venerdì 3 gennaio 2025

Draghi scopre l’acqua calda e propone di affogarci dentro - Gianluca Cicinelli

Immaginate di trovarvi su una nave che imbarca acqua. Mario Draghi, l’uomo al timone, si alza in piedi e dichiara con solennità: “C’è un problema strutturale. La nave non è più sostenibile così com’è”. Applausi. Poi aggiunge: “Ma per ripararla, sacrifichiamo le scialuppe di salvataggio”. Ed è qui che l’analogia con il capitalismo europeo odierno prende forma: un sistema che Draghi stesso riconosce come insostenibile, ma che suggerisce di riformare tagliando ancora pensioni, Stato sociale e diritti fondamentali.

L’ammissione del fallimento del capitalismo finanziario
Non è da tutti ammettere che il modello economico dominante abbia un problema, soprattutto se si è stati tra i protagonisti della sua gestione. Draghi, nel suo intervento al simposio del CEPR a Parigi, ha puntato il dito contro il paradigma europeo basato su esportazioni e bassi salari, un modello che ha compresso la domanda interna e creato una spirale di precarietà per i lavoratori. “Non è più sostenibile”, dice Draghi. E qui, caro Mario, il keynesiano che è in noi applaude: finalmente qualcuno al centro del potere riconosce che una crescita basata sul contenimento dei salari non è solo ingiusta, ma economicamente miope.

Ma non facciamo in tempo a gioire che subito arriva la proposta: non riequilibriamo la nave aumentando la spesa pubblica per rilanciare la domanda interna, come insegnerebbe Keynes. No, meglio scavare ancora più in profondità, tagliando ulteriormente il welfare. Una mossa che somiglia a spegnere un incendio con la benzina.

Ma che grande novita: le pensioni come nemico pubblico
Draghi ci mette davanti cifre impressionanti: passività pensionistiche tra il 150% e il 500% del PIL in Europa. Una cifra “monstre”, dice lui. E la soluzione qual è? Non riformare il sistema per garantire maggiore equità contributiva o migliorare la redistribuzione, ma continuare a presentare le pensioni come un peso insostenibile. Certo, in un sistema che ha scelto di favorire i capitali rispetto al lavoro, le pensioni sembrano un lusso. Ma solo perché il sistema stesso ha reso impossibile pensarle come un diritto collettivo, anziché come un fardello.

Invece di chiedersi come redistribuire ricchezza e risorse per sostenere una popolazione che invecchia, Draghi invita a “migliorare la composizione della spesa fiscale”. Traduzione: tagliare il welfare per finanziare investimenti dei quali – ironia della sorte – beneficeranno solo i soliti noti, quelli che non si preoccupano della pensione.

L’alternativa che Draghi ignora

La diagnosi è corretta: l’Europa ha bisogno di investimenti pubblici significativi per affrontare le sfide del futuro, dalla digitalizzazione alla transizione energetica. Ma Draghi scarta la soluzione più semplice e giusta: emettere debito comune europeo e rilanciare la domanda interna attraverso politiche espansive. In un sistema economico stagnante, è il settore pubblico che deve prendere l’iniziativa, stimolando investimenti e consumi per creare un ciclo virtuoso.

Invece, Draghi preferisce affidarsi al solito mantra delle “riforme strutturali”. Ma anche qui il termine viene reinterpretato: non più tagli ai salari, ma “riqualificazione” dei lavoratori. Un passo avanti, certo, ma senza politiche concrete che garantiscano salari dignitosi e diritti universali, questa riqualificazione rischia di diventare l’ennesimo slogan vuoto.

La finta urgenza delle “cifre monstre”
Uno dei trucchi più vecchi del capitalismo neoliberista è spaventare l’opinione pubblica con cifre astronomiche. Draghi non fa eccezione: passività pensionistiche enormi, 800 miliardi l’anno per investimenti in difesa, energia, digitalizzazione. Certo, sono numeri impressionanti. Ma è davvero impossibile trovare risorse? O forse è il sistema fiscale europeo, costruito per favorire i grandi capitali, che andrebbe riformato?

Keynes suggerirebbe di guardare dove si accumula la ricchezza: nei profitti delle grandi multinazionali, nei paradisi fiscali, nei mercati finanziari. Un’imposta minima europea sui profitti, una vera lotta all’evasione fiscale, e un debito comune sarebbero sufficienti a finanziare quegli investimenti senza sacrificare pensioni e welfare. Ma Draghi, come tanti altri, preferisce ignorare queste soluzioni.

Un modello di sviluppo diverso è possibile
Il problema di fondo è che Draghi – come molti altri difensori del capitalismo finanziario – non riesce a immaginare un modello di sviluppo diverso. L’Europa potrebbe puntare su una crescita inclusiva, basata su investimenti pubblici, redistribuzione e rafforzamento dello Stato sociale. Ma questo richiederebbe una svolta politica e culturale che metta al centro il benessere delle persone, non i profitti.

In conclusione, Draghi ci offre un’ammissione di colpa e una promessa di perseverare nell’errore. Riconosce che il capitalismo finanziario ha fallito, ma propone soluzioni che perpetuano le disuguaglianze. Non è troppo tardi per cambiare rotta, ma serve il coraggio di abbandonare vecchi dogmi e immaginare un futuro diverso. E questo coraggio, purtroppo, sembra mancare.

da qui

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