In questo
periodo di grande paura, di confusione, di azioni resistenti, di necessità di
pensiero critico, riprendo il tema della valutazione scolastica, leggendolo nel
mutato scenario.
La
confusione attiene, in ordine di priorità: alle notizie di tipo epidemiologico
(che con la valutazione, in questo caso della ricerca scientifica, hanno a che
fare); alle mosse dei governi europei molto impegnati sulla caduta delle borse
e del PIL, insomma sulla tenuta del mercato globale (che sappiamo interessato
al lavoro cognitivo e alla formazione dei soggetti di cui misurare le
competenze da esso richieste); allo specifico campo del sistema di istruzione
italiano in mano a un Ministero molto lontano ieri, e tanto più oggi,
da una prestazione capace di rassicurare e di prestare davvero un ausilio,
senza protervia. Ci tornerò più sotto. Indicherò i temi a punti fra loro tanto
connessi da sovrapporsi, tenuti separati solo per semplicità di analisi.
INVALSI
1.1
L’Istituto ha avviato la tornata delle prove agli inizi di marzo, nella
inconsapevolezza di quello che si stava preparando con l’epidemia e nonostante
le critiche che hanno continuato a essere mosse sulla modalità censuaria, il
computer based, la metodica di elaborazione dei dati e di restituzione
delle prove. Per fortuna, la risposta delle scuole è stata molto bassa, prima
che la macchina subisse un arresto inevitabile. La tetrarchia Ajello/Mazzoli/Ricci/Poliandri
alla guida dell’Istituto, già solo per questo, dovrebbe “essere dimissionata”,
mossa improbabile, visto che sembrano solo momentaneamente imbucati, in attesa
di tempi migliori.
1.2 I
docenti si sono divisi, come sempre, fra: i) ossessivi, che chiedono sui social
cosa ne sarà della valutazione invalsiana a cui, per obbedienza servile, per
convinzione, per ossequiosa delega agli esperti, hanno sempre aderito; ii)
coloro che fanno della cautela una forma di saggezza, che conoscono tutte le pecche
della valutazione standardizzata e rivendicano un’azione valutativa riportata
nell’alveo della libertà di insegnamento. A ridosso di queste ampie classi (più
variegate di come qui le divido) si muovono i Dirigenti Scolastici, anche loro
presi da frenesie, da timori di esser lasciati soli, dalla constatazione che
sono veramente soli, per funzione monocratica, per mancanza di indicazioni
autenticamente tali, applicabili ai contesti.
1.3 Il MIUR
sospende la tornata di prove obtorto collo (il grande decisore di questi giorni
è il Covid), le esclude insieme ai PCTO dai requisiti per sostenere la
maturità. Il 16 marzo, nel discorso sullo “Stato dell’Unione” la Ministra,
irresponsabile dichiarata (“non rientra fra le mie competenze…”, del resto c’è
l’autonomia no?) ribadisce il ruolo essenziale dell’INVALSI. Le indicazioni su
questioni assolutamente inedite determinatesi con la metodica della didattica a
distanza sono affidate ai Capi Dipartimenti del Ministero. Una letterina
stucchevole del Capo Dipartimento della Task Force Emergenze Educative (sic),
Giovanna Boda, precisa che il questionario diffuso nei giorni precedenti è un
sondaggio solo esplorativo, per misurare le risorse in campo, mentre i
commercianti di piattaforme private si sono già scatenati. Sempre pochi giorni
fa ha girato una notiziola (poi sparita, non mi risulta ritirata in forma
evidente) sull’assunzione di assistenti tecnici per implementare i laboratori
informatici, insieme all’invito ad usare i 500 euro per attrezzarsi al lavoro a
distanza. Ma tutto questo viene superato in retorica ed efficacia comunicativa
da una nuova più autorevole nota a firma Marco Bruschi, Capo Dipartimento
Sistema Educativo di Istruzione e Formazione, meritevole di una attenzione
mirata che rimando a piè di pagina, il cui contenuto viene pedissequamente
ripetuto – pari pari – dalla Ministra alla trasmissione di Giovanni
Floris, DiMartedi del 17 marzo (nota MIUR 17/03/2020,
allegata).
1.4 Le
organizzazioni sindacali che si sono mosse, almeno le sigle di base, con l’indizione
di sciopero nei giorni in calendario per le prove, sono state surclassate dalle
revoche ad opera del Covid; una dichiarazione di qualche apertura verso un
ripensamento della funzione del Servizio Nazionale di Valutazione la dobbiamo
alla FlcCGIL, mentre siamo in attesa di un documento complessivo sulla materia,
di cui – per ora – abbiamo solo notizie ufficiose (fra le proposte anche la
ripresa degli argomenti del ricorso al TAR Lazio contro il Regolamento 80/2013)
1.5 Dalle
parti della politica il silenzio è assordante, del resto il Parlamento su
questo tema, mai davvero affrontato, è stato messo alle corde dal Covid e
dall’azione del potere esecutivo.
