*[antica e prestigiosa associazione
universitaria britannica indipendente il 28 novembre ha votato che “Israele è
uno stato di apartheid responsabile di genocidio”, n.d.t.]
Non risponderò alle domande finché non
avrò finito di parlare, quindi, per favore, astenetevi dall’interrompermi.
Al Congresso Mondiale Sionista del 1921
Chaim Weizman, un ebreo russo, in merito al problema di cosa fare degli
abitanti indigeni del territorio, disse che i palestinesi erano simili alle
“rocce della Giudea, ostacoli che devono essere eliminati come su un difficile
sentiero”.
David Gruen, un ebreo polacco che cambiò
il suo nome in David Ben Gurion per sembrare appartenere alla regione
disse: “Dobbiamo espellere gli arabi e prendere il loro
posto”.
Ci sono migliaia di conversazioni di
questo tipo tra i primi sionisti che pianificarono e attuarono la
colonizzazione violenta della Palestina e l’annientamento del suo popolo
nativo. Ma ci riuscirono solo in parte, assassinando o epurando etnicamente
l’80% dei palestinesi, il che significa che il 20% di noi è rimasto, un
ostacolo resistente alle loro fantasie coloniali che divenne oggetto delle loro
ossessioni nei decenni successivi, soprattutto dopo aver conquistato ciò che
restava della Palestina nel 1967.
I sionisti si lamentano della nostra
presenza e dibattono pubblicamente in tutti i circoli (politici, accademici,
sociali, culturali) cosa fare di noi, cosa fare del tasso di natalità
palestinese, dei nostri bambini che loro definiscono una minaccia demografica.
Benny Morris, che originariamente avrebbe
dovuto essere qui, una volta espresse rammarico per il fatto che Ben Gurion
“non avesse finito il lavoro” di sbarazzarsi di tutti noi, il che avrebbe
evitato quello che loro chiamano il “problema arabo”. Benjamin Netanyahu, un
ebreo polacco il cui vero nome è Benjamin Mileikowsky, una volta si lamentò
dell’occasione mancata, durante la rivolta di piazza Tienanmen del 1989, di
espellere ampie fasce della popolazione palestinese “mentre l’attenzione
mondiale era concentrata sulla Cina”.
Alcune delle loro argomentate soluzioni
per il fastidio provocato dalla nostra esistenza includono la politica di
“rompergli le ossa” negli anni ’80 e ’90, ordinata da Yitzhak Rubitzov, ebreo
ucraino che cambiò il suo nome in Yitzhak Rabin (per le stesse ragioni).
Quella politica orribile che ha reso
disabili generazioni di palestinesi non è riuscita a farci andare via. E,
frustrati dalla resilienza palestinese, è emerso un nuovo discorso, soprattutto
dopo che un enorme giacimento di gas naturale è stato scoperto al largo della
costa settentrionale di Gaza del valore di trilioni di dollari.
Questo nuovo discorso è riecheggiato nelle
parole del colonnello Efraim Eitan, che nel 2004 ha affermato: “dobbiamo
ucciderli tutti”. Aaron Sofer, un cosiddetto consigliere intellettuale e
politico israeliano, ha insistito nel 2018 sul fatto che “dobbiamo uccidere,
uccidere e uccidere. Tutto il giorno,
tutti i giorni”.
Quando ero a Gaza ho visto un bambino di
non più di 9 anni le cui mani e parte del viso erano state spazzate via da una
scatola di cibo esplosiva che i soldati avevano lasciato per i bambini affamati
di Gaza. In seguito ho scoperto che avevano anche lasciato cibo avvelenato per
le persone a Shujaiyya e che negli anni ’80 e ’90 i soldati israeliani avevano
lasciato giocattoli esplosivi nel Libano meridionale che esplodevano quando i
bambini emozionati li raccoglievano.
