sabato 7 dicembre 2024

Il mio intervento al dibattito dell’Oxford Union* - Susan Abulhawa

 

*[antica e prestigiosa associazione universitaria britannica indipendente il 28 novembre ha votato che “Israele è uno stato di apartheid responsabile di genocidio”, n.d.t.]

Non risponderò alle domande finché non avrò finito di parlare, quindi, per favore, astenetevi dall’interrompermi.

Al Congresso Mondiale Sionista del 1921 Chaim Weizman, un ebreo russo, in merito al problema di cosa fare degli abitanti indigeni del territorio, disse che i palestinesi erano simili alle “rocce della Giudea, ostacoli che devono essere eliminati come su un difficile sentiero”.

David Gruen, un ebreo polacco che cambiò il suo nome in David Ben Gurion per sembrare appartenere alla regione disse: “Dobbiamo espellere gli arabi e prendere il loro posto”.

Ci sono migliaia di conversazioni di questo tipo tra i primi sionisti che pianificarono e attuarono la colonizzazione violenta della Palestina e l’annientamento del suo popolo nativo. Ma ci riuscirono solo in parte, assassinando o epurando etnicamente l’80% dei palestinesi, il che significa che il 20% di noi è rimasto, un ostacolo resistente alle loro fantasie coloniali che divenne oggetto delle loro ossessioni nei decenni successivi, soprattutto dopo aver conquistato ciò che restava della Palestina nel 1967.

I sionisti si lamentano della nostra presenza e dibattono pubblicamente in tutti i circoli (politici, accademici, sociali, culturali) cosa fare di noi, cosa fare del tasso di natalità palestinese, dei nostri bambini che loro definiscono una minaccia demografica.

Benny Morris, che originariamente avrebbe dovuto essere qui, una volta espresse rammarico per il fatto che Ben Gurion “non avesse finito il lavoro” di sbarazzarsi di tutti noi, il che avrebbe evitato quello che loro chiamano il “problema arabo”. Benjamin Netanyahu, un ebreo polacco il cui vero nome è Benjamin Mileikowsky, una volta si lamentò dell’occasione mancata, durante la rivolta di piazza Tienanmen del 1989, di espellere ampie fasce della popolazione palestinese “mentre l’attenzione mondiale era concentrata sulla Cina”.

Alcune delle loro argomentate soluzioni per il fastidio provocato dalla nostra esistenza includono la politica di “rompergli le ossa” negli anni ’80 e ’90, ordinata da Yitzhak Rubitzov, ebreo ucraino che cambiò il suo nome in Yitzhak Rabin (per le stesse ragioni).

Quella politica orribile che ha reso disabili generazioni di palestinesi non è riuscita a farci andare via. E, frustrati dalla resilienza palestinese, è emerso un nuovo discorso, soprattutto dopo che un enorme giacimento di gas naturale è stato scoperto al largo della costa settentrionale di Gaza del valore di trilioni di dollari.

Questo nuovo discorso è riecheggiato nelle parole del colonnello Efraim Eitan, che nel 2004 ha affermato: “dobbiamo ucciderli tutti”. Aaron Sofer, un cosiddetto consigliere intellettuale e politico israeliano, ha insistito nel 2018 sul fatto che “dobbiamo uccidere, uccidere e uccidere. Tutto il giorno, tutti i giorni”.

Quando ero a Gaza ho visto un bambino di non più di 9 anni le cui mani e parte del viso erano state spazzate via da una scatola di cibo esplosiva che i soldati avevano lasciato per i bambini affamati di Gaza. In seguito ho scoperto che avevano anche lasciato cibo avvelenato per le persone a Shujaiyya e che negli anni ’80 e ’90 i soldati israeliani avevano lasciato giocattoli esplosivi nel Libano meridionale che esplodevano quando i bambini emozionati li raccoglievano.

Il danno che fanno è diabolico e tuttavia si aspettano che si creda che le vittime sono loro. Invocando l’olocausto europeo e urlando all’antisemitismo si aspettano una sospensione della basilare ragione umana per credere che il cecchinaggio quotidiano dei bambini con i cosiddetti “colpi per uccidere” e il bombardamento di interi quartieri che seppelliscono vive le famiglie e spazzano via intere stirpi di parentela sia autodifesa.

Vogliono farti credere che un uomo che non mangia niente da oltre 72 ore, che continua a combattere anche quando ha solo un braccio funzionante, che quest’uomo è motivato da una ferocia innata e da un odio o una gelosia irrazionale verso gli ebrei piuttosto che dall’indomabile desiderio di vedere il suo popolo libero nella propria patria.

Per me è chiaro che non siamo qui per discutere se Israele sia uno Stato di apartheid o genocida. Questo dibattito riguarda in ultima analisi il valore delle vite palestinesi, il valore delle nostre scuole, dei nostri centri di ricerca, dei nostri libri, della nostra arte e dei nostri sogni, il valore delle case che abbiamo costruito per tutta la vita e che contengono i ricordi di generazioni, il valore della nostra umanità e della nostra capacità di agire, il valore dei corpi e delle ambizioni.

