lunedì 23 dicembre 2024

Organizzare la disobbedienza civile

Organizzare la disobbedienza civile – Angela Dogliotti Marasso

Sabato 30 novembre, presso il Centro interculturale delle donne Alma Mater di Torino, si è svolto il seminario nazionale Ambiente e grandi opere tra politica, movimenti e informazione, organizzato dal Controsservatorio Valsusa (https://volerelaluna.it/tav/2024/12/04/grandi-opere-e-devastazione-ambientale-ce-chi-dice-no/). È stato un prezioso momento di scambio e confronto tra realtà e movimenti in lotta per una società più sostenibile e giusta. Vorrei qui riprendere alcune considerazioni a proposito delle forme di lotta da mettere in campo per affrontare efficacemente la stretta repressiva che avremo di fronte con l’approvazione del decreto sicurezza e per immaginare e costruire concrete alternative al “sistema di guerra” che permea ormai diversi ambiti della politica e della società.

Nella prospettiva della cultura e dell’esperienza dei movimenti nonviolenti, un concetto centrale è quello che il potere si contrasta sottraendogli consenso, indebolendo i pilastri sui quali si regge, attraverso la non collaborazione e la disobbedienza civile. L’obiezione di coscienza al servizio militare è un chiaro esempio di non collaborazione con il sistema bellico, e in questo momento rappresenta una delle forme di opposizione alle guerre in corso. Ci sono casi di obiezione di coscienza in Ucraina e in Russia, come in Israele. In Italia la leva obbligatoria è stata sospesa ma, poichè è possibile che sia reintrodotto il servizio militare obbligatorio, è importante rivendicare il diritto all’obiezione di coscienza sancito dalla legge del 1972. C’è una campagna del Movimento Nonviolento che invita a dichiararsi obiettori alla guerra fin d’ora; vale per tutti, ma sarebbe significativa soprattutto per i giovani iscritti nelle liste di leva dei Comuni, per dare un segnale politico di non collaborazione in caso di mobilitazione bellica.

Un altro caso di non collaborazione è ad esempio, lo sciopero dei portuali di Genova contro le navi che trasportano armi, o la mobilitazione in Sardegna contro la produzione ed esportazione di bombe da parte della RWM Rheinmetall in Arabia Saudita, usate nella guerra in Yemen. Questa lotta ha dato origine anche a un’interessante produzione di beni warfree, per indicare strade alternative di lavoro e riconversione dal militare al civile.

Diverse possono essere le forme di disobbedienza civile, come quelle oggi praticate dai nuovi movimenti di Fridays for Future, Extinction Rebellion, Ultima generazione, che hanno portato il loro contributo al seminario, e che si possono concretamente sostenere anche aiutando gli attivisti colpiti da multe salate con donazioni solidali.

Un punto essenziale è prendere coscienza che una lotta è tanto più efficace quanto più riesce a far passare dalla parte dell’opposizione quell’ampia fascia di “indecisi” o “indifferenti” che sta in mezzo, tra chi sostiene il potere e chi lo contrasta. Tutte le lotte popolari hanno avuto un grande seguito quando sono riuscite a smuovere fasce ampie e diversificate di popolazione, spostandole verso le ragioni degli oppositori. La Valsusa insegna. Lo ha testimoniato fino all’ultimo anche il compianto Alberto Perino (https://volerelaluna.it/tav/2024/10/04/ciao-alberto-a-sara-dura/), che qui voglio ricordare con affetto e riconoscenza. Questo comporta, perciò, una particolare attenzione alle modalità di lotta, che devono essere capaci di rendere evidenti le ragioni dell’opposizione e attrarre consenso e solidarietà dal basso. Non è un caso che il disegno di legge sicurezza in discussione al Senato sia stato soprannominato “anti-Gandhi”: è una dichiarazione di impotenza da parte di un potere autoritario, che, contro manifestazioni dichiaratamente nonviolente non riesce a far altro che reprimerle, venendo meno, in tal modo, al carattere costitutivamente conflittuale di una società democratica.

Come organizzare dunque efficaci, ampie e condivise forme di opposizione, capaci di imprimere una svolta, un cambio di direzione, in un contesto tragicamente connotato da molteplici crisi, da quella bellica a quella climatica, a quella delle stesse forme della democrazia rappresentativa? È un lavoro lungo e impegnativo, che richiede collaborazione e costruzione di reti di mutuo aiuto e sostegno dal basso, come nella miglire tradizione delle origini del movimento operaio. Tre sono i livelli sui quali impegnarsi, ciascuno secondo le proprie migliori attitudini e capacità, ma cercando di tenerli compresenti e in connessione tra loro:

1) un nuovo immaginario, una cultura profonda che sappia offrire una visione di futuro, contrastando il pensiero dominante bellicista e consumista, fondato sul pregiudizio della crescita illimitata, della inevitabilità delle diseguaglianze e del dominio del più forte; un pensiero che, con Alex Langer, invece del “più veloce”, “più alto”, “più forte”, valorizzi il “più lento”, “più profondo”, “più dolce”; che sappia spiegare con linguaggio accessibile a tutti su quali fondamenti di equità, sostenibilità e nonviolenza si costruisce la società che vogliamo. Controinformazione, decostruzione delle narrative dominanti, giornalismo di inchiesta sono strumenti efficaci a far emergere i dati di realtà contro le fake news e la propaganda. Un lavoro culturale ed educativo è dunque il primo tassello fondamentale per la costruzione di un’alternativa. Scuola, Università, istituti culturali, associazioni ne sono le sedi privilegiate;

