lettera al Ministro Valditara
Egregio
Ministro,
Le scrivo di
nuovo dalla desolazione della “trincea”: quella in cui ogni giorno, con le
studentesse e gli studenti, combattiamo l’eterna guerra contro la
semplificazione e la superficialità. Oggi, però, le scrivo per ringraziarla
delle Linee guida sull’insegnamento dell’educazione civica che ci ha inviato
all’inizio dell’anno scolastico. Da oggi abbiamo un punto fermo nel
nostro lavoro di docenti ed educatori: ci dirigeremo nella direzione
esattamente opposta a quanto ci indica.
L’educazione
civica, secondo lei deve «incoraggiare lo spirito di imprenditorialità, nella
consapevolezza dell’importanza della proprietà privata». In modo quasi ossessivo nel
documento traccia l’idea di una sorta di “educazione alla proprietà ”. Ma cosa
dovremmo farci di questo slogan vuoto? Stiamo oltrepassando finanche il senso
del ridicolo, andando oltre la teoria delle tre “i” di berlusconiana memoria
(inglese, impresa, internet). Ai nostri studenti, signor Ministro, l’articolo
42 della Costituzione lo leggiamo e lo spieghiamo: «La proprietà privata è
riconosciuta e garantita dalla legge […] allo scopo di assicurarne la
funzione sociale e di renderla accessibile a tutti […]. La proprietà
privata può essere [..] espropriata per motivi di interesse generale». Dice
proprio questo la Costituzione! Però non si ispira a Pol Pot ma alla dottrina
sociale della Chiesa, al cristianesimo sociale di Giorgio La Pira e Giuseppe
Dossetti.
Nelle Linee
guida Lei continua, poi, con l’affermazione di sapore thatcheriano, ma in
realtà generica e vuota quanto la prima, per cui dovremmo insegnare che
«la società è in funzione dell’individuo (e non viceversa)». Vede
Ministro, se le dovesse capitare di sfogliare la Costituzione italiana
scoprirebbe che il termine “individuo” semplicemente non compare. E questo
perché la rinuncia a questo concetto (l’angusto “io” paleo-liberale chiuso
nella rivendicazione egoistica dei propri diritti) faceva parte del patto tra i
social-comunisti e i cattolici democratici, che lo sostituiscono con la nozione
di “persona” che indica «il singolo nelle formazioni sociali» in cui solo si
può realizzare.
La questione
della patria, che lei intende come appartenenza identitaria e suggerisce di
mettere al centro dell’educazione civica, merita da sola una prossima lettera.
Mi consenta però di farle notare che, se sfogliasse la Costituzione,
scoprirebbe che il termine “patria” compare solo una volta (perché Mussolini lo
aveva profanato e disonorato) e per di più non ha niente a che fare con “i
sacri confini nazionali” da difendere o l’italianità quale identità da
salvaguardare contro la minaccia della sostituzione etnica. La patria è
il patrimonio dei padri e delle madri costituenti, vale a dire le istituzioni
democratiche non separabili dai valori costituzionali: l’eguaglianza, la
libertà, la pace, la giustizia, il diritto di asilo per lo straniero «che non
ha garantite le libertà democratiche». I patrioti non sono quelli che
impediscono lo sbarco dei migranti, ma coloro che ogni giorno testimoniano il
rifiuto della discriminazione. Cosi come patrioti non erano i fascisti che
hanno svenduto la patria a Hitler e l’hanno profanata costringendo milioni di
italiani ad offendere altre patrie, ma i membri dei GAP (che non erano i
“gruppi di azione proletaria” come ebbe a dire, per dileggio, Berlusconi), ma i
“gruppi di azione patriottica” (appunto), che operavano nella Brigate Garibaldi
dei patrioti comunisti italiani, protagonisti della Resistenza quale secondo
Risorgimento.
Ci consenta
di formare i nostri studenti ispirandoci a chi di patria si intendeva: non a Julius Evola o Giorgio
Almirante, ma a Giuseppe Mazzini che ha ripetuto per tutta la vita che
la patria non è un suolo da difendere avidamente ma una «dimora di libertà e
uguaglianza» aperta a tutti: «Non vi è patria dove l’eguaglianza dei
diritti è violata dall’esistenza di caste, privilegi, ineguaglianze. In nome
del vostro amore di patria, combattete senza tregua l’esistenza di ogni
privilegio, di ogni diseguaglianza sul suolo che vi ha dato vita» (Dei
doveri dell’uomo). Mazzini non contrapponeva la patria all’umanità, ma la
considerava il mezzo più efficace per tutelare la dignità di ogni essere umano:
«I primi vostri doveri, primi almeno per importanza, sono verso l’Umanità.