Perché se i ruoli fossero invertiti, se i palestinesi avessero trascorso gli ultimi ottant’anni a rubare le case degli ebrei, espellendoli, opprimendoli, imprigionandoli, avvelenandoli, torturandoli, violentandoli e uccidendoli,

se i palestinesi avessero ucciso circa 300.000 ebrei in un anno, preso di mira i loro giornalisti, i loro pensatori, i loro operatori sanitari, i loro atleti, i loro artisti, bombardato ogni ospedale, università, biblioteca, museo, centro culturale, sinagoga israeliano e contemporaneamente allestito una piattaforma di osservazione dove la gente veniva a guardare il loro massacro come se fosse un’attrazione turistica,

se i palestinesi li avessero radunati a centinaia di migliaia in fragili tende, bombardati in zone cosiddette sicure, bruciati vivi, bloccato cibo, acqua e medicine,

se i palestinesi avessero fatto vagare i bambini ebrei a piedi nudi con pentole vuote, se avessero fatto loro raccogliere la carne dei loro genitori in sacchetti di plastica,

se avessero fatto loro seppellire i loro fratelli e cugini e amici, li avessero fatti uscire di nascosto dalle loro tende nel cuore della notte per dormire sulle tombe dei loro genitori, li avessero fatti pregare di morire solo per unirsi alle loro famiglie e non essere più soli in questo mondo terribile, e li avessero terrorizzati così tanto che i loro bambini avessero perso i capelli, perso la memoria, perso la testa e fatto morire di infarto bambini di 4 e 5 anni, se costringessimo senza pietà i loro bambini ricoverati in terapia intensiva neonatale a morire da soli nei letti d’ospedale piangendo fino a non poterne più, morendo e decomponendosi nello stesso posto,

se i palestinesi avessero usato camion di aiuti con farina di grano per attirare ebrei affamati e poi avessero aperto il fuoco su di loro quando si erano radunati per raccogliere pane per un giorno, se i palestinesi avessero finalmente permesso una consegna di cibo in un rifugio con ebrei affamati e poi avessero dato fuoco all’intero rifugio e al camion degli aiuti prima che qualcuno potesse assaggiare il cibo,

se un cecchino palestinese si fosse vantato di aver fatto saltare 42 rotule di ebrei in un giorno come ha fatto un soldato israeliano nel 2019, se un palestinese avesse ammesso alla CNN di aver investito centinaia di ebrei con il suo carro armato con la loro carne schiacciata impigliata nei cingoli del carro armato,

se i palestinesi avessero sistematicamente violentato dottori ebrei, pazienti e altri prigionieri con barre di metallo rovente, bastoni seghettati ed elettrificati ed estintori, a volte violentandoli a morte, come è successo al dottor Adnan alBursh e ad altri, se le donne ebree fossero state costrette a partorire nella sporcizia, a subire tagli cesarei o amputazioni di gambe senza anestesia, se avessimo abbattuto i loro bambini e poi decorato i nostri carri armati con i loro giocattoli, se uccidessimo o cacciassimo le loro donne e poi posassimo con la loro lingerie…

se il mondo guardasse in diretta streaming l’annientamento sistematico degli ebrei in tempo reale non ci sarebbe alcun dibattito se ciò costituisca terrorismo o genocidio.

Eppure due palestinesi, io e Mohammad el-Kurd, ci siamo presentati qui per fare proprio questo sopportando l’umiliazione di discutere con coloro che pensano che le nostre uniche scelte di vita dovrebbero essere quella di lasciare la nostra patria, sottometterci alla loro supremazia o morire educatamente e in silenzio.

Ma sbagliereste a pensare che io sia venuta per convincervi di qualcosa. La risoluzione della Camera [vedi nota sotto il titolo], sebbene ben intenzionata e apprezzabile, ha poca importanza nel mezzo di questo olocausto del nostro tempo.

Sono venuta con lo spirito di Malcolm X e Jimmy Baldwin, entrambi presenti qui e a Cambridge prima che io nascessi, di fronte a mostri ben vestiti e ben parlanti che nutrivano le stesse ideologie suprematiste del sionismo: nozioni di diritto e privilegio, di essere favoriti, benedetti o eletti da Dio.

Sono qui per amore della storia. Per parlare a generazioni non ancora nate e per le cronache di questo periodo fuori dall’ordinario in cui il bombardamento a tappeto di società indigene indifese è legittimato.

Sono qui per le mie nonne, entrambe morte come profughe senza un soldo mentre ebrei stranieri vivevano nelle loro case rubate.

E sono anche venuta per parlare direttamente ai sionisti qui e ovunque.

Vi abbiamo fatto entrare nelle nostre case quando i vostri paesi hanno cercato di assassinarvi e tutti gli altri vi hanno respinto. Vi abbiamo nutrito e vestito, vi abbiamo dato un riparo e abbiamo condiviso con voi la generosità della nostra terra, e quando il momento è stato maturo ci avete cacciati dalle nostre case e dalla nostra patria, poi avete ucciso, derubato, bruciato e saccheggiato le nostre vite.

Ci avete lacerato il cuore perché è chiaro che non sapete come vivere nel mondo senza dominare gli altri.