2) lo sviluppo della consapevolezza che ciascuno può e deve usare il potere che è nelle proprie mani per scegliere con il voto, con la protesta, con le azioni di disobbedienza civile, di sciopero, di non collaborazione, la società nella quale vuole vivereTra gli strumenti di lotta a disposizione sottolineo qui l’importanza del boicottaggio (https://volerelaluna.it/politica/2024/06/10/il-boicottaggio-uno-strumento-di-lotta-nonviolenta-alla-portata-di-tutti/), perchè in una società di mercato si può fare politca efficacemente anche non comprando un prodotto insostenibile dal punto di vista ambientale o sociale, decidendo di togliere i propri soldi dalle “banche armate” (esiste un’apposita campagna), rifiutando a livello accademico partnership in progetti coinvolti nella ricerca militare… Di fronte alla intollerabile connivenza o impotenza della comunità internazionale nei confronti della politica genocida del governo israeliano, ad esempio, si può accogliere l’invito del movimento BDS, promuovendo il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni verso tutte le aziende, le università, le istituzioni israeliane coinvolte nell’occupazione, nell’espulsione e nel massacro della popolazione palestinese, come hanno chiesto a gran voce movimenti studenteschi e istituzioni accademiche in tutto il mondo;

3) un “programma costruttivo” che renda visibile ciò per cui si lotta. Si potrebbe definire “praticare l’alternativa”, ovvero, costruire nel momento stesso in cui si lotta, pezzi di esperienza, pratiche di condivisione e di vita che prefigurano ciò verso cui si tende. Ci sono diversi esempi: quello degli operai di GKN, di cui ha dato testimonianza uno degli interventi in questo seminario, è uno di questi. Ma anche esperienze molto più alla portata di tutti, come i Gruppi di acquisto solidali (GAS), che sostengono piccoli produttori biologici e aziende eticamente sostenibili, sono un modo per affermare qui e ora un modello diverso di produzione, di distribuzione e di consumo. Anche in una situazione tragica come quella del conflitto israelo palestinese, ad esempio, ci sono semi di convivenza, “pianticelle fragili” che testimoniano un diverso modi di concepire il rapporto con l’altro e di pensare al futuro di quella terra “predestinata dalla sua storia ad appartenere in comune a molti popoli e molte fedi” (1). Come fa l’associazione Combattenti per la pace (le cui due co-direttrici, Rana palestinese ed Eszter, israeliana, abbiamo ascoltato recentemente anche a Torino), nella quale palestinesi e israeliani lottano insieme contro l’occupazione, prefigurando una società in cui dal fiume al mare sia possibile convivere tutti con gli stessi diritti.

Non è certo facile, ma ciò che importa è non rassegnarsi all’impotenza. Tutti i cambiamenti sono iniziati da frange marginali della società, che poi, crescendo e facendo massa critica sono riuscite a imprimere una svolta e a realizzare profonde trasformazioni. Erica Chenoweth e Maria Stephan, nella loro fondamentale ricerca sull’efficacia delle lotte nonviolente nel corso dell’ultimo secolo (2) scrivono che se i movimenti riescono a mobilitare il 3,5% di cittadini su un determinato obiettivo è molto probabile che la loro lotta riesca a raggiungerlo. Una ragione in più per non scoraggiarsi e trovare forme di collaborazione e di mobilitazione comuni.

Note:

(1) Lavinia Bianchi (a cura ), Langer, La pedagogia implicita, Scholè, 2023

(2) E. Chenoweth, M. Stephan, Why Civil Resistance Works, Columbia University Press, 2011 e anche E. Chenoweth, Civil resistance: what everyone needs to know, Oxford University Press, 2021, traduzione italiana: Come risolvere i conflitti. Senza armi e senza odio, con la resistenza civile, Sonda, 2023

da qui

 

 

15 casi di disobbedienza civile (che hanno fatto la differenza) – Caroline Grebbell

Credere in qualcosa non é sufficiente. Per ottenere dei cambiamenti, bisogna essere disposti a prendere posizione per difendere ciò in cui si crede.

– Edward Snowden

La situazione sembra disperata, e ogni speranza sembra essere scomparsa.

La nostra generazione non è certo la prima a confrontarsi con questo dilemma. La storia può indicarci altri individui afflitti dallo stesso problema. Persone comuni che di fronte ad ingiustizie di ogni genere hanno osato agire, sfidando l’autorità.

Abbiamo il diritto e l’ obbligo morale di protestare di fronte a casi di ingiustizia politica, economica o sociale. Molti diritti che oggi diamo per scontati – come i diritti umani, i diritti delle donne, i diritti dei lavoratori – sono stati ottenuti in seguito ad attività di protesta.

Implementare cambiamenti è sempre stato difficile, ma dobbiamo ricordare che è possibile.

Cos’è la disobbedienza civile?

Il termine disobbedienza civile identifica il rifiuto attivo e non violento di certe disposizioni governative: un modo per segnalare che i cittadini sono disposti ad infrangere la legge per opporsi a misure percepite come ingiuste.

L’obiettivo di un’azione di disobbedienza civile è quello di interrompere la quotidianità ed attirare l’attenzione generale, scatenando dibattiti sulla necessità di cambiare in modo radicale e progressivo alcuni elementi della nostra società e del mondo in cui viviamo.

Un’azione di disobbedienza civile non deve necessariamente essere estrema. Abbiamo tutti il potenziale per essere degli attivisti. Progetti semplici sono spesso alla base di azioni più grandi, e possono essere un’ispirazione per chi non sa bene dove convogliare le proprie preoccupazioni, così da dargli la possibilità di ampliare le proprie conoscenze ed essere parte attiva del cambiamento a livello globale.

A seguire, vi presentiamo 15 esempi di disobbedienza civile verificatisi nell’arco del secolo scorso. Dall’azione solitaria di una giovane donna a Montgomery alle proteste di massa in Scozia e Sudan, tutti questi manifestanti sono rimasti uniti nella loro richiesta di giustizia e nella lotta per un mondo migliore.

 

  1. Battaglia per il suffragio universale: Regno Unito, 1928

Considerate il sesso inferiore, le donne non hanno diritto di voto e non possono partecipare in nessun modo alla vita politica. Ma le donne decidono di opporsi attivamente a quest’ingiustizia.

Atti non Parole.