Il danno che fanno è diabolico e tuttavia
si aspettano che si creda che le vittime sono loro. Invocando l’olocausto
europeo e urlando all’antisemitismo si aspettano una sospensione della basilare
ragione umana per credere che il cecchinaggio quotidiano dei bambini con i
cosiddetti “colpi per uccidere” e il bombardamento di interi quartieri che
seppelliscono vive le famiglie e spazzano via intere stirpi di parentela sia
autodifesa.
Vogliono farti credere che un uomo che non
mangia niente da oltre 72 ore, che continua a combattere anche quando ha solo
un braccio funzionante, che quest’uomo è motivato da una ferocia innata e da un
odio o una gelosia irrazionale verso gli ebrei piuttosto che dall’indomabile
desiderio di vedere il suo popolo libero nella propria patria.
Per me è chiaro che non siamo qui per
discutere se Israele sia uno Stato di apartheid o genocida. Questo dibattito
riguarda in ultima analisi il valore delle vite palestinesi, il valore delle
nostre scuole, dei nostri centri di ricerca, dei nostri libri, della nostra
arte e dei nostri sogni, il valore delle case che abbiamo costruito per tutta
la vita e che contengono i ricordi di generazioni, il valore della nostra
umanità e della nostra capacità di agire, il valore dei corpi e delle
ambizioni.
Perché se i ruoli fossero invertiti, se i
palestinesi avessero trascorso gli ultimi ottant’anni a rubare le case degli
ebrei, espellendoli, opprimendoli, imprigionandoli, avvelenandoli,
torturandoli, violentandoli e uccidendoli,
se i palestinesi avessero ucciso circa
300.000 ebrei in un anno, preso di mira i loro giornalisti, i loro pensatori, i
loro operatori sanitari, i loro atleti, i loro artisti, bombardato ogni
ospedale, università, biblioteca, museo, centro culturale, sinagoga israeliano
e contemporaneamente allestito una piattaforma di osservazione dove la gente
veniva a guardare il loro massacro come se fosse un’attrazione turistica,
se i palestinesi li avessero radunati a
centinaia di migliaia in fragili tende, bombardati in zone cosiddette sicure,
bruciati vivi, bloccato cibo, acqua e medicine,
se i palestinesi avessero fatto vagare i
bambini ebrei a piedi nudi con pentole vuote, se avessero fatto loro
raccogliere la carne dei loro genitori in sacchetti di plastica,
se avessero fatto loro seppellire i loro
fratelli e cugini e amici, li avessero fatti uscire di nascosto dalle loro
tende nel cuore della notte per dormire sulle tombe dei loro genitori, li
avessero fatti pregare di morire solo per unirsi alle loro famiglie e non
essere più soli in questo mondo terribile, e li avessero terrorizzati così tanto
che i loro bambini avessero perso i capelli, perso la memoria, perso la testa e
fatto morire di infarto bambini di 4 e 5 anni, se costringessimo senza pietà i
loro bambini ricoverati in terapia intensiva neonatale a morire da soli nei
letti d’ospedale piangendo fino a non poterne più, morendo e decomponendosi
nello stesso posto,
se i palestinesi avessero usato camion di
aiuti con farina di grano per attirare ebrei affamati e poi avessero aperto il
fuoco su di loro quando si erano radunati per raccogliere pane per un giorno,
se i palestinesi avessero finalmente permesso una consegna di cibo in un
rifugio con ebrei affamati e poi avessero dato fuoco all’intero rifugio e al
camion degli aiuti prima che qualcuno potesse assaggiare il cibo,
se un cecchino palestinese si fosse
vantato di aver fatto saltare 42 rotule di ebrei in un giorno come ha fatto un
soldato israeliano nel 2019, se un palestinese avesse ammesso alla CNN di aver
investito centinaia di ebrei con il suo carro armato con la loro carne schiacciata
impigliata nei cingoli del carro armato,
se i palestinesi avessero sistematicamente
violentato dottori ebrei, pazienti e altri prigionieri con barre di metallo
rovente, bastoni seghettati ed elettrificati ed estintori, a volte
violentandoli a morte, come è successo al dottor Adnan alBursh e ad altri, se
le donne ebree fossero state costrette a partorire nella sporcizia, a subire
tagli cesarei o amputazioni di gambe senza anestesia, se avessimo abbattuto i
loro bambini e poi decorato i nostri carri armati con i loro giocattoli, se
uccidessimo o cacciassimo le loro donne e poi posassimo con la loro lingerie…
se il mondo guardasse in diretta streaming
l’annientamento sistematico degli ebrei in tempo reale non ci sarebbe alcun
dibattito se ciò costituisca terrorismo o genocidio.
