La Siria e “i nostri asset” - Pino Cabras
I
maggiorenti occidentali commentano giulivi la fine della Repubblica Araba
Siriana, sostituita da una coalizione jihadista guidata da Abu Muhammad
al-Jawlani, che nel curriculum ha una lunga militanza in ISIS e al-Qa'ida
È molto interessante leggere la parata di brevi dichiarazioni di tanti
maggiorenti occidentali sulla fine della Repubblica Araba Siriana, oggi
conquistata e sostituita da una coalizione jihadista guidata da Abu Muhammad
al-Jawlani, che nel curriculum ha una lunga militanza nell’ISIS e in Al-Qa’ida
e che come primo provvedimento libera dalle carceri siriane tutti i capi
dell’ISIS.
Le dichiarazioni dei pezzi grossi dell’Ovest sono interessanti anche per
l’uniformità dello stile e degli argomenti, esposti tutti con lo stesso cliché:
1) esultanza per il rovesciamento di Assad, additato come “dittatore”; 2)
generico e blandissimo richiamo ai rischi associati ai nuovi capi per via del
loro passato, quasi mai menzionato esplicitamente; 3) fiducia nella buona opportunità
di fare buoni accordi con i nuovi capi; 4) letizia bellicosa per una sconfitta
strategica di Putin. Cercate in rete le dichiarazioni di Biden, Scholz, Von Der Leyen, Macron, Metsola, Starmer, Kallas: i vertici di istituzioni che in certe
fasi hanno fatto di tutto per impaurirci con il pericolo del fondamentalismo
terrorista oggi festeggiano il primo vero grande trionfo del jihadismo che si
fa Stato, e lo fanno leggendo e diffondendo la medesima velina, come
pappagalli, come meri ripetitori di idee ricevute, come zelanti esecutori di
uno schema predefinito.
Siete sorpresi? Per chi segue queste vicende da molti anni, come chi vi
scrive, nessuna sorpresa. Il 19 gennaio 2016 sul quotidiano «The Times of
Israel» uscirono le chiare dichiarazioni dell’allora ministro della difesa di Tel Aviv, Moshe Ya’alon, che spiegava che
l’Iran rappresentava una minaccia maggiore dello Stato Islamico, e che nel caso
il regime siriano fosse caduto, Israele avrebbe preferito che la Siria andasse
sotto il controllo dell’ISIS piuttosto che della potenza iraniana. Quella di
Ya’alon suonava proprio come una dichiarazione di guerra all’Iran, una guerra totale
in cui ogni mossa, palese o sotterranea, veniva preventivamente coperta e
giustificata da Tel Aviv. Ya’alon spiegava senza fronzoli quel che già
sapevamo, ma che milioni di cittadini occidentali non sanno perché i giornali
non li informano: gli ospedali israeliani nel pieno dell’aggressione jihadista
alla Siria di dieci anni fa curavano i miliziani jihadisti siriani feriti, per
poi rispedirli a combattere e così indebolire lo Stato siriano.
L’intervento russo nella guerra siriana aveva cambiato gli equilibri, e chi
aveva scommesso per equilibri diversi si lamentava rabbiosamente: lo fecero
pure i grandi vecchi dell’imperialismo USA, Zbignew Brzezinski (1928-2017) e
John McCain (1936-2018), che imputavano a Mosca di “distruggere i nostri
asset”, cioè i militanti delle formazioni terroristiche, considerati risorse
organiche rispetto alle strategie geopolitiche imperiali. McCain, in particolare, aveva incontrato diversi boss jihadisti il 27
maggio 2013 dopo aver attraversato il confine turco-siriano per discutere di
invio di armi pesanti e altri appoggi.
È interessante rileggere oggi un comunicato divulgato da Wikileaks, datato dicembre 2006 e firmato da
William Roebuck, che in quel momento era incaricato di affari presso
l’ambasciata americana a Damasco, il quale diceva:
«Pensiamo che le debolezze di Bashar al-Assad risiedano nella maniera in
cui lui decide di reagire ai problemi incombenti, siano essi reali o percepiti,
come per esempio il conflitto tra le riforme economiche (ancorché limitate) e
la forza radicata della corruzione, la questione curda, e la minaccia
potenziale al regime rappresentata da una crescente presenza di estremisti
islamisti. Questo comunicato riassume la nostra valutazione su queste
vulnerabilità e suggerisce che ci possano essere azioni, affermazioni e
segnali, da parte del governo USA, che potrebbero far crescere la probabilità
che queste potenzialità si verifichino». Tradotto in modo meno felpato:
“soffiamo sul fuoco e su tutto ciò che può bruciare Assad, compresi gli
schifosi tagliagole, che ci tornano utili».
