martedì 28 gennaio 2025

LA SCUOLA, I SAPERI - Alberto Giovanni Biuso

Nel novembre del 2024 (esattamente il 16 e 17) si è svolto a Vicenza un convegno dal titolo Salvare i saperi per salvare la scuola. Ad aprirlo è stata Elisabetta Frezza. In un quarto d’ora Frezza è riuscita a sintetizzare con grande chiarezza (e coraggio) le radici dell’ignoranza che affligge sempre più le scuole e le università italiane e occidentali, a partire dalla colonizzazione da parte della mentalità e della pedagogia statunitense, la quale ha totalmente fallito in quel Paese ma – come diceva Elémire Zolla – gli italiani hanno un particolare talento a nutrirsi dei rifiuti altrui.

In realtà, anche a partire dalla mia esperienza di docente liceale e universitario, io credo che la scuola sia semplicemente morta. Ad apparire è un suo fantasma, destinato naturalmente presto a dissolversi nel virtuale, negli algoritmi, nel digitale. Di per sé, il virtuale, gli algoritmi e il digitale possono essere utili ma soltanto se e quando rimangono nella loro dimensione propria, che è quella di tecnologie rivolte a degli scopi ben precisi e circoscritti. Se invece, come sta accadendo con una progressione all’apparenza inarrestabile, diventano la linfa della vita collettiva, il corpo sociale si ammala di leucemia. E muore nella sostituzione dei professori e degli insegnanti, delle persone vive, con dei software magari dotati di interfaccia robotica. I docenti che sostengono con masochistico entusiasmo o con passiva rassegnazione queste modalità non si rendono conto di tagliare il ramo sul quale siedono. Se la lezione viva viene sostituita da un insieme di tecnologie digitali, perché non sostituire l’intero corpomente del docente con un software/robot, come accade già in altri ambiti della vita sociale? Credo che questo sia uno degli obiettivi ultimi dell’ideologia didatticista impartita in modo ossessivo e autoritario anche ai docenti che si preparano ai concorsi. Una didattica che farà a meno di loro.

Insegnare e apprendere costituiscono invece una corporeità vivente e vissuta. Non un insieme astratto di parole, di dati, di informazioni ma un corpo che si confronta con altri corpi in uno spaziotempo condiviso. Insegnare significa abitare un luogo politico fatto di dialoghi, di conflitti, di confronto fra concezioni del mondo e pratiche di vita. Insegnare non significa erogare informazioni ma scambiare saperi.

L’effetto di tale inaridimento, il cui primo obiettivo è cancellare la storia e i saperi millenari dell’Europa, è che, certo, arrivano ancora in università studenti di grande intelligenza, i quali – se metodologicamente indirizzati – sanno raggiungere risultati eccellenti. Ma questo è il vertice. La base, che vedo affluire anno dopo anno, è composta in media da persone che semplicemente non sanno leggere, anche perché nessuno glielo ha insegnato; non conoscono la lingua italiana, la storia, la geografia, la matematica, anche perché nessuno glielo ha insegnato; non sanno di conseguenza scrivere, commettendo errori di grammatica e sintassi elementare, anche perché nessuno ha insegnato loro la fatica e la gioia della scrittura. Hanno ricevuto la pietra delle ‘competenze’ (impalpabili e inesistenti) invece del pane delle conoscenze.

Su queste basi, l’Italia e l’Europa sono destinate a fornire alla globalizzazione soltanto manodopera generica e di basso livello. Nelle scuole indiane, cinesi, russe, si chiede invece agli studenti un impegno totale (a volte persino esagerato) e chi non riesce a raggiungere livelli adeguati di preparazione passa semplicemente ad altre mansioni. In Italia una laurea invece non si nega a nessuno, figuriamoci un diploma di scuola secondaria. Li si regalano, semplicemente, perché non valgono niente. Ed è facile regalare ciò che non ha valore – la plastica, ad esempio –, molto meno ciò che valore invece possiede, come l’oro. I cittadini italiani conseguono diplomi e lauree di plastica, dopo aver ottenuto le quali vengono gettati in pasto al tritacarne socioeconomico del capitalismo globalizzato.

La scuola è morta e l’università è moribonda e tuttavia l’integrale disincanto, necessario per vivere e per pensare tenendo conto del principio di realtà, non deve mai essere separato dalla tenacia e dalla lucidità con le quali agire nel mondo. La formula di Burckhardt e dei Greci sul pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà deve guidare ogni pensiero e ogni respiro di chi insegna.

Questo è il testo di presentazione del convegno vicentino:

«Dopo il primo convegno dedicato all'istruzione, dal quale è nato il libro Per una scuola che torni a essere scuola con il convegno Salvare i saperi per salvare la scuola ContiamoCi! prosegue l’analisi del sistema scolastico italiano, la cui febbrile degenerazione impone con urgenza di reagire. Lungi dal porre rimedio ai danni già prodotti da decenni di sperimentazione pedagogica su modello americano, si sta procedendo a una velocità sempre più vertiginosa verso la demolizione di ogni baluardo di cultura. Nel regno delle competenze, dell'ideologia e del digitale, dove non c'è più spazio per i saperi, i docenti sono relegati al ruolo di assistenti e di animatori. E l’inestimabile patrimonio di conoscenze e di bellezza frutto di secoli e secoli di storia rischia di restare inaccessibile alle generazioni a venire, lasciate in balia degli algoritmi nella spirale dell’ignoranza e della alienazione».

E questo è il link al video di Frezza, la quale nulla trascura, mostrando in modo limpido le ragioni e i modi che hanno condotto al dramma educativo e politico nel quale siamo immersi:

da qui

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