Nel novembre del 2024 (esattamente il 16 e 17) si è svolto a Vicenza un convegno dal titolo Salvare i saperi per salvare la scuola. Ad aprirlo è stata Elisabetta Frezza. In un quarto d’ora Frezza è riuscita a sintetizzare con grande chiarezza (e coraggio) le radici dell’ignoranza che affligge sempre più le scuole e le università italiane e occidentali, a partire dalla colonizzazione da parte della mentalità e della pedagogia statunitense, la quale ha totalmente fallito in quel Paese ma – come diceva Elémire Zolla – gli italiani hanno un particolare talento a nutrirsi dei rifiuti altrui.
In realtà, anche a partire dalla mia
esperienza di docente liceale e universitario, io credo che la scuola sia
semplicemente morta. Ad apparire è un suo fantasma, destinato naturalmente
presto a dissolversi nel virtuale, negli algoritmi, nel digitale. Di per sé, il
virtuale, gli algoritmi e il digitale possono essere utili ma soltanto se e
quando rimangono nella loro dimensione propria, che è quella di tecnologie
rivolte a degli scopi ben precisi e circoscritti. Se invece, come sta accadendo
con una progressione all’apparenza inarrestabile, diventano la linfa della vita
collettiva, il corpo sociale si ammala di leucemia. E muore nella sostituzione
dei professori e degli insegnanti, delle persone vive, con dei software magari
dotati di interfaccia robotica. I docenti che sostengono con masochistico
entusiasmo o con passiva rassegnazione queste modalità non si rendono conto di
tagliare il ramo sul quale siedono. Se la lezione viva viene sostituita da un
insieme di tecnologie digitali, perché non sostituire l’intero corpomente del
docente con un software/robot, come accade già in altri ambiti della vita
sociale? Credo che questo sia uno degli obiettivi ultimi dell’ideologia
didatticista impartita in modo ossessivo e autoritario anche ai docenti che si
preparano ai concorsi. Una didattica che farà a meno di loro.
Insegnare e apprendere costituiscono
invece una corporeità vivente e vissuta. Non un insieme astratto di parole, di
dati, di informazioni ma un corpo che si confronta con altri corpi in uno
spaziotempo condiviso. Insegnare significa abitare un luogo politico fatto
di dialoghi, di conflitti, di confronto fra concezioni del mondo e pratiche di
vita. Insegnare non significa erogare informazioni ma scambiare saperi.
L’effetto di tale inaridimento, il cui
primo obiettivo è cancellare la storia e i saperi millenari dell’Europa, è che,
certo, arrivano ancora in università studenti di grande intelligenza, i quali –
se metodologicamente indirizzati – sanno raggiungere risultati eccellenti. Ma
questo è il vertice. La base, che vedo affluire anno dopo anno, è composta in
media da persone che semplicemente non sanno leggere, anche perché nessuno
glielo ha insegnato; non conoscono la lingua italiana, la storia, la geografia,
la matematica, anche perché nessuno glielo ha insegnato; non sanno di
conseguenza scrivere, commettendo errori di grammatica e sintassi elementare,
anche perché nessuno ha insegnato loro la fatica e la gioia della scrittura.
Hanno ricevuto la pietra delle ‘competenze’ (impalpabili e inesistenti) invece
del pane delle conoscenze.
Su queste basi, l’Italia e l’Europa sono
destinate a fornire alla globalizzazione soltanto manodopera generica e di
basso livello. Nelle scuole indiane, cinesi, russe, si chiede invece agli
studenti un impegno totale (a volte persino esagerato) e chi non riesce a
raggiungere livelli adeguati di preparazione passa semplicemente ad altre
mansioni. In Italia una laurea invece non si nega a nessuno, figuriamoci un
diploma di scuola secondaria. Li si regalano, semplicemente, perché non valgono
niente. Ed è facile regalare ciò che non ha valore – la plastica, ad esempio –,
molto meno ciò che valore invece possiede, come l’oro. I cittadini
italiani conseguono diplomi e lauree di plastica, dopo aver ottenuto le quali
vengono gettati in pasto al tritacarne socioeconomico del capitalismo
globalizzato.
La scuola è morta e l’università è
moribonda e tuttavia l’integrale disincanto, necessario per vivere e per
pensare tenendo conto del principio di realtà, non deve mai essere separato
dalla tenacia e dalla lucidità con le quali agire nel mondo. La formula di
Burckhardt e dei Greci sul pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della
volontà deve guidare ogni pensiero e ogni respiro di chi insegna.
Questo è il testo di presentazione del
convegno vicentino:
«Dopo il primo convegno dedicato
all'istruzione, dal quale è nato il libro Per una scuola che torni a
essere scuola con il convegno Salvare i saperi per salvare la
scuola ContiamoCi! prosegue l’analisi del sistema scolastico italiano,
la cui febbrile degenerazione impone con urgenza di reagire. Lungi dal porre
rimedio ai danni già prodotti da decenni di sperimentazione pedagogica su
modello americano, si sta procedendo a una velocità sempre più vertiginosa
verso la demolizione di ogni baluardo di cultura. Nel regno delle competenze,
dell'ideologia e del digitale, dove non c'è più spazio per i saperi, i docenti
sono relegati al ruolo di assistenti e di animatori. E l’inestimabile
patrimonio di conoscenze e di bellezza frutto di secoli e secoli di storia rischia
di restare inaccessibile alle generazioni a venire, lasciate in balia degli
algoritmi nella spirale dell’ignoranza e della alienazione».
E questo è il link al video di Frezza, la
quale nulla trascura, mostrando in modo limpido le ragioni e i modi che hanno
condotto al dramma educativo e politico nel quale siamo immersi:
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