Poco importa se sino a pochi anni prima al-Qa’ida e i fantasmi dei loro
leader, al-Zarqawi e Osama Bin Laden, fossero esecrati dall’Occidente come
terroristi espressione del male assoluto in modo da sfruttare ogni tecnica di
manipolazione della paura di massa e imporre nuove guerre e leggi draconiane sulla
sicurezza. Chi – come vi scrive – esibiva fior di documenti per dimostrare la
contiguità esistente da sempre fra le organizzazioni terroristiche islamiste e
i servizi occidentali nonché con le operazioni sporche dei servizi israeliani
veniva tacciato di “complottismo”. Oggi le azioni di quel mondo sono oggetto di
giubilo su tutti i social da parte di tutto il gotha dei governanti
occidentali.
Prima lezione che arriva dai fatti: ciò che comunemente si definisce
“terrorismo” è, perlopiù, uno strumento di manipolazione delle masse, sostenuto
da entità statali e orchestrato con il consenso dei pochi detentori della quasi
totalità dei media tradizionali. Questi ultimi hanno il compito di alimentare a
comando isterie collettive e paure, evidenziando alcune vittime innocenti e
ignorandone altre. Con un controllo così ferreo della narrazione, si riesce
anche nell’operazione contraria: trasformare i tagliagole in nuovi statisti.
Seconda e non meno importante lezione: l’uniformità pappagallesca dei capi
di governo e degli eurocrati nel salutare la svolta siriana dimostra che anche
loro, così come i quadri di al- Qa’ida, non sono “leader”: sono solo dei
semplici “asset”. Risorse interamente in mano a chi davvero guida l’Impero. Fra
“asset”, che non sono altro, sapranno intendersi.
Siria: la dissoluzione di uno Stato e l’ascesa del
Caos -
La dissoluzione della Siria di Assad è l’effetto finale di un progetto imperiale di lungo periodo che ha voluto a tutti i costi questo risultato per riorganizzare il Levante – un crogiuolo di popoli, etnie, religioni – demolendo un baricentro sovrano.
Il sistema politico e statale della Siria, così come plasmato dagli Assad,
sta attraversando con un’accelerazione vertiginosa la sua fase terminale di
dissoluzione.
È l’effetto finale di un progetto imperiale di lungo periodo che ha voluto
a tutti i costi questo risultato per riorganizzare il Levante – un crogiuolo di
popoli, etnie, religioni – demolendo un baricentro sovrano con un nucleo
cesaristico particolarmente duro come la Repubblica Araba Siriana.
Ogni mezzo è stato usato negli ultimi 14 anni dall’Occidente, dalla Turchia
e dalle petromonarchie arabe in accordo con Israele: una guerra per procura che
ha fatto da palestra per i tagliagole jihadisti di mezzo mondo (inclusa la
funesta orda dell’ISIS) e che ha devastato – con costi umani spaventosi e in
modi irrimediabili – tutti gli equilibri sociali, etnici e demografici della
Repubblica; sanzioni applicate in modo feroce per destrutturare le basi
economiche con inevitabili effetti di logoramento di medio e lungo periodo;
pezzi di territorio invasi dagli Stati Uniti e tuttora in mano loro per rubare
quasi tutte le ingenti risorse petrolifere (ne avete mai sentito parlare dal
coro dei presunti difensori degli invasi rispetto agli invasori?); altri pezzi
di territorio invasi dalla Turchia e da Israele per crearsi arbitrarie fasce di
sicurezza, usate come base avanzata di incursioni e attacchi; costanti e
quotidiane azioni militari di Israele volte a degradare la tenuta del sistema
militare dello stato siriano. Per i siriani non doveva valere la formula per
cui quella nazione “ha il diritto di difendersi” per non andare in malora.
Dopo che l’albero è stato aggredito e scrollato così a lungo, non stupisce
che l’ultimo scossone lo abbia buttato giù in un tempo ultra-breve.
Lo stato poteva crollare già nel 2015, ma ha retto altri nove anni grazie
all’intervento militare di Mosca, storico alleato di Damasco sin dai tempi
sovietici (conservando l’unica base militare russa fuori dal territorio
post-sovietico), risultando il vero soggetto che storicamente sbaragliò l’ISIS.