Siete uomini prima di essere cittadini o padri. […] In qualunque terra voi
siate, dovunque un uomo combatte per il diritto, per il giusto, per il vero,
ivi è un vostro fratello: dovunque un uomo soffre, tormentato dall’errore,
dall’ingiustizia, dalla tirannide, ivi è un vostro fratello. Liberi e schiavi,
siete tutti fratelli» (Dei doveri dell’uomo). E ci consenta, da
educatori democratici, di trascurare le sue Linee guida, per illuminare le
coscienze dei giovani con le parole di don Milani: «Se voi avete il
diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel
vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in
diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni
sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri».
Egregio
Ministro, dal momento che la costruzione di una cittadinanza consapevole
avviene anche attraverso l’esercizio della memoria storica e civile, Lei
ci ha inviato a una circolare con cui ha bandito un concorso per le scuole con
lo scopo di celebrare la «Giornata Nazionale delle Vittime Civili delle Guerre
e dei Conflitti nel Mondo». Il titolo del concorso: «1945: la guerra è
finita!». Incredibile! Il 25 aprile 1945 che, prima dell’era Valditara, era
semplicemente e banalmente la «liberazione dal nazifascismo» ora diventa un
momento della «Giornata Nazionale delle Vittime Civili delle Guerre e dei
Conflitti nel Mondo». Cosa dovrebbero ricordare le giovani generazioni nella
sua bizzarra idea di memoria civile? Ecco il suo testo: «il popolo che ha
subito sulla propria pelle gli orrori di quel tremendo conflitto, dai
bombardamenti degli alleati alle rappresaglie nazifasciste [equiparati!]
fino agli ordigni bellici inesplosi che, nei decenni a venire, hanno continuato
a produrre invalidità e mutilazioni». E tutto per andare «al di là della
tradizionale lettura vincitori-vinti», opposizione che attentamente sostituisce
quella di antifascisti/liberatori e fascisti. Si tratta dunque, secondo
lei, di ricordare una guerra tra tante, quasi un ineluttabile evento naturale
in cui tutti sono cattivi (i liberatori, gli aguzzini e i partigiani) e dunque
tutti ugualmente assolti nel tribunale della neostoria.
Del resto,
Ministro, devo darle atto di una certa garbata compostezza sulla memoria del 25
aprile. La sua sottosegretaria (la nostra sottosegretaria all’Istruzione) Paola
Frassinetti la Festa della Liberazione l’ha festeggiata al campo 10 del
Cimitero maggiore di Milano per onorare i volontari italiani delle SS. È
immortalata in un video in mezzo a un drappello di camerati che sfidano, tra
insulti e minacce, alcuni manifestanti antifascisti. Frassinetti si lascia
andare alla rabbia ed esclama «ma vai aff…». Sempre a proposito di Linee guida
per l’educazione civica… Da sottosegretaria del suo Ministero Paola
Frassinetti, il 28 ottobre del 2024, anniversario della marcia su Roma, ha
celebrato il «fascismo immenso e rosso».
Capisce,
signor Ministro, perché ci sentiamo soli nella trincea? E perché le ho detto
che è “passato al nemico” (il nemico è la parzialità, la manipolazione, la contrapposizione
faziosa). Ma noi siamo combattenti testardi. Non avendo capi politici da
lusingare, la nostra coscienza e la Costituzione antifascista sono le
nostre uniche e inderogabili “linee guida” da seguire nel formare cittadine e
cittadini liberi e consapevoli.
Egregio
Ministro, spero che queste parole non mi costino quella decurtazione
dello stipendio che ha inflitto a un mio collega per aver pronunciato delle
parole che Lei non ha gradito. Sarebbe non solo grave ma anche di cattivo
gusto anche perché di recente insieme ad altri ministri lei lo stipendio ha
cercato di aumentarselo.
P. S.
Le sue Linee
guida stanno conseguendo i primi risultati. Qualche giorno fa uno studente che
aveva studiato la divisione dei poteri di Montesquieu ha osservato che se un
ministro fa una manifestazione sotto un tribunale per difendere un altro
ministro sotto processo viola la separazione dei poteri. Aggiungendo che un
ministro non è un semplice cittadino ma un membro dell’esecutivo, cioè di un
potere dello Stato. Gli ho risposto che ha ragione e gli ho dato un ottimo voto
in educazione civica.
Con
cordialità
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