domenica 5 gennaio 2025

Israele vieta l’agenzia Onu per i palestinesi ed è ‘pulizia etnica’ - Piero Orteca

 

A fine mese, l’Unrwa, l’Agenzia dell’Onu per l’assistenza ai rifugiati palestinesi, non potrà più operare a Gaza e nella Cisgiordania. Glielo impedirà una legge del Parlamento israeliano, che metterà ulteriormente a rischio altre migliaia di vite umane, oltre a quelle già sacrificate nella gigantesca operazione militare di ‘autodifesa’, seguita ai massacri del 7 ottobre.

 

‘Pulizia etnica’ senza ostacoli

Tutto questo si chiama, senza troppi giri di parole, ‘pulizia etnica mascherata’. È ciò che Israele sta attuando, già da tempo, contro i palestinesi. E che assume varie forme, tra le quali la più subdola è quella di affamare il nemico, costringendolo a morire o ad andarsene. Liberando le terre. Sta tutto scritto nell’ormai celeberrimo (o famigerato, dipende dai punti di vista) Piano dei Generali, che disegna una dottrina militare complessiva dello Stato ebraico. Un programma che Bibi Netanyahu sta applicando con l’aiuto dei partiti messianico-nazionalistici, di Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir. “Dunque – spiega il Wall Street Journal – le leggi approvate alla Knesset vietano di fatto all’Unrwa, formalmente nota come United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in Near East, di operare nel territorio d’Israele e proibiscono alle autorità dello Stato ebraico di avere contatti con essa.

Palestinesi senza alcuna difesa

Israele critica da tempo l’Unrwa, che afferma di essere prevenuta nei suoi confronti e avere ‘membri di Hamas nel suo staff’. In sostanza, il governo di Tel Aviv non ha mai visto di buon occhio la straordinaria opera di sostegno umanitario condotta dall’Onu nei Territori occupati, ma nell’ultimo anno l’ostilità degli israeliani è diventata sempre più evidente. Fino al punto da arrivare a studiare un modo burocratico per bloccare il lavoro dell’Agenzia, cercando di sollevare meno reazioni internazionali possibili. “Le disposizioni – spiega ancora il WSJ – impediranno all’Unrwa di accedere ai permessi di ingresso israeliani a Gaza e in Cisgiordania. Porranno inoltre fine al coordinamento con l’esercito israeliano, su cui l’Unrwa fa affidamento per trasportare personale e aiuti in giro per Gaza. Israele attualmente gestisce tutti i punti di ingresso a Gaza, dopo avere preso il controllo del valico dell’enclave con l’Egitto a maggio”.

Solo accesso a Gaza è militare israeliano

Come si vede, la normativa voluta da Netanyahu è stata studiata per rendere possibile, ai decisori israeliani, qualsiasi opzione in merito. Aprendo o stringendo il rubinetto dei controlli, rifiutando le autorizzazioni o, semplicemente, ritardandole, le autorità di Tel Aviv possono mettere in crisi e far crollare tutto l’impianto distributivo degli aiuti. E attenzione, le ripercussioni non si limitano solo a questo: anche i sistemi di welfare sociale palestinese, a cominciare dalla sanità e dalla scuola, dipendono in gran parte dalle risorse e dalla gestione che ne fa l’Unrwa. La legge ‘anti-Onu’, approvata a ottobre, dava un periodo di transizione di 90 giorni prima che le restrizioni entrassero in vigore, appunto a partire da febbraio. E Netanyahu ora sembra proprio intenzionato ad andare avanti come un rullo compressore, senza guardare in faccia nessuno, tanto, ormai Gaza, la Cisgiordania e la Palestina fanno sempre meno rumore, in Occidente. Le chiacchiere si sprecano, ma i fatti non si vedono.

Ipocrisia Usa sugli aiuti da dare a Gaza

“L’Amministrazione Biden – denuncia il WSJ – ha inviato una lettera in cui ha messo in guardia Israele sulla consegna degli aiuti a Gaza. In caso contrario avrebbe rischiato un taglio alle vendite di armi. Per questo aveva sollecitato Israele ad annullare il voto per diverse settimane”. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, in seguito ha affermato che gli Stati Uniti sono “profondamente turbati dalla legislazione”. Una tradizionale espressione di cosmesi diplomatica, che viene utilizzata sovente, anche dalla Casa Bianca, per salvare le forme e non toccare la sostanza. E, in effetti, da allora, la drammatica situazione di emergenza dei palestinesi, almeno a Washington, passate le elezioni, sembra cinicamente caduta nel dimenticatoio. Anche se il WSJ avverte che alcuni alleati occidentali di Israele e alcuni Paesi asiatici “si sono opposti alla legislazione, con i Ministri degli Esteri di Regno Unito, Canada, Australia, Francia, Germania, Giappone e Corea del Sud che hanno avvertito in una dichiarazione congiunta prima del voto che le leggi avrebbero avuto “conseguenze devastanti sulla situazione umanitaria a Gaza”.

Solidarietà europea solo all’Ucraina?

La stessa cosa ha fatto l’allora capo della politica estera dell’Unione Europea, Josep Borrell, dichiarando che le leggi “erano in netto contrasto con il diritto internazionale”. Attendiamo i nuovi vertici. Per capire di cosa stiamo parlando, citiamo la situazione che c’è in uno dei 19 campi profughi esistenti in Cisgiordania, evitando di avventurarci nell’inferno in Terra, a Gaza. A Balata, a est di Nablus, in un’area di meno di un chilometro quadrato, sono stipati almeno 33 mila palestinesi. Che sopravvivono (soprattutto i bambini) solo grazie all’Unrwa. Cioè, si sfamano, si vestono e si curano perché esiste la solidarietà della comunità internazionale. Impedire per meschini calcoli politici tutto questo, ha un solo nome: crimine umanitario. Una cosa per cui non basta “turbarsi” ma, specie in Occidente, ci si dovrebbe anche vergognare.


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