Eppure due palestinesi, io e Mohammad
el-Kurd, ci siamo presentati qui per fare proprio questo sopportando
l’umiliazione di discutere con coloro che pensano che le nostre uniche scelte
di vita dovrebbero essere quella di lasciare la nostra patria, sottometterci
alla loro supremazia o morire educatamente e in silenzio.
Ma sbagliereste a pensare che io sia
venuta per convincervi di qualcosa. La risoluzione della Camera [vedi nota
sotto il titolo], sebbene ben intenzionata e apprezzabile, ha poca importanza
nel mezzo di questo olocausto del nostro tempo.
Sono venuta con lo spirito di Malcolm X e
Jimmy Baldwin, entrambi presenti qui e a Cambridge prima che io nascessi, di
fronte a mostri ben vestiti e ben parlanti che nutrivano le stesse ideologie
suprematiste del sionismo: nozioni di diritto e privilegio, di essere favoriti,
benedetti o eletti da Dio.
Sono qui per amore della storia. Per
parlare a generazioni non ancora nate e per le cronache di questo periodo fuori
dall’ordinario in cui il bombardamento a tappeto di società indigene indifese è
legittimato.
Sono qui per le mie nonne, entrambe morte
come profughe senza un soldo mentre ebrei stranieri vivevano nelle loro case
rubate.
E sono anche venuta per parlare
direttamente ai sionisti qui e ovunque.
Vi abbiamo fatto entrare nelle nostre case
quando i vostri paesi hanno cercato di assassinarvi e tutti gli altri vi hanno
respinto. Vi abbiamo nutrito e vestito, vi abbiamo dato un riparo e abbiamo
condiviso con voi la generosità della nostra terra, e quando il momento è stato
maturo ci avete cacciati dalle nostre case e dalla nostra patria, poi avete
ucciso, derubato, bruciato e saccheggiato le nostre vite.
Ci avete lacerato il cuore perché è chiaro
che non sapete come vivere nel mondo senza dominare gli altri.
Avete oltrepassato tutti i limiti e
nutrito i più vili degli impulsi umani, ma il mondo sta finalmente intravedendo
il terrore che abbiamo sopportato per mano vostra per così tanto tempo e sta
vedendo chi siete in realtà, chi siete sempre stati. Osservano con assoluto
stupore il sadismo, la felicità, la gioia e il piacere con cui conducete,
osservate e applaudite i dettagli quotidiani della distruzione dei nostri
corpi, delle nostre menti, del nostro futuro, del nostro passato.
Ma non importa cosa accadrà da qui in poi,
non importa quali favole raccontate a voi stessi e al mondo, non apparterrete
mai veramente a quella terra. Non capirete mai la sacralità degli ulivi, che
avete tagliato e bruciato per decenni solo per farci dispetto e per spezzarci
un po’ di più il cuore. Nessuno nativo di quella terra oserebbe fare una cosa
del genere agli ulivi. Nessuno che appartenga a quella regione bombarderebbe o
distruggerebbe mai un’eredità antica come Baalbak o Battir, o distruggerebbe
antichi cimiteri come voi distruggete i nostri, come il cimitero anglicano a
Gerusalemme o il luogo di riposo degli antichi studiosi e guerrieri musulmani a
Maamanillah.