La battaglia per il suffragio femminile (il diritto delle donne al voto) nel Regno Unito coinvolse gruppi del movimento operaio femminile e l’Unione Nazionale delle Società per il Suffragio Femminile (NUWSS), un’organizzazione più moderata. Credendo nel potere della disobbedienza civile, membri della NUWSS ostacolarono riunioni del Parlamento, si incatenarono in luoghi pubblici, distribuirono manifesti ed organizzarono incontri informativi e seminari.

L’organizzazione militante Unione Femminile Politica e Sociale (WSPU) era invece pronta ad usare qualsiasi mezzo necessario, incluse azioni dirette e spesso violente.

Molte Suffragette continuarono la loro azione di protesta anche dopo essere state arrestate attraverso scioperi della fame.

Le Suffragette sono spesso ritratte come donne benestanti: eppure, migliaia di coraggiose donne membre della classe operaia fecero enormi sacrifici per il movimento, dovendo spesso affrontare punizioni più severe rispetto alle loro controparti con uno status sociale più elevato.

Non tutte potevano permettersi questi sacrifici. Molte donne avevano una famiglia da mantenere, dovendo spesso affrontare turni di lavoro massacranti in fabbrica o come domestiche oltre alla cura dei figli e della casa.

La Legge sulla Rappresentanza del Popolo del 1918 garantì il diritto di voto alle donne inglesi sopra ai 30 anni. Il suffragio universale, ossia il diritto di voto alle donne sopra i 21 anni, come nel caso degli uomini, venne approvato nel 1928.

La vittoria delle Suffragette in Inghilterra fu resa possibile da anni di proteste, lotte ed enormi difficoltà. Ogni donna scelse il proprio ruolo, ed ogni ruolo ebbe la propria importanza.

Le prime donne ad ottenere il diritto di voto furono le Neozelandesi nel 1893. L’Arabia Saudita ha approvato il suffragio femminile nel 2015. Ogni rivoluzione richiede del tempo, ma ogni cambiamento può avere un impatto duraturo sul corso della storia umana.

 

2.Marcia del Sale: India 1930

Costretti a pagare prezzi esorbitanti per un bene di prima necessità come il sale, migliaia di indiani marciano verso la vittoria e l’indipendenza.

Il diritto di opporsi al potere

La Tassa sul Sale del 1882 proibiva ai cittadini indiani soggetti alla dominazione coloniale britannica di estrarre, produrre o vendere sale, un minerale essenziale per il metabolismo umano in un paese dal clima caldo e umido come l’India. La legge colpiva soprattutto la popolazione più povera, che non poteva permettersi di comprare il sale venduto dagli inglesi, soggetto a forti tassazioni. I trasgressori venivano arrestati.

Il Mahatma Gandhi lasciò il suo ashram a Sabarmati il 12 Marzo 1930 con 78 persone al seguito, che ben presto divennero decine di migliaia, per intraprendere una marcia di 240 miglia verso il Mare Arabico.

Il gesto simbolico di raccogliere un pugno di sale dal terreno compiuto dal Gandhi il 6 aprile nella città costiera di Dandi rappresentava un’aperta violazione della legge britannica. Gandhi aveva mobilitato il satyagrahi, una filosofia di ostruzionismo non violento.

Migliaia di indiani seguirono l’esempio di Gandhi all’interno del Movimento di Disobbedienza Civile attraverso la raccolta e la compravendita “illegale” di sale in tutto il paese. 60,000 manifestanti vennero arrestati, compreso lo stesso Gandhi, contribuendo ad informare l’opinione pubblica internazionale sulla situazione in India.

La Marcia del Sale (e il successivo Movimento di Disobbedienza Civile) colpì l’Impero Britannico alle fondamenta e rappresentò un momento di svolta nel percorso verso l’indipendenza, raggiunta nel 1947. Fu un semplice atto di disobbedienza civile di grande portata e risonanza, sostenuto da individui con il coraggio e la convinzione di opporsi ad una potenza mondiale.

 

  1. Lotta alla segregazione razziale: USA 1955-56

Quando una ragazza afroamericana viene costretta a cedere il proprio posto ad una donna bianca, gli abolizionisti le danno la forza di non muoversi.

La storia mi tenne incollata al mio posto

All’età di 15 anni, la studentessa Claudette Colvin fu la prima donna afroamericana a rifiutarsi di cedere il proprio posto ad una donna bianca su un autobus nella città di Montgomery, in Alabama.

Colvin dichiarò di aver avvertito la presenza delle abolizioniste Harriet Tubman e Sojourner Truth che la incoraggiarono a non muoversi. Venne allontanata a forza dal mezzo e sottoposta ad attacchi sessisti e razzisti prima di essere arrestata e confinata in una prigione per adulti.

A seguito dell’arresto di Rosa Parks nove mesi più tardi per lo stesso motivo, il Women’s Political Council (WPC), un’organizzazione di donne afroamericane impegnate nel movimento per i diritti civili, distribuì 50,000 volantini con lo scopo di boicottare il sistema dei trasporti di Montgomery. Non appena la notizia cominciò a circolare, molti leader afroamericani di Montgomery si offrirono di appoggiare la causa.

Dal 5 dicembre 1955 al 20 dicembre 1956, circa 40,000 afroamericani rifiutarono di prendere un autobus a Montgomery. Alcuni scelsero di spostarsi a piedi e altri organizzarono programmi di carpooling, mentre i tassisti afroamericani locali offrirono i propri servizi allo stesso prezzo di un biglietto dell’autobus.

I manifestanti erano pronti a continuare finchè l’amministrazione cittadina non avesse soddisfatto le loro richieste, che comprendevano la richiesta di assumere guidatori di autobus afroamericani e garantire una politica di “primo arrivato, primo seduto”. Alla fine, un gruppo di donne di Montgomery portò il caso di fronte al Tribunale Distrettuale nel tentativo di abolire completamente le leggi segregazioniste.

Nel dicembre 1956, la Corte Suprema dichiarò anticostituzionale la segregazione razziale a bordo degli autobus urbani (non di quelli interstatali). Il processo, che terminò il boicottaggio, fu in parte costruito sulla testimonianza di Claudette Colvin.

