dopo di lui ho smesso di guardare il ciclismo.
il libro ha la struttura di un coro greco, tante voci che raccontano un pezzo della sua vita, nella gloria e nel dolore, nelle parole di chi gli ha voluto bene.
un libro che vale la pena di leggere, per ricordare quel ciclista che ci ha fatto sognare.
buona lettura.
Sul traguardo
chiudeva gli occhi e apriva le braccia come un airone, quasi a voler spiccare
il volo dal sellino. Sulle cime, dell’Alpe d’Huez, del Mortirolo, del Galibier
era più vicino al cielo, che voleva toccare con un dito. Amava fare l’elastico,
che nel gergo ciclistico vuol dire che si allontanava e si avvicinava al
gruppo, e quando su quelle montagne pedalava dritto, staccato dal sellino, per
parecchi minuti sui tratti più impervi, passava avanti a tutti e li guardava in
faccia uno per uno. Poi il 5 giugno del 1999 uno sfregio a freddo, il controllo
antidoping qualche ora prima della partenza della tappa Madonna di
Campiglio-Aprica e il 14 febbraio di dieci anni fa l’airone ha chiuso le ali,
Marco Pantani è morto in una stanza dell’Hotel Le Rose a Rimini.
Marco Pantani, era fatto un
po’a modo suo con quella pelata e la bandana, un po’anarcoide, diceva che
attaccava solo quando sentiva la voce dentro che gli dava il la, non amava
studiare il percorso metro per metro prima della tappa, come facevano gli altri
campioni. In virtù di quelle cime dei Pirenei, conquistate a forza di poderose
pedalate e di quell’ingresso trionfale ai Campi Elisi a Parigi, al Tour del
1998 dopo aver vinto il Giro d’Italia come Coppi, Pantani aveva osato troppo,
si sentiva un dio e rischiava di far saltare il circo delle due ruote, andava
fermato. Il sistema sportivo che lo aveva lanciato ed esaltato, non era più
disposto a tollerare, poteva andare fuori controllo Marco Pantani, che non era
un indisciplinato…
In quasi dieci anni di professionismo Marco Pantani ha
vinto poco più di una trentina di corse, un bottino modesto se paragonato a
quelli di Coppi o Merckx, Moser o Cipollini. Eppure il Pirata ha conquistato la
storia e il popolo del ciclismo come da tempo nessuno riusciva a fare. Perché
era uno scalatore che veniva dal mare. Perché è decollato sul Mortirolo e sul
Galibier ma è precipitato nella cocaina e nella depressione. Perché inseguiva
l'amore ma finiva a puttane. Perché era un uomo solo. Nel decennale della
scomparsa, Marco Pastonesi ricostruisce la carriera di Pantani raccogliendo le
testimonianze inedite di chi lo ha frequentato da vicino: i suoi gregari, i
dirigenti sportivi, gli amici delle piadinerie. Una polifonia di voci inattese
che restituiscono la Romagna da cui non si è mai separato, le montagne che lo
hanno consacrato a mito, gli scalatori del passato di cui è stato erede, e le
debolezze dell'uomo: il doping, qui raccontato da una prospettiva che scardina
i luoghi comuni sul fenomeno, e la droga. "Se Pantani era un solista, e un
solitario," scrive l'autore nell'introduzione "questo libro è il coro
delle tragedie greche, è la banda che accompagna un feretro nei funerali di New
Orleans, è cento cantastorie che raccontano le gesta di un guerriero, di un
bandito, di un pirata, ed è anche una cartina geografica. Qui non c'è giudizio,
non c'è sentenza, non c'è verdetto, non c'è ordine di arrivo né classifica
generale. Ognuno ha la sua versione".
Pantani non era un Dio. Pantani era un ragazzo con un
talento incredibile per la bicicletta e una sfiga altrettanto incredibile, con
una grandissima forza di volontà che gli ha permesso di rialzarsi più volte
dopo i vari incidenti, ma anche con un carattere fragilissimo; a dispetto del
titolo (perchè abbiano scelto questo passaggio dal ricordo di John Gadret è
incomprensibile), il pregio di questo libro è proprio quello di mostrare la sua
fragilità umana tanto quanto il suo talento in modo piuttosto originale ed
efficace.
Il libro è infatti diviso in
una ventina di capitoli, ciascuno dei quali è a sua volta diviso in due: nella
prima parte l’autore racconta, con tono epico ma non retorico, le grandi
imprese di Pantani.
Nella seconda parte l’autore
lascia invece la parola ai “testimoni”, persone che gli sono state accanto nel
corso della sua vita ed hanno voluto lasciare un breve ricordo (una paginetta
al massimo) del Pirata e del loro rapporto con lui (qualche nome? Alfredo
Martini, Beppe Martinelli, Davide Boifava, Andrea Noè, Davide Cassani, Marco
Velo, Paolo Savoldelli, Massimo Podenzana, Riccardo Magrini e lo sciagurato –
per quella frase fuori posto nel titolo – John Gadret) raccontando piccoli
episodi magari insignificanti della sua vita, che messi insieme danno un quadro
della sua umana fragilità , della sua sofferenza (anche prima di Madonna di
Campiglio) e delle difficoltà di chi ha provato a stargli vicino; tanti punti
di vista diversi, tante esperienze diverse, tante tessere di un mosaico che
compongono un quadro piuttosto eterogeneo della vita pubblica e privata di
Pantani, dell’orgoglio e della difficoltà di chi gli era vicino; il racconto
è molto piacevole ed il quadro che ne esce è qualcosa di completamente diverso
da quanto eravamo abituati a leggere o sentire su Pantani.
Gradite assenti solo le tesi e le congetture sulla sua
morte, che – qualunque sia la verità – non cambiano la storia dell’uomo, il cui
destino era forse comunque tragicamente segnato.
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