Coloro che provengono da quella terra non
profanano i morti, ecco perché la mia famiglia per secoli è stata custode del
cimitero ebraico sul Monte degli Ulivi, come atto di fede e cura per ciò che
sappiamo essere parte della nostra discendenza e della nostra storia.
I vostri antenati saranno sempre sepolti
nelle vostre terre d’origine, in Polonia, Ucraina e altrove nel mondo da cui
siete venuti. Il mito e il folklore della terra vi saranno sempre estranei.
Non sarete mai alfabetizzati al linguaggio
sartoriale dei thobe che indossiamo, derivato dalla terra attraverso le nostre
antenate nel corso dei secoli: ogni motivo, disegno e modello parla dei segreti
della tradizione locale, della flora, degli uccelli, dei fiumi e della fauna
selvatica.
Ciò che i vostri agenti immobiliari
chiamano nei loro costosi annunci “vecchia casa araba” conterrà sempre nelle sue
pietre le storie e i ricordi dei nostri antenati che le hanno costruite. Le
antiche foto e i dipinti di quella terra non vi conterranno mai.
Non saprete mai cosa si prova a essere
amati e sostenuti da coloro che non hanno nulla da guadagnare da te e, in effetti,
tutto da perdere. Non conoscerete mai la sensazione delle masse in tutto il
mondo che si riversano nelle strade e negli stadi per cantare e inneggiare alla
vostra libertà, e non è perché siete ebrei, come cercate di far credere al
mondo, ma perché siete dei colonizzatori violenti e depravati che pensano che
la vostra ebraicità vi dia diritto alla casa che mio nonno e i suoi fratelli
hanno costruito con le loro mani su terre che sono state della nostra famiglia
per secoli. È perché il sionismo è una piaga per l’ebraismo e in effetti per
l’umanità.
Potete cambiare i vostri nomi per farli
suonare più attinenti alla regione e potete fingere che falafel, hummus e zaatar siano
vostre antiche ricette, ma nei recessi del vostro essere sentirete sempre il pungiglione
di questa pazzesca falsificazione e furto, ecco perché persino i disegni dei
nostri figli appesi alle pareti dell’ONU o in un reparto di ospedale mandano i
vostri leader e avvocati in crisi isteriche.
Non ci cancellerete, non importa quanti di
noi ucciderete e ucciderete e ucciderete, tutto il giorno, tutti i giorni. Non
siamo le rocce che Chaim Weizmann pensava avreste potuto spazzare via dalla
terra. Siamo il suo stesso suolo. Noi siamo i suoi fiumi, i suoi alberi e le
sue storie, perché tutto ciò è stato nutrito dai nostri corpi e dalle nostre
vite nel corso di millenni di continua e ininterrotta abitazione di quel pezzo
di terra tra il Giordano e le acque del Mediterraneo, dai nostri antenati
cananei, ebrei, filistei e fenici, da ogni conquistatore o pellegrino che è
venuto e se n’è andato, che si è sposato o ha violentato, amato, ridotto in
schiavitù, si è convertito, insediato o ha pregato nella nostra terra lasciando
pezzi di sé nei nostri corpi e nella nostra eredità.
Le storie leggendarie e tumultuose di
quella terra sono letteralmente nel nostro DNA. Non potete ucciderlo o
portarvelo via con la propaganda, non importa quale tecnologia di morte usate o
quali arsenali di Hollywood e società di media schierate. Un giorno la vostra
impunità e arroganza finiranno. La Palestina sarà libera, sarà restaurata alla
sua gloria multireligiosa, multietnica e pluralistica, ripristineremo ed
estenderemo i treni che vanno dal Cairo a Gaza, a Gerusalemme, Haifa, Tripoli,
Beirut, Damasco, Amman, Kuwait, Sanaa e così via, porremo fine alla macchina da
guerra sionista-americana di dominazione, espansione, estrazione, inquinamento
e saccheggio.
… e voi o ve ne andrete, o imparerete
finalmente a vivere con gli altri come pari.
(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)
Nessun commento:
Posta un commento