Seguirono numerose altre azioni di massa, come i Viaggiatori per la Libertà nel 1961, e La Crociata dei Bambini di Birmingham, 1963, in cui centinaia di manifestanti furono brutalmente attaccati ed arrestati.

La segregazione razziale venne ufficialmente abolita solo nel 1964, quando le leggi Jim Crow vennero revocate dal Civil Rights Act.

 

  1. L’abbandono di Wave Hill: Australia 1966-1975

Duecento persone si trasferiscono nella loro terra ancestrale, lasciandosi alle spalle anni di abusi, e rifiutano di andarsene, lottando perchè la popolazione indigena si veda restituita la propria terra.

Senza la nostra terra non siamo niente

L’anziana guida della tribù Gurindji Vincent Lingiari spinse duecento allevatori ad abbandonare la fattoria privata Wave Hill nel Territorio del Nord per protestare contro i bassi salari, la condizione di povertà diffusa e decenni di abusi. Il “gruppo di sfollati” si stabilì a Daguragu, opponendosi a qualsiasi istanza di abbandonare la zona. La protesta continuò per i successivi sette anni.

I continui sforzi di Lingiari diedero forza ai manifestanti, che vennero presto supportati da altri Australiani non aborigeni. Dieci anni dopo, nel 1975, 3300 km quadrati di territorio australiano vennero restituiti alla tribù Gurindji: fu il primo caso in cui una tribù indigena si vide riconsegnata la propria terra e aprì la strada alla legislatura per i diritti sul territorio.

Nel 1976, la firma della Legge sui Diritti Fondiari degli Aborigeni (Territorio del Nord) permise formalmente alla popolazione indigena di reclamare i propri territori ancestrali.

Un’azione a sostegno dei diritti dei lavoratori contribuì ad una vittoria per i diritti sul territorio.

 

  1. La sorsata: USA 1966

Quattro uomini entrano in un bar e chiedono da bere, ma lo staff rifiuta di servirli in quanto gay. I quattro rischiano l’arresto per diffondere la propria storia.

Siamo omosessuali

Nella New York del 1966, servire alcolici a clienti omosessuali era considerato illegale. Con il pretesto di disturbo della quiete pubblica, operazioni di ‘pulizia’ cittadine incoraggiavano la chiusura di locali gay e l’arresto di clienti omosessuali in altri locali. Molti videro la propria vita distrutta a seguito di queste misure.

Dick Leitsch, una figura centrale nella lotta per i diritti gay, e tre suoi amici membri della Mattachine Society—John Timmins, Randy Wicker and CraigRodwell—entrarono nel Julius’ bar a Greenwich Village, dichiararono apertamente di essere omosessuali e ordinarono da bere. Questa viene considerata la prima azione organizzata di disobbedienza civile a opera della comunità gay.

Lo staff rifiutò di servirli e l’incidente ricevette ampia copertura mediatica. Nel giro di un anno, il tribunale dello stato di New York pose fine alla pratica di revocare la licenza di servire alcolici con l’accusa di favorire la comunità gay, aprendo così la strada alla nascita dei primi gay bar ufficiali.

Le successive azioni di Leitsch contribuirono a porre fine alle pratiche di arresto indiscriminato a seguito di accuse basate esclusivamente sulla testimonianza della polizia.

Ispirato dai sit-in di protesta contro la segregazione razziale presso alcune tavole calde, questo è un esempio perfetto di come le azioni non violente di quattro individui coraggiosi contribuirono a grandi cambiamenti sociali e a trasformare l’opinione pubblica.

 

6: Le proteste di Marina-Culebra: Porto Rico 1970

Mentre una superpotenza mondiale attacca una minuscola isola a colpi di bombe e proiettili, i cittadini rifiutano di arrendersi e continuano a lottare per la propria terra.

Culebra deve restare Culebra

Nel 1970, gli abitanti dell’isola di Culebra organizzarono una serie di proteste contro la Marina degli Stati Uniti, che usava l’isola come zona di addestramento militare.

2000 dei 7000 ettari della superficie dell’isola erano stati espropriati dalla Marina per essere utilizzati come zona di prova di bombardamento. Inoltre, un’area di tre miglia intorno all’isola era stata dichiarata ad accesso vietato, di fatto imprigionando i 700 abitanti dell’isola. Le tradizionali attività di pesca furono rese praticamente impossibili, e ogni forma di allevamento doveva essere condotta su territorio di proprietà della Marina.

Alcuni servizi della rivista LIFE menzionano “gli scricchiolii di bombe da oltre 500 kg, i gemiti degli aerei, i continui spari e il rimbombo dell’artiglieria navale”. Secondo i manifestanti, le missioni di bombardamento, che potevano essere condotte sette giorni su sette, avevano ridotto Culebra in uno ‘stato pietoso.’

I manifestanti continuarono a sostenere il loro diritto di occupare l’intera isola, e in soli tre giorni costruirono una cappella sulla Flamingo Beach, una della principali zone di esercitazione. L’esercito ordinò loro di abbandonare la spiaggia, ma i manifestanti rifiutarono, e sei di loro vennero arrestati. Una settimana dopo, la marina distrusse la cappella.

I manifestanti continuarono ad occupare zone ad accesso limitato, compresa la stessa Flamingo Beach, rimanendo sul posto per settimane. Gli abitanti dell’isola si accamparono sui territori di proprietà della Marina, che vennero anche usati per la costruzione di campi sportivi e cimiteri.

Il presidente del Partito Indipendentista di Porto Rico e uno dei leader delle proteste Rubén Berríos fu condannato a tre mesi di carcere a Porto Rico insieme ad altri tredici attivisti per disobbedienza civile e violazione di proprietà privata.

Nel 1974, tutti i partiti politici di Porto Rico chiesero apertamente alla Marina statunitense di cessare le esercitazioni e abbandonare l’isola. Dopo l’intervento del presidente Nixon, la Marina abbandonò finalmente l’isola nel dicembre del 1975.

