A fine mese, l’Unrwa, l’Agenzia dell’Onu per l’assistenza ai rifugiati
palestinesi, non potrà più operare a Gaza e nella Cisgiordania. Glielo impedirà
una legge del Parlamento israeliano, che metterà ulteriormente a rischio altre
migliaia di vite umane, oltre a quelle già sacrificate nella gigantesca
operazione militare di ‘autodifesa’, seguita ai massacri del 7 ottobre.
‘Pulizia etnica’ senza ostacoli
Tutto questo
si chiama, senza troppi giri di parole, ‘pulizia etnica mascherata’. È ciò che
Israele sta attuando, già da tempo, contro i palestinesi. E che assume varie
forme, tra le quali la più subdola è quella di affamare il nemico,
costringendolo a morire o ad andarsene. Liberando le terre. Sta tutto scritto
nell’ormai celeberrimo (o famigerato, dipende dai punti di vista) Piano dei
Generali, che disegna una dottrina militare complessiva dello Stato ebraico. Un
programma che Bibi Netanyahu sta applicando con l’aiuto dei partiti
messianico-nazionalistici, di Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir. “Dunque –
spiega il Wall Street Journal – le leggi approvate alla Knesset vietano di
fatto all’Unrwa, formalmente nota come United Nations Relief and Works Agency
for Palestine Refugees in Near East, di operare nel territorio d’Israele e
proibiscono alle autorità dello Stato ebraico di avere contatti con essa.
Palestinesi senza alcuna difesa
Israele
critica da tempo l’Unrwa, che afferma di essere prevenuta nei suoi confronti e
avere ‘membri di Hamas nel suo staff’. In sostanza, il governo di Tel Aviv non
ha mai visto di buon occhio la straordinaria opera di sostegno umanitario
condotta dall’Onu nei Territori occupati, ma nell’ultimo anno l’ostilità degli
israeliani è diventata sempre più evidente. Fino al punto da arrivare a
studiare un modo burocratico per bloccare il lavoro dell’Agenzia, cercando di
sollevare meno reazioni internazionali possibili. “Le disposizioni – spiega
ancora il WSJ – impediranno all’Unrwa di accedere ai permessi di ingresso
israeliani a Gaza e in Cisgiordania. Porranno inoltre fine al coordinamento con
l’esercito israeliano, su cui l’Unrwa fa affidamento per trasportare personale
e aiuti in giro per Gaza. Israele attualmente gestisce tutti i punti di
ingresso a Gaza, dopo avere preso il controllo del valico
dell’enclave con l’Egitto a maggio”.
Solo accesso a Gaza è militare
israeliano
Come si vede,
la normativa voluta da Netanyahu è stata studiata per rendere possibile, ai
decisori israeliani, qualsiasi opzione in merito. Aprendo o stringendo il
rubinetto dei controlli, rifiutando le autorizzazioni o, semplicemente,
ritardandole, le autorità di Tel Aviv possono mettere in crisi e far crollare
tutto l’impianto distributivo degli aiuti. E attenzione, le ripercussioni non
si limitano solo a questo: anche i sistemi di welfare sociale palestinese, a
cominciare dalla sanità e dalla scuola, dipendono in gran parte dalle risorse e
dalla gestione che ne fa l’Unrwa. La legge ‘anti-Onu’, approvata a ottobre,
dava un periodo di transizione di 90 giorni prima che le restrizioni entrassero
in vigore, appunto a partire da febbraio. E Netanyahu ora sembra proprio
intenzionato ad andare avanti come un rullo compressore, senza guardare in
faccia nessuno, tanto, ormai Gaza, la Cisgiordania e la Palestina fanno sempre
meno rumore, in Occidente. Le chiacchiere si sprecano, ma i fatti non si
vedono.
Ipocrisia Usa sugli aiuti da dare a
Gaza
“L’Amministrazione
Biden – denuncia il WSJ – ha inviato una lettera in cui ha messo in guardia
Israele sulla consegna degli aiuti a Gaza. In caso contrario avrebbe rischiato
un taglio alle vendite di armi. Per questo aveva sollecitato Israele ad
annullare il voto per diverse settimane”. Il portavoce del Dipartimento di
Stato, Matthew Miller, in seguito ha affermato che gli Stati Uniti
sono “profondamente turbati dalla legislazione”. Una tradizionale espressione
di cosmesi diplomatica, che viene utilizzata sovente, anche dalla Casa Bianca,
per salvare le forme e non toccare la sostanza. E, in effetti, da allora, la
drammatica situazione di emergenza dei palestinesi, almeno a Washington,
passate le elezioni, sembra cinicamente caduta nel dimenticatoio. Anche se il
WSJ avverte che alcuni alleati occidentali di Israele e alcuni Paesi asiatici
“si sono opposti alla legislazione, con i Ministri degli Esteri di Regno Unito,
Canada, Australia, Francia, Germania, Giappone e Corea del Sud che hanno
avvertito in una dichiarazione congiunta prima del voto che le leggi avrebbero
avuto “conseguenze devastanti sulla situazione umanitaria a Gaza”.
Solidarietà europea solo
all’Ucraina?
La stessa cosa ha fatto l’allora capo della politica estera dell’Unione
Europea, Josep Borrell, dichiarando che le leggi “erano in netto
contrasto con il diritto internazionale”. Attendiamo i nuovi vertici. Per
capire di cosa stiamo parlando, citiamo la situazione che c’è in uno dei 19
campi profughi esistenti in Cisgiordania, evitando di avventurarci nell’inferno
in Terra, a Gaza. A Balata, a est di Nablus, in un’area di meno di un
chilometro quadrato, sono stipati almeno 33 mila palestinesi. Che sopravvivono
(soprattutto i bambini) solo grazie all’Unrwa. Cioè, si sfamano, si vestono e
si curano perché esiste la solidarietà della comunità internazionale. Impedire
per meschini calcoli politici tutto questo, ha un solo nome: crimine
umanitario. Una cosa per cui non basta “turbarsi” ma, specie in Occidente, ci
si dovrebbe anche vergognare.
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