VALUTARE.
Torno a una
importante distinzione, come ho già segnalato a proposito di un altro tema (istruzione
e formazione, competenza richiesta nei protocolli di autonomia differenziata),
fra: A) valutazione di sistema, B) valutazione degli apprendimenti.
A) Nel primo
caso: la struttura e l’organizzazione (F. Varela, 1987), la macchina, il cuore
hard dell’istituzione scolastica oggi messo a durissima prova, date anche le
carenze storiche (J. Scheerens, 2015/2018; Collettivo per l’Economia
Fondamentale, 2018). Solo pochi esempi.
– ASPETTI
STRUTTURALI: i) lo stato degli edifici trascurato fin dalla pubblicazione dei
vecchi libri neri sulle condizioni di agibilità e di sicurezza; ii) la difforme
– spesso vetusta – dotazione di attrezzature, anche di quelle oggi conclamate
come essenziali (il digitale); le carenze di organici di tutti i profili.
Insomma quelle condizioni che potremmo definire “livelli di prestazione
essenziale”, quel contesto che l’Istituto INVALSI vorrebbe “depurare” perché
possa essere valutato il Valore Aggiunto.
– 2)
ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO, l’altro corno della coppia strutturale: i) con la
sospensione delle lezioni, l’onere di aprire e mantenere il presidio; la
partita del telelavoro degli amministrativi; l’adozione delle misure di “banca
del tempo” per calcolare il recupero degli orari ridotti; ii) l’articolazione
delle lezioni on line per tempi e modi, aspetti toccati dalla nota di Marco
Bruschi.
B) Nel
secondo caso, la valutazione degli apprendimenti, tutto si complica con la
didattica a distanza. Valutarne gli effetti su insegnanti, famiglie, studenti e
bambini sarebbe un utile impegno. Essa mette in mostra la “falsicabilità” delle
sedicenti ricerche sul tema dell’apprendimento mediante tecnologia informatica.
La didattica a distanza consta di un assemblaggio di azioni che nulla hanno di
oggettivo ma godono della protezione di una sorta di validità teorica,
ovviamente sempre confutabile (Habermas, 1981; Popper 1969). Confutabili tali
azioni come del resto lo è ogni didattica, a qualsiasi livello, basata su dati
empirici ricavati da esperienze non replicabili. Come commentava giorni fa un
articolo di stampa, piuttosto fuori coro, il computer alimenta sogni
onnipotenti di efficacia/efficienza (bassi sicuramente i costi per molto
vantaggio ideologico) e millanta l’idea che l’algoritmo sia capace di lavoro
tutoriale con l’allievo. Del resto milioni di studenti accedono già a corsi a
distanza. Il lavoro di valutazione del loro impatto – la protezione teorica,
dimostrazione dell’efficacia – è dovuta alla diffusione delle piattaforme e
delle connessioni: una conferma tautologica. Il rischio concreto, ricordava
ancora la giornalista, è confondere un insieme di supporti didattici, di
materiali tecnici, con le strategie educative. (C. Pozzi, rivista
<<7>> Corriere della Sera, 13/03/2020).
Paradossalmente
viene a mancare l’aspetto legato alla necessaria esposizione reciproca dei
corpi, della grana della voce non mediata, virata dalla macchina, tutti quegli
aspetti affettivo, relazionali, emotivi a cui i ricercatori INVALSI (oltre
tutta la gamma delle fondazioni, associazioni, aziende, ecc) sembrano tenere.
Abbiamo parlato in più occasioni della gigantesca operazione sulle soft skills
educate, indirizzate, strumentalizzate, fin dall’infanzia. A proposito di
sentimenti, emozioni e apprendimento, poco si valuta l’importanza della stretta
convivenza domestica obbligata dall’emergenza. Non tutte le case sono come quelle
di Fiorello o di Amadeus. Mancano, in tantissimi appartamenti, gli spazi non
solo per collegarsi e fare i compiti, ma molto spesso per un sano, questo sì,
isolamento meditativo, riflessivo. Più nessun contatto, troppi contatti: un bel
problema da affrontare nelle famiglie, fra conviventi. Come mi è stato fatto
notare da un insegnante, un uomo, sono ancora le donne a reggere questo
impatto, fra bambini, ragazzi, anziani, spesa, compiti, telelavoro, in fondo
sempre di sotterraneo lavoro riproduttivo si tratta, abbinato – come accade già
per molte categorie di persone – con lo smart working, di per sé invasivo del
tempo personale anche quando sembra “intelligentemente organizzato”. Cos’è la
valutazione degli apprendimenti in queste condizioni, cos’è la sua misura? Come
applicare una scala di qualsiasi tipo a qualcosa che è, sia troppo
pedissequamente controllabile (risposte giuste/sbagliate a domande secche), sia
troppo opinabile senza necessaria valutazione del contesto di apprendimento?