Un altro esempio di un manipolo di coraggiosi attivisti uniti nell’opposizione ad una potenza mondiale.

 

  1. I tre manifestanti di Pureora: Nuova Zelanda 1978

Un gruppo di amici attivisti si accampa tra i rami di alberi millenari mentre sotto di loro ruspe e motoseghe minacciano di distruggevano la foresta.

Non c’è altro modo

Negli anni 70, gruppi ambientalisti locali cominciarono a concentrarsi sui danni inflitti dall’industria del legname in Nuova Zelanda. Rispetto al 19 secolo, il paese aveva perso due terzi delle sue foreste a causa del taglio e trasporto di legname. A livello mondiale, l’industria del legname in Nuova Zelanda è responsabile per la produzione dell’ 1.1% di legno per la lavorazione industriale e dell’1.3% di prodotti derivati dallo sfruttamento delle foreste.

Una petizione con oltre 350 000 firme venne presentata in Parlamento per chiedere la fine dello sfruttamento intensivo delle foreste e protezione a livello legale per le foreste locali. Nonostante questo, il governo autorizzò l’abbattimento della foresta millenaria di Pureora.

Nel primo sit-in su un alberodella storia, gli attivisti Steven King, Shirley Guildford e altri membri del Native Forest Action Council guidarono le proteste contro l’abbattimento della foresta di Pureora.

Gli attivisti si mossero rapidamente, e ottennero il permesso di campeggiare nella foresta. Si arrampicarono su un gruppo di alberi di totara e chiesero al governo di abbandonare i piani di sfruttamento di Pureora. I manifestanti occuparono la zona costruendo piattaforme e case sugli alberi, e rifiutarono di andarsene. Alcuni si frapposero fisicamente tra gli alberi e le motoseghe. La velocità della loro reazione si rivelò cruciale nel permettere loro di occupare la zona prima che le autorità potessero intervenire.

La protesta attirò l’attenzione del governo e della collettività sul problema della distruzione dell’habitat della foresta, la perdita di biodiversità e la fragilità degli ecosistemi naturali.

La protesta fu un semplice atto di disobbedienza civile intrapreso da un piccolo gruppo di persone consapevoli che petizioni e lunghi dibattiti non avrebbero fermato ruspe e motoseghe. Il sit-in incoraggiò il governo a decretare un’interruzione delle attività di sfruttamento del legname, seguita da un divieto ufficiale a seguito della creazione del Parco Forestale di Pureora in 1978. È ancora possibile arrampicarsi sulla piattaforma creata in occasione della protesta.

 

  1. No alle attività minerarie tossiche: Estonia 1987

Studenti e scienziati si oppongono ai Sovietici nella lotta contro le grandi miniere che inquinano il paese e sfruttano i lavoratori.

Fosforite – no grazie!

Negli anni 60, l’Unione Sovietica cominciò a sfruttare i ricchi depositi di fosforite in Estonia per produrre fertilizzanti. In questo periodo, le falde acquifere del paese furono contaminate a seguito di operazioni di fracking (estrazione di petrolio o gas) su larga scala. Il fluido fratturante usato durante l’estrazione di gas naturale è un cocktail di vari prodotti chimici, tra cui i biocidi, e i liquidi contaminati da questo agente fratturante contengono materiali radioattivi. Le operazioni di fracking rilasciano anche gas tossici che sono stati collegati ad una maggiore incidenza di difetti congeniti nei neonati, problemi neurologici e cancro.

Nel 1987, un’emittente televisiva locale rilasciò un servizio sul progetto dell’Unione Sovietica di aprire un’enorme miniera di fosforite a Virumaa. Il governo sovietico in Estonia era già stato criticato per la sua mancanza di trasparenza, e la notizia scatenò un’estesa campagna di protesta nota come la Guerra della Fosforite.

Inizialmente la censura sovietica si limitò ad oscurare le voci di dissenso, ma la stampa locale presto si schierò dalla parte dei cittadini supportando la loro opposizione alla miniera. Membri dell’Accademia Estone delle Scienze, guidati da Endel Lippmaa, avvertirono della possibile contaminazione di oltre il 40% delle riserve idriche estoni.

La protesta raggiunse il culmine nella primavera del 1987, quando gli studenti dell’università di Tartu organizzarono due manifestazioni pacifiche. Gli attivisti distribuirono cartelli e magliette con lo slogan “fosforite? No grazie!”. Molti musicisti estoni parteciparono alle proteste, e alcune delle loro canzoni divennero simboli di questa lotta.

Nell’ autunno del 1987, il governo estone raggiunse un compromesso con l’Unione Sovietica e la costruzione della miniera venne interrotta. Questa fu la prima protesta con una tale portata nell’Estonia sovietica, che si rivelò fondamentale nel fomentare la resistenza contro l’Unione Sovietica e ristabilire l’indipendenza estone nel 1991.

La Guerra della Fosforite fu un momento fondamentale nella storia ambientalista dell’Estonia. Le proteste contribuirono ad unire la società estone, dando alla popolazione un rinnovato senso di appartenenza alla collettività, e a dimostrare il potenziale dell’azione collettiva. Soprattutto, liberò la popolazione dal terrore.

 

  1. Rifiuto della poll tax: Regno Unito 1989 – 1990

Il Regno Unito si mobilita in massa per combattere un sistema ingiusto messo in piedi da un nemico comune – il governo britannico.

Non possiamo pagare! Non vogliamo pagare!

La poll tax (o tassa comunitaria) fu introdotta in Scozia nel 1989, in Inghilterra e in Galles nel 1990. Si trattava di un’unica tassa forfettaria per ogni adulto, senza distinzione di reddito.

Per questo motivo, le famiglie con minor reddito si trovarono costrette a pagare una tassa più alta rispetto agli elettori più abbienti. Si sparse presto la voce che il Duca di Westminster e il suo autista avrebbero dovuto pagare la stessa somma.