Avete oltrepassato tutti i limiti e nutrito i più vili degli impulsi umani, ma il mondo sta finalmente intravedendo il terrore che abbiamo sopportato per mano vostra per così tanto tempo e sta vedendo chi siete in realtà, chi siete sempre stati. Osservano con assoluto stupore il sadismo, la felicità, la gioia e il piacere con cui conducete, osservate e applaudite i dettagli quotidiani della distruzione dei nostri corpi, delle nostre menti, del nostro futuro, del nostro passato.

Ma non importa cosa accadrà da qui in poi, non importa quali favole raccontate a voi stessi e al mondo, non apparterrete mai veramente a quella terra. Non capirete mai la sacralità degli ulivi, che avete tagliato e bruciato per decenni solo per farci dispetto e per spezzarci un po’ di più il cuore. Nessuno nativo di quella terra oserebbe fare una cosa del genere agli ulivi. Nessuno che appartenga a quella regione bombarderebbe o distruggerebbe mai un’eredità antica come Baalbak o Battir, o distruggerebbe antichi cimiteri come voi distruggete i nostri, come il cimitero anglicano a Gerusalemme o il luogo di riposo degli antichi studiosi e guerrieri musulmani a Maamanillah.

Coloro che provengono da quella terra non profanano i morti, ecco perché la mia famiglia per secoli è stata custode del cimitero ebraico sul Monte degli Ulivi, come atto di fede e cura per ciò che sappiamo essere parte della nostra discendenza e della nostra storia.

I vostri antenati saranno sempre sepolti nelle vostre terre d’origine, in Polonia, Ucraina e altrove nel mondo da cui siete venuti. Il mito e il folklore della terra vi saranno sempre estranei.

Non sarete mai alfabetizzati al linguaggio sartoriale dei thobe che indossiamo, derivato dalla terra attraverso le nostre antenate nel corso dei secoli: ogni motivo, disegno e modello parla dei segreti della tradizione locale, della flora, degli uccelli, dei fiumi e della fauna selvatica.

Ciò che i vostri agenti immobiliari chiamano nei loro costosi annunci “vecchia casa araba” conterrà sempre nelle sue pietre le storie e i ricordi dei nostri antenati che le hanno costruite. Le antiche foto e i dipinti di quella terra non vi conterranno mai.

Non saprete mai cosa si prova a essere amati e sostenuti da coloro che non hanno nulla da guadagnare da te e, in effetti, tutto da perdere. Non conoscerete mai la sensazione delle masse in tutto il mondo che si riversano nelle strade e negli stadi per cantare e inneggiare alla vostra libertà, e non è perché siete ebrei, come cercate di far credere al mondo, ma perché siete dei colonizzatori violenti e depravati che pensano che la vostra ebraicità vi dia diritto alla casa che mio nonno e i suoi fratelli hanno costruito con le loro mani su terre che sono state della nostra famiglia per secoli. È perché il sionismo è una piaga per l’ebraismo e in effetti per l’umanità.

Potete cambiare i vostri nomi per farli suonare più attinenti alla regione e potete fingere che falafelhummus e zaatar siano vostre antiche ricette, ma nei recessi del vostro essere sentirete sempre il pungiglione di questa pazzesca falsificazione e furto, ecco perché persino i disegni dei nostri figli appesi alle pareti dell’ONU o in un reparto di ospedale mandano i vostri leader e avvocati in crisi isteriche.

Non ci cancellerete, non importa quanti di noi ucciderete e ucciderete e ucciderete, tutto il giorno, tutti i giorni. Non siamo le rocce che Chaim Weizmann pensava avreste potuto spazzare via dalla terra. Siamo il suo stesso suolo. Noi siamo i suoi fiumi, i suoi alberi e le sue storie, perché tutto ciò è stato nutrito dai nostri corpi e dalle nostre vite nel corso di millenni di continua e ininterrotta abitazione di quel pezzo di terra tra il Giordano e le acque del Mediterraneo, dai nostri antenati cananei, ebrei, filistei e fenici, da ogni conquistatore o pellegrino che è venuto e se n’è andato, che si è sposato o ha violentato, amato, ridotto in schiavitù, si è convertito, insediato o ha pregato nella nostra terra lasciando pezzi di sé nei nostri corpi e nella nostra eredità.

Le storie leggendarie e tumultuose di quella terra sono letteralmente nel nostro DNA. Non potete ucciderlo o portarvelo via con la propaganda, non importa quale tecnologia di morte usate o quali arsenali di Hollywood e società di media schierate. Un giorno la vostra impunità e arroganza finiranno. La Palestina sarà libera, sarà restaurata alla sua gloria multireligiosa, multietnica e pluralistica, ripristineremo ed estenderemo i treni che vanno dal Cairo a Gaza, a Gerusalemme, Haifa, Tripoli, Beirut, Damasco, Amman, Kuwait, Sanaa e così via, porremo fine alla macchina da guerra sionista-americana di dominazione, espansione, estrazione, inquinamento e saccheggio.

… e voi o ve ne andrete, o imparerete finalmente a vivere con gli altri come pari.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)


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