Fu importante anche l’intervento degli Hezbollah libanesi, che vedevano il loro
paese reggere il drammatico urto di una marea inimmaginabile di profughi siriani,
ma che sapevano che un collasso della Siria avrebbe avuto un esito ancora più
tragico per il Libano: molti villaggi cristiani siriani sconvolti dalle orde
jihadiste armate dal mondo NATO e dalle monarchie del Golfo furono liberati e
salvati proprio dai fondamentalisti sciiti agli ordini di Nasrallah. Importante
anche la regia di Teheran per dare profondità strategica al cosiddetto “Asse
della Resistenza”. Il lavoro ai fianchi di chi voleva annichilire la pervicace
sovranità di Damasco non si interruppe, anche se per un po’ subì i
contraccolpi. Fu altamente simbolica, nel marzo 2016, la riconquista della
città di Palmira e del suo importantissimo sito archeologico da parte delle
truppe di Damasco e quelle russe. Assad veniva da cinque anni in cui era stato
sottoposto a infiniti tentativi di ‘reductio ad Hitlerum’. Ma stava solo
difendendo la sovranità di un paese, difendendo anche per noi un baluardo
contro la barbarie, con la quale commerciavano invece i presunti
anti-hitleriani. Fu un momento storico che restituì la vera statura delle
personalità politiche.
Oggi questo baluardo appare totalmente friabile. Non si riscontra alcuna
collaborazione significativa tra l’esercito siriano e le forze di sicurezza, né
una resistenza organizzata e concreta. Di fatto, queste ultime non stanno
proteggendo il territorio nazionale. Gli sporadici episodi di difesa non fanno
altro che accentuare il quadro complessivo di decadimento. Che il collasso sia
avvenuto spontaneamente o sia stato causato da un tradimento non conta più: ciò
che pesa è il risultato tangibile. La Siria, nella sua configurazione
precedente, è prossima alla fine. Anche qualora fosse stata prevista un’azione
di sostegno, non ci sarebbe il tempo necessario per attuarla: lo Stato e
l’apparato militare siriano stanno implodendo più rapidamente di qualsiasi
soccorso esterno.
La Russia cercherà di salvare il salvabile per quel che la riguarda:
assicurarsi – se ci riesce – la permanenza delle sue installazioni militari
nella regione di Latakia; procedere all’evacuazione dei suoi cittadini e del
personale militare presenti a Damasco, minimizzare i costi legati alla crisi
cercando un compromesso che coinvolga i triplogiochisti turchi, l’Iran, i paesi
del Golfo con cui ha migliorato le proprie relazioni e, per alcune questioni,
anche Israele. Molto, forse troppo lavoro, per il ministro degli esteri russo
Lavrov.
Simmetricamente, l’Iran va a perdere il corridoio terrestre strategico
costruito nel 2017 sotto la guida di Soleimani, un evento che cambia la postura
di Teheran nella regione, abbastanza da far pensare che un pezzo della sua
classe dirigente disposto a pagare un prezzo elevato abbia lavorato in mille
modi contro altri dirigenti iraniani per uscire da questo complicato gioco
strategico, ritenendolo non più sostenibile. La decapitazione di Hezbollah,
storico alleato dell’Iran in Libano, potrebbe non essere opera solo di Bibi il
genocida.
Il futuro della Siria è confuso, senza un “centro di gravità”, il che pone
le premesse di un conflitto prolungato da “stato fallito”, simile a quanto
accaduto in Libia o in Afghanistan, con uno scenario dominato dalla
frammentazione dello Stato e l’accendersi di rivalità incomponibili.
L’esodo di milioni di rifugiati – come già in passato – e la diffusione di
gruppi terroristici che trovano in Siria la loro Tortuga, l’isola dei pirati
senza regole e senza scrupoli, rappresentano un rischio concreto per l’intera
regione. Inoltre, il radicalismo islamico, utilizzando come base i territori sotto
il suo controllo, potrebbe espandere la propria influenza, generando gravi
ripercussioni in numerosi Paesi, su un raggio vastissimo.
«Hanno forse capito che quelle guerre non hanno provocato altro che il caos
e l’instabilità in Medio Oriente e in altre regioni? A quei politici vorrei
spiegare che il terrorismo non è una carta vincente che si possa estrarre e
utilizzare in qualsiasi momento si voglia, per poi riporla in tasca come se
niente fosse. Il terrorismo, come uno scorpione, può pungerti inaspettatamente
in qualsiasi momento» (Bashar Al-Assad, 2013).
Ha dunque il suo primo trionfo questa sorta di legione di avventurieri
addestrati in modo moderno (adesso usano perfino i droni con addestratori
ucraini), spedita su vari fronti geopolitici, in grado di essere utilizzata per
scardinare interi Stati, ma con coperture e finanziamenti statali e la
prontezza per ogni tipo di ricatto. Lo scorpione pungerà ancora in Europa. I
governanti europei, fra i più ricattati, subiranno pressioni enormi contro gli
interessi dei propri paesi, ma sono abituati. È l’Impero del Caos che bussa,
non l’Islam.
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