Gli scozzesi si opposero duramente alla poll tax a partire dalla sua entrata in vigore, il 1 aprile 1989, e lottarono a lungo per abolirla.

Il 31 marzo 1990, 50,000 persone marciarono pacificamente attraverso il centro di Glasgow per protestare contro la poll tax. Un’azione di resistenza organizzata non permise al consiglio comunale di riscuotere la tassa, impedendo anche alla polizia di arrestare i trasgressori. Il blocco di quartieri residenziali e case private da parte di ufficiali nominati dal tribunale fu una parte cruciale della lotta scozzese.

Manifestanti inglesi e gallesi presero ispirazione dalle proteste in Scozia, ma i risultati non furono altrettanto pacifici. Una protesta a Londra sfociò nelle rivolte più violente della storia cittadina dell’ultimo secolo: oltre 340 manifestanti vennero arrestati, 113 feriti.

Margaret Thatcher, primo ministro in carica, fu ampiamente criticata per il disastro politico e fiscale, e fu costretta a dare le dimissioni. Il suo successore John Major sostituì la tassa comunitaria con un sistema di tasse comunali, vale a dire un sistema di tassazione localizzato basato sul valore di proprietà.

Alla fine del 1990, circa 4 milioni di persone avevano rifiutato di pagare la poll tax rischiando l’arresto. Questa protesta spontanea, riunì esponenti di ogni classe sociale. Come altri manifestanti prima di loro, molti videro la resistenza come l’unica opzione, anche a costo di dover affrontare la prigione.

Il rifiuto di pagare la tassa paralizzò completamente il sistema.

 

  1. Legge sui brevetti non etici: 1998 – giorni nostri

Grandi corporazioni monopolizzano i brevetti delle sementi nel tentativo di controllare la nostra alimentazione. In tutto il mondo, coraggiosi agricoltori si oppongono a questo sistema rischiando la rovina. Ogni piccola vittoria è importante.

Salvare i semi è un atto politico

A seguito di una battaglia legale internazionale, agricoltori che hanno coltivato e condiviso le proprie sementi per migliaia di anni rischiano di venire giudicati come criminali.

Tre grandi corporazioni dominano tre quarti del mercato dei semi globale. L’attivista per l’ambiente e l’agricoltura Vandana Shiva lotta per abrogare leggi non etiche che privano i contadini del diritto di conservare e scambiare i propri semi. La sua argomentazione si basa sulla nozione che chi controlla le nostre risorse di cibo controlla il mondo.

Questo porta i contadini a perdere la propria autonomia. Devono per forza comprare i semi brevettati dalle corporazioni di sementi. I semi “terminator”, per esempio, sono stati geneticamente mofidicati per diventare sterili dopo il primo raccolto. Oltre a essere molto costosi, richiedono grandi quantità di pesticidi e fertilizzanti artificiali, tutti prodotti offerti a caro prezzo dalle stesse corporazioni. Anno dopo anno, i contadini devono continuare a comprare semi e pesticidi. Quelli che non vengono sommersi dai debiti diventano parte della catena produttiva delle corporazioni.

La biodiversità agricola è fondamentale per contrastare molte delle sfide che dobbiamo affrontare a livello globale, come la comparsa di nuovi tipi di malattie, gli effetti nefasti del cambiamento climatico e difficoltà socio-economiche. La capacità di adattamento di un certo tipo di coltura è sempre stato un elemento importantissimo per la nostra sopravvivenza: eppure, secondo uno studio della FAO, durante il 20 secolo la biodiversità agricola è diminuita del 75% a seguito dei processi di privatizzazione e dell’uso estensivo di monocolture (la coltivazione ininterrotta dello stesso tipo di pianta nella stessa porzione di territorio).

La resistenza contro la privatizzazione dei semi è presente in tutto il mondo. Molti contadini hanno continuato a coltivare varietà di semi locali, rischiando multe e perfino l’arresto. Hanno protestato, scioperato e rifiutato di arrendersi. Qualche volta sono riusciti a vincere. I loro successi, per quanto piccoli possano sembrare, hanno avuto un impatto incredibile per gli individui direttamente coinvolti.

Forse questi agricoltori non riusciranno a cambiare il mondo nell’immediato, ma con i loro sforzi continueranno a cambiare la propria società, e questo a sua volta porterà cambiamenti a livello globale.

 

  1. Rivolte contadine: Francia 1999

Un allevatore di pecore francese trova un modo simbolico per protestare contro l’invasione delle multinazionali smantellando un McDonald un mattone alla volta.

La lotta contro la McDomination

Nel 1999, José Bové con l’aiuto di 300 sostenitori distrusse un McDonald in costruzione a Millau (Aveyron). Con questa azione simbolica, Bové voleva protestare contro la globalizzazione e l’ingerenza delle multinazionali che stavano causando la perdita della sovranità alimentare – vale a dire il diritto ad un alimentazione sana, variata e adatta al contesto culturale prodotta in modo sostenibile. L’azione di Bové esprimeva la preoccupazione dei produttori tradizionali, in Francia come nel resto del mondo.

La protesta di Bové ispirò una nuova generazione di attivisti agricoli, inserendosi all’interno di un movimento più ampio che si opponeva all’ingresso in Europa di prodotti e colture geneticamente modificati.

Bové venne citato in giudizio e si presentò al processo a bordo di un carro, stringendo una forma di formaggio Roquefort. Condannato a tre mesi di prigione, l’allevatore fu salutato da fragorosi applausi e fu scortato in carcere da un convoglio di trattori.

Bové scelse di usare tattiche pacifiche di disobbedienza civile per attirare l’attenzione su gravi problemi sociali e vinse centinaia di sostenitori accettando di scontare la sua sentenza in carcere. La sua protesta fece risuonare preoccupazioni diffuse sulla sicurezza alimentare in Francia, sfidando quella che per molti rappresentava una minaccia all’identità culturale francese.