Vengo ad un
breve commento alla nota sulla didattica a distanza del Capo Dipartimento,
Bruschi. Mentre scrivo, tutte le sigle sindacali ne hanno chiesto l’immediato
ritiro, ma vale a maggior ragione conoscere il testo.
La forma è
sostanza, dunque non inganni il tono amichevole (“Carissimi…”), lo stile è
chiaramente performativo, non impone in forza di legge, modellizza
comportamenti (“obbedisci! obbedisco!”). Una nota non rappresenta nella
gerarchia delle fonti ministeriali una obbligazione, in questa non si citano
neppure le norme (il Regolamento 80/2013, il Dlsg 62/2017), ma questo non
sottrae, proprio per via della sua forma, alcuna potenza e vigenza agli
adempimenti previsti. Anche perché questa la didattica a distanza è citata –
indirettamente, per ragioni economico finanziarie – nei DPCM ultimo
(18/03/2020), dunque resa ufficiale ope legis. Tralascio il richiamo alla
deontologia professionale dei docenti – i doveri etici del fare scuola – i
paragrafi sulla definizione dell’oggetto della nota, la questione del rispetto
della privacy che deve evitare la profilazione degli attori, anche se sembrano
precisazioni ad hoc per tranquillizzare le altre platee di lavoratori: gli
insegnanti non sono in vacanza! Porto l’attenzione sui paragrafi dedicati alla
progettazione e alla valutazione. Il tono si fa decisamente prescrittivo, la
progettazione individuale (individuale, sottolineo) del lavoro didattico, nelle
nuove linee del PTOF, deve essere “depositata agli atti” per il monitoraggio e
la verifica a cura del Dirigente. Tutti gli organi collegiali, lasciati in
ombra dalla legge 107, vengono coinvolti in un enorme insieme di funzioni. Il
registro elettronico (mai diventato obbligatorio mancando i regolamenti sulla
dematerializzazione) diventa lo strumento principe per una connessione sine
tempora. Tale moltiplicazione di compiti da svolgere in telelavoro diventa ad
un ad un tempo lavoro di aula (virtuale) e attività funzionale
all’insegnamento. Il tutto senza quantificazione oraria rispettosa delle norme
del CCNL e delle deliberazioni di inizio d’anno. Per fortuna, le OOSS se ne
accorgono subito: nessuno ha chiesto pareri, interpretazioni, nessun tavolo di
contrattazione è stato convocato. La modalità è quella di un esecutivo
ministeriale che decreta a margine dei decreti del Governo, con poteri pieni,
conditi con retorica paternalistica (la chiusa su uno degli aforismi di
Publilio Siro è il colpo di scena!). Alla valutazione è dedicato uno scarno
paragrafetto, anche questo nella sua piaggeria quasi ridicolo: si ricorda
all’insegnante la differenza fra valutazione in itinere (formativa) e finale,
la corretta gestione dell’errore, la necessità di dare agli allievi un ritorno
sul lavoro svolto. Il nodo su come verrà gestita una sospensione sine die e la
chiusura dell’anno scolastico, non viene sciolto. Cosa andrà rimandato a
settembre? Tutti promossi in una inedita formula di “sei politico”? E gli esami
di fine ciclo? La maturità, continuamente riformata in questi anni, come verrà
gestita? Ancora un “ci stiamo pensando” da parte della Azzolina,
nell’intervista su citata! Il valore legale del titolo di studio, oggi così
implicato nell’operazione di “valutazione delle competenze”, subirà il tracollo
vagheggiato da chi osteggia la scuola pubblica?
Prima che
Bruschi e compagnia superino di nuovo se stessi, sulla valutazione vale quel
che è stato scritto nei paragrafi precedenti, la verifica del lavoro la farà la
logica della macchina unita al controllo occhiuto del dirigente e del suo
staff. Fuor di retorica è forse arrivato il momento di rinominare – in un nuovo
ordine simbolico – la comunità educante. Ad essa, Maestri e Allievi, adulti e
creature piccole, andrà restituita la valutazione dell’apprendimento, come
forma di cambiamenti evolutivi, frutto di modalità condivisa, nella divisione
necessaria dei ruoli. Un modo diverso di coniugare l’effetto di ritorno, che
volutamente non chiamo feedback, termine troppo inquinato e tanto
ossessivamente caro ai valutatori di stato.
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