UNO BIANCA: LA SCOPERTA DELL’ ACQUA CALDA…
A 34 ANNI DALLE STRAGI
di Vito Totire (*)
Certamente chi fa
riferimento a una cultura di sinistra è “avvantaggiato” quando si parla di
crimini agiti da soggetti in divisa, nel senso che parte da una sana diffidenza
preventiva. Sbagliato o no, questo pregiudizio non lo discuteremo oggi. La
vicenda dei fratelli Savi è suonata dunque per alcuni, di noi, “molto sospetta”
, fin
dall’inizio. Ora si ipotizza una dimensione diversa dalla “semplice
criminalità”; dunque i Savi non agirono da soli.
Se ci stiamo avvicinando alla verità conclamata (per tutti) dobbiamo
ringraziare il valoroso lavoro dei familiari dei ragazzi carabinieri uccisi al
Pilastro, della signora Zecchi del comitato della vittime della Uno Bianca, del
magistrato Libero Mancuso e ovviamente dell’avvocato Alessandro Gamberini.
E allora cerchiamo di arrivare alla “verità definitiva” come oggi titolano
agenzie e quotidiani (**).
Quando la banda della Uno Bianca agì Bologna era afflitta da un diffuso
sentimento di ostilità nei confronti dei Rom. Diffuso ovviamente nella destra e
nella parte perbenista della città (che è sempre andata oltre la destra vera e
propria). Gli attacchi armati contro i campi nomadi di via santa Caterina e di
via Bignardi indussero in questi “perbenisti” reazioni oscillanti tra la
indifferenza e il cinismo.
Conoscevamo bene e frequentavamo assiduamente quei campi in cui la popolazione
nomade veniva “contenuta” in condizioni indecenti dal punto di vista igienico e
sociale fino al tragico rogo in cui persero la vita due bambini: Alex e Amanda
(il 3 aprile 2000) della famiglia Besic. (**).
Forse quella ostilità degli anni ottanta-novanta è calata ma non grazie ad una
autocritica dei “benpensanti” e della destra quanto grazie a percorsi di
inserimento sociale e lavorativo che pur lentissimamente hanno un po’ allentato
le tensioni.
A differenza della Uno Bianca noi non lanciavamo pallottole nei campi ma
portavamo alimenti e vestiti, conoscevamo uno per uno gli “ospiti” di quelle
baracche e autobus coibentati in amianto in cui i Rom erano costretti a vivere
riscaldandosi con stufe rudimentali alimentate da rifiuti legnosi pesantemente
verniciati…
Anche per questo ci risultò particolarmente irritante l’insinuazione di una
certa genesi delle sparatorie omicide. E quando emerse la responsabilità dei
Savi noi “di sinistra” non fummo sorpresi da intrecci e coincidenze. La verità
che cominciava ad emergere per noi non fu uno shock o una “ doccia fredda”.
Ci rimane un dubbio e chiediamo scusa se qualcuno ha già “risposto” ma da
tempo, per vari motivi, non compriamo più i “giornaloni”.
Un quotidiano pubblicò un trafiletto che fece una insinuazione pesante non
frutto di fantasia o di ipotesi del giornalista ma desunta da altra fonte più o
meno nebulosa: cioè che una delle sparatorie nei campi nomadi fosse
attribuibile a faide interne. Fu forse un errore di attribuzione o gaffe che
dir si voglia;
Se i Savi non agirono da soli chiarire e
ricostruire quella nebulosa fonte darebbe un contributo a quella verità alla
quale siamo pronti. Prevendendo, per quello che ci riguarda, di non subire
alcuno shock.
SCHEDA (****)
La banda della Uno Bianca tra il 1987 e il
1994 commise 103 crimini (soprattutto rapine a mano armata) fra Emilia-Romagne
e Marche, uccidendo 24 persone e ferendone altre 114. Il nome della banda fu
usato dalla stampa nel 1991 visto che, in molte azioni, utilizzavano una Fiat
Uno di colore bianco, autovettura allora diffusa e facile da rubare.
Dopo lunghe indagini a vuoto e depistaggi,
la banda finì in carcere. Si iniziò con l’arresto, il 21 novembre 1994, di
Roberto Savi, assistente capo di polizia. Tre giorni dopo venne catturato il
fratello Fabio. E via via gli altri: agente scelto Alberto Savi, agente scelto
Luca Vallicelli, agente scelto Pietro Gugliotta e il vice sovrintendente Marino
Occhipinti. Al termine dei processi, la Corte d’Assise (di Pesaro, Bologna e
Rimini) condannò all’ergastolo Marino Occhipinti, i fratelli Savi (Alberto,
Roberto e Fabio), a diciotto anni Pietro Gugliotta e a tre anni e otto mesi
Luca Vallicelli.
La banda commise 103 azioni delittuose, provocando
la morte di ventiquattro persone e il ferimento di altre 114.
Fra le vittime Giampiero Picello, guardia
giurata in servizio a Rimini (il 30 gennaio 1988). Il 20 febbraio ’88 fu ucciso
Carlo Beccari, anch’egli guardia giurata, a Casalecchio di Reno. Il 20 aprile
1988 due carabinieri, Cataldo Stasi e Umberto Erriu, furono assassinati mentre
si trovavano in un parcheggio a Castel Maggior. Per questo omicidio sono stati
successivamente accertati depistaggi da parte di un altro carabiniere. Nel 1989
durante una rapina a un supermercato di Corticella venne ucciso il pensionato
Adolfino Alessandri.
Nel 1990 venne ferito un altro pensionato,
Giancarlo Armorati, che morì (quasi un anno dopo) per le ferite riportate. Il 6
ottobre fu assassinato rimo Zecchi. Il 23 dicembre 1990 la banda aprì il fuoco
contro il campo nomadi di Bologna in via Gobetti, uccidendo Rodolfo Bellinati e
Patrizia Della Santina.
Il 20 aprile 1991 venne ucciso, a Borgo
Panigale, Claudio Bonfiglioli, benzinaio. Il 2 maggio 91, in un’armeria di
Bologna, vennero uccisi Licia Ansaloni e Pietro Capolungo. Il 19 giugno 1991, a
Cesena, toccò al benzinaio Graziano Mirri. Il 18 agosto ’91 vennero uccisi in
un agguato, a San Mauro Mare, Ndiaj Malik e Babou Chejkh, due operai
senegalesi, mentre un terzo, Madiaw Diaw, rimase ferito.
Il 24 febbraio 1993 toccò a Massimiliano
Valenti, un ragazzo di 21 anni giudicato “testimone scomodo”. Il 7 ottobre
venne ucciso a Riale Carlo Poi, elettrauto. E poi, in una delle tante rapine in
banca di quell’anno, fu assassinato il direttore della Cassa di Risparmio di
Pesaro, Ubaldo Paci.
(*) Vito Totire, portavoce Centro
Francesco Lorusso
(***) A 18 anni dal rogo che uccise Alex e Amanda
(****) basata sulle schede di Wikipedia.
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