Questo allevatore di pecore/attivista fu l’ispiratore di un movimento di proteste internazionale che coinvolse la Confederation Paysanne, l’ Associazione per il Supporto dell’Agricoltura Contadina e La Via Campesina, il movimento contadino internazionale. Queste organizzazioni continuano a lottare per difendere i diritti umani, compreso il diritto a controllare le proprie risorse alimentari.

Bové è stato anche uno dei leader del movimento che si battè con successo per proibire la coltivazione di prodotti OGM in Francia e in Europa. (La Spagna e il Portogallo sono gli unici paesi europei a coltivare prodotti OGM). È stato Membro del Parlamento Europeo con il partito dei Verdi dal 2009 al 2019.

  1. Resistenza allo sfratto: Spagna 2008 – giorni nostri

I cittadini esercitano il proprio potere opponendosi allo sfratto mentre il governo e le banche non fanno nulla per aiutare una popolazione in crisi.

Il governo salva le banche: la PAH salva i cittadini

Tra il 2008 e il 2012, la Spagna vide l’esecuzione di 250,000 ordini di sfratto, con una media di 184 sfratti al giorno nel 2013.

Organizzazioni che si opponevano agli sfratti, come la Piattaforma per gli Individui Colpiti da Mutui (PAH) vennero formate a seguito del fallimento da parte del governo spagnolo di sostenere il diritto di tutti i cittadini spagnoli a godere di alloggi sicuri ed economicamente accessibili.

La PAH aveva l’obiettivo di prevenire gli sfratti di massa di decine di milioni di debitori in tutta la Spagna e trasformare case coperte da mutui in nuclei abitativi economici con una riforma dell’Atto Ipotecario, che dava alle banche il diritto di richiedere la completa restituzione di un prestito anche dopo aver ipotecato una proprietà.

La forza di questo movimento si basava sulla sua vasta funzione sociale. I cittadini partecipavano ad incontri settimanali per ottenere maggiori informazioni sui processi burocratici dietro agli sfratti.

La PAH poteva mobilitare dozzine di manifestanti con pochissimo preavviso per bloccare l’accesso a case che stavano per essere ipotecate, e sistemò molte famiglie sfrattate all’interno di case vuote ipotecate da qualche banca. Otto mesi dopo l’inizio delle occupazioni collettive, 20 complessi abitativi erano stati occupati, dando riparo a 1049 persone.

Queste strategie di attivismo politico acquistarono supporto diffuso. Dal momento che molte banche spagnole venivano finanziate dal governo con fondi pubblici, la PAH considerava le proprie occupazioni delle restituzioni legittime.

Oltre ad organizzare manifestazioni, produrre materiale informativo ed interagire con la stampa e le pubbliche istituzioni, la PAH partecipó alle controverse ‘escraches’ – proteste organizzate davanti alle residenze di alcuni politici e al Tribunale di Giustizia Europeo per chiedere la modifica della legislazione sulle ipoteche in Spagna.

La campagna contro gli sfratti si oppose alla retorica dello stato, delle banche e dei promotori immobiliari. Le proteste colpirono il centro del potere spagnolo sfidando gli sfratti messi in atto da istituzioni private finanziate dallo stato.

Nel 2013, la Corte di Giustizia Europea approvò la Proposta di Legislatura Popolare suggerita dalla PAH, costringendo il governo spagnolo a cambiare la Legge sulle Ipoteche e il Codice Civile

per ripristinare l’equilibrio tra creditori e debitori.

 

  1. Disobbedienza civile digitale: USA 2013

Un individuo perde la libertà di rendere pubblico l’operato del governo – spiare i cittadini e raccogliere le loro informazioni provate per manipolarli e controllarli.

Denunciare le irregolarità è uno degli ultimi meccanismi difensivi della democrazia

Edward Snowden, esperto di sicurezza informatica, copiò e fece circolare decine di migliaia di documenti strettamente confidenziali ottenuti dall’Agenzia per la Sicurezza Nazionale (NSA) mentre lavorava per Booz Allen Hamilton.

Quando le sue segnalazioni di pratiche non etiche vennero ignorate, Snowden rese pubbliche informazioni top secret sui programmi di sorveglianza condotti da vari governi statunitensi (con la collaborazione di compagnie di telecomunicazioni e altri governi europei).

Il suo obiettivo era quello di attirare l’attenzione pubblica su pratiche di sorveglianza condotte su larga scala in aperta violazione dei principi costituzionali e del diritto individuale alla privacy, suggerendo che in assenza del rispetto degli interessi collettivi da parte del governo, i cittadini hanno il diritto di lottare per difendere i propri diritti.

Le rivelazioni di Snowden condussero a cinque anni di riforme tecnologiche all’interno di grandi compagnie della Silicon Valley, ansiose di ottenere nuovamente la fiducia dei propri clienti. Apple fu la prima azienda a modificare la propria normativa sulla privacy ed aumentare i meccanismi di sicurezza.

Tuttavia, queste rivelazioni non misero fine alla sorveglianza governativa. La battaglia contro la violazione della privacy e la raccolta di dati sensibili continua a tutt’oggi, ma le azioni di Snowden ispirarono un cambiamento culturale, attirando l’attenzione sul problema delle infrazioni governative e aprendo una discussione pubblica sull’infrazione delle libertà civili da parte del governo. A seguito di numerose minacce di morte, Snowden è stato costretto a chiedere asilo politico a Mosca.

Edward Snowden ha agito con grande coraggio per esporre un ingiustizia che affligge tutti noi.

 

  1. La Rivoluzione del Popolo: Sudan 2019

Dopo aver vissuto sotto una brutale dittatura per oltre dieci anni, la popolazione sudanese insorge in una campagna di disobbedienza e resistenza. Li aspetta una dura lotta.

Ricostruiremo il Sudan

L’11 aprile 2019, una ribellione democratica e pacifica che ha visto la partecipazione di migliaia di cittadini sudanesi ha detronizzato il brutale dittatore Omar al-Bashir. Nei suoi 30 anni di governo, sostenuti dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi, al-Bashir ha decimato l’economia sudanese e creato enormi divisioni sociali, imponendo pesanti restrizioni alle donne.

