pazienza..». Sì, ce ne vuole molta, ma
con chi? Con l’epidemia? O con chi sta sostituendo al nostro il suo libero
arbitrio? A chi faccio del male salutando un’amica da lontano? A nessuno. E
allora perché la polizia ha facoltà d’interromperci? E quella di comminarci
fino a 4000 euro di multa? Quando è stata votata la legge che ci toglie la
facoltà di decidere il margine di rischio che vogliamo correre?
Recentemente, Vladimiro Zagrebelsky avvertiva che la restrizione protratta
della libertà degli ‘anziani’ vïola la Costituzione. Ma di violazioni della
Costituzione e della libertà personale, mi pare di vederne molte per tutti, in
norme che incrociano l’arbitrio con l’assurdità (Concita De Gregorio ce le
elenca in un esilarante articolo): a cominciare dalla passeggiata di 200 metri,
o dalla distanza di 1,80 m. in libreria, fino alle multe spropositate di cui
parla Mariangela Mianiti, come se la forma delle regole prevalesse sul motivo
per cui sono state pensate: evitare nuovi contagi.
Ed è appena piovuta sulla nostra testa l’app che rintraccerà tutti i nostri
contatti, che ci identificherà per «tenere a bada la diffusione del virus»!
Possiamo stupircene, dopo che la celebre fase 2 è stata affidata all’ad di
Vodafone? Se usciamo dalla crisi sarà su ali virtuali, così come ci abbiamo
vissuto.
I governi del mondo stanno facendo del nostro panico una vertiginosa torre
di Babele. Da anni la destra ci spaventava coi migranti per raggiungere lo
scopo di una dittatura senza dittatore, ma non ha avuto il colpo di genio di
usare una delle tante epidemie che periodicamente ci cascano addosso. Qualcuno
ha già messo le carte in tavola, come Orban o Trump; qualcuno si rifiuta ancora
come la Svezia; altri invece, con Italia e Francia in testa, ci offrono un
merletto di menzogne, silenzi e pressioni per convincerci che la cattività
imbavagliata è l’unico modo per respingere un virus che però non se ne dà per
inteso e continua a sfornare lo stesso numero di morti.
Eppure, basterebbe guardare la cartina d’Italia e quella del mondo per
notare la declinazione dei colori: il Nord di un bel marrone scuro, la Toscana
un po’ meno sostenuto, l’Umbria un amabile avorio e giù al Sud il bianco
fulgente di regioni come la Basilicata e il Molise, le regioni meno
industrializzate del Paese. O come mai? Non sarà perché nel Nord, coperto da
una cappa nero piombo di gas letali, le fabbriche non sono mai state chiuse? E
guardate il mondo: in Africa, chi ha più contagi? E in America? E in Asia? Da
ogni parte si dice che l’avvelenamento della terra e la sopraffazione di flora
e fauna sono la causa di questa e di ogni passata e futura epidemia (ne parlano
fra gli altri Silvio Greco e Guido Viale). Ma avete mai sentito qualcuna delle
autorità accennare a una conversione delle fabbriche, a una riduzione del
traffico a benzina, alla chiusura di allevamenti intensivi, alla protezione dei
cittadini, non da se stessi, ma dall’inquinamento che li sta uccidendo, per
avviare misure utili a ripulire l’aria che respiriamo e lasciarcela respirare
in pace?
Da ogni parte si alzano voci ragionevoli e inquiete, che se non svegliano i
nostri governanti, dovrebbero almeno svegliare noi. Perché non si tratta di
immolarsi al virus: è giusto stare riparati e tenere chiusi luoghi
potenzialmente affollati, e soprattutto le fabbriche che saranno invece le
prime a ripartire, ed è giusto che chi è stato contagiato non contagi a sua
volta, ma per favore usciamo da questa retorica dell’ #iorestoacasa, dell’
#andratuttobene, della bandiera tricolore che sventola sui campi, smettiamo di
vivere in un terrore superstizioso, non lasciamoci addomesticare dalle serie
tv, dagli zum, dai webinar (senza i quali non sarebbero mai riusciti a tenerci
rinchiusi), alziamo le orecchie e ascoltiamo la voce di quello che abbiamo di
più prezioso, la nostra responsabilità e libertà presente e futura, la libertà
che è il nostro sangue letterario e politico, quella, come dice il nostro poeta
preferito, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta..
Nessun commento:
Posta un commento