La ribellione ha avuto inizio nelle provincie in reazione all’aumento del costo della vita per poi diffondersi nella capitale Khartoum. Il nord e il sud del paese si sono uniti senza distinzione di classe, etnia o religione per opporsi al regime. I giovani sudanesi erano in prima linea, con donne che incoraggiavano tutte le donne sudanesi a prendere parte alla lotta per la libertà.

Ristoranti, banche e negozi sono stati chiusi. Le strade si sono svuotate. Il paese ha vissuto otto mesi di scioperi e manifestazioni per chiedere la dissoluzione del Partito del Congresso Nazionale (NCP), sostenere la democrazia e i diritti umani, riforme economiche e l’abolizione della legge sulla pubblica sicurezza, designata per escludere le donne dalla vita pubblica.

Dopo l’allontanamento di Bashir, il Consiglio Militare Transnazionale (TMC) è salito al governo, rendendo subito chiara l’intenzione di rendere permanente il trasferimento di potere. Il 3 giugno, dopo una settimana di celebrazioni pacifiche, le Forze di Supporto Rapido hanno aperto il fuoco sui manifestanti che avevano organizzato un sit-in di fronte al quartier generale dell’esercito a Khartoum. L’accesso a Internet è stato bloccato per impedire ai manifestanti di condividere informazioni. Centinaia di persone sono state uccise e violentate nel tentativo di traumatizzare i manifestanti e interrompere il supporto alla rivoluzione.

Ma i cittadini non si sono arresi. Due settimane dopo il massacro, i giovani si sono riorganizzati, chiedendo alla popolazione di partecipare ad azioni prolungate di disobbedienza civile e manifestazioni pacifiche e affermando che non si sarebbero fermati fino all’insediamento di un’amministrazione civile.

Il 17 luglio, il TMC e i manifestanti, rappresentati dalle Forze per la Libertà e il Cambiamento, hanno firmato un accordo per la condivisione del potere.

 

  1. I Gilet Gialli: Francia 2018-2019

Il presidente Macron – il più giovane capo di governo francese dai tempi di Napoleone – si scontra con lo scontento e la rabbia della sua popolazione.

Je suis le peuple. Io sono il popolo

La protesta dei Gilet Gialli è stata scatenata da un cambiamento nella legislazione del lavoro (nello specifico un aumento delle tasse sul carburante), ma si è rapidamente trasformata in un movimento per chiedere maggiore giustizia economica e sociale. La popolazione francese si è organizzata attraverso i social in gruppi di “rabbia” (colère), riunendosi in massa a scapito delle differenze socio-politiche.

A seguito delle agevolazioni fiscali garantite ai milionari francesi nel 2017, la pressione fiscale sulla classe media aveva continuato ad aumentare, mentre nelle campagne i livelli di disoccupazione continuavano a crescere e la situazione economica generale non faceva che peggiorare. Tagli ai fondi per i trasporti pubblici avevano costretto gran parte della popolazione francese a dipendere dal trasporto privato. La popolazione rurale e la fetta di popolazione che non poteva più permettersi di vivere in città faticava a sopravvivere.

Nell’ottobre del 2018, il camionista Eric Drouet incoraggiò i cittadini francesi a organizzare blocchi stradali per il 17 novembre con l’obiettivo di rallentare il traffico per attirare l’attenzione del governo. La protesta vide la partecipazione di circa 290,000 persone.

Ogni guidatore in Francia è obbligato ad avere una giacca catarinfrangente – un gilet giallo – a bordo del proprio veicolo. I guidatori cominciarono ad esporli sul proprio cruscotto, appenderli ai finestrini e decorarli con slogan di protesta, facendoli diventare il simbolo della manifestazione. I gilet gialli ricevettero grande supporto da parte della popolazione. Nel giro di un mese, secondo alcuni sondaggi metà del paese supportava i manifestanti.

Nonostante fosse basata su atti di disobbedienza non violenta come blocchi stradali e campeggi temporani sulle rotatorie, la protesta dei Gilet Gialli è sfociata in una delle peggiori rivolte della storia francese. La maggior parte dei manifestanti prese subito le distanze dagli elementi più violenti, ma questo non impedì violente repressioni da parte della polizia francese.

Dopo cinque settimane di proteste, il presidente Macron fece una decisa inversione di rotta e fu costretto a scendere a compromessi, eliminando la tassa sul carburante e creando il Grande Dibattito Nazionale per invitare i cittadini ad esprimere le proprie preoccupazioni e speranze sullo stato della politica francese.

La disobbedienza civile non è equiparabile all’infrazione della legge. Il fulcro della questione è costituito dalla separazione tra “legale” e “legittimo”. La disobbedienza civile è l’ultima risorsa in circostanze dove altre modalità di protesta come petizioni, manifestazioni o il voto hanno fallito.

Per quanto riguarda Extinction Rebellion, la nostra strategia si basa sulla disobbedienza civile fondata su tecniche di ostruzione non violente. In alcuni casi lo stato sceglierà di rispondere alle nostre proteste con la forza, ma non possiamo abbandonare i nostri valori per adottare le stesse tattiche del sistema che stiamo cercando di cambiare.

Extinction Rebelion continuerà a protestare nella battaglia contro l’estinzione di massa per cercare di evitare il collasso della nostra società. I ribelli rifiutano di restare inerti di fronte all’ingiustizia. In gioco ci sono le nostre vite.

Stiamo costruendo un movimento inclusivo e partecipativo per il cambiamento un movimento basato sulle manifestazioni locali, nelle strade e nelle scuole, negli uffici, sul web e in tutto il mondo, con oltre 1146 gruppi in 72 paesi.

Abbiamo la responsabilità morale, oltre che legale, di obbedire alle leggi giuste. Per contro, abbiamo la responsabilità morale di disobbedire alle leggi ingiuste.

– Martin Luther King: lettera dal carcere di Birmingham.

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