Le comunità in difesa degli
insegnanti - Gustavo Esteva
Siamo in un momento di pericolo. L’indignazione e il coraggio non bastano. Di fronte al disastro
imminente, abbiamo urgentemente bisogno di buona organizzazione e di astuzia
strategica. Ci sono inerzie che sembrano condurre alla cieca le autorità e gli
insegnanti a un confronto distruttivo che non porterà niente di buono per
nessuno. Lo scontro provocherà molti danni, ma non produrrà quello che vogliono
le parti in lotta.
A Oaxaca, il conflitto è al massimo. L’agguerrita Sezione 22 appare
disposta a tutto: picchetti, blocchi stradali, marce, sciopero, anche se tutto
ciò si compie sotto la minaccia di ciò che già comincia ad avvenire: il
licenziamento senza alcun indennizzo. Le due parti preparano le armi come se
fosse la battaglia finale. Il Ministero della Pubblica Istruzione
annuncia di avere 26mila insegnanti disposti a sostituire quelli che
scioperano; la Sezione 22 lo sfida a farlo. Soggiogare il settore ribelle degli
insegnanti, a Oaxaca e altrove, è stata per molto tempo l’ossessione del
governo. È uno degli obbiettivi centrali della cosiddetta riforma
dell’educazione.
Chiuso il dialogo, il governo accumula provocazioni per stimolare azioni
disperate che servano da pretesto per la repressione poliziesca e sui luoghi di
lavoro. Non è l’unica finalità della strategia. Reprimere brutalmente la
Sezione 22 sarebbe un modo per incutere timore alla gente di Oaxaca che si
dedica alla difesa del proprio territorio. Il governo vuole
allargare la spoliazione per consegnare al capitale quello che la gente
difende. Nulla sembra trattenerlo. Passa sopra alla legge, ai suoi obblighi,
ai suoi impegni. È pronto a pagare qualsiasi prezzo in prestigio nazionale e internazionale.
Ayotzinapa lo dimostra a scala nazionale; a Oaxaca l’esempio è Álvaro
Obregón.La classe politica non conosce più la vergogna, hanno segnalato il
Congresso Nazionale Indigeno (CNI) e l’Esercito Zapatista di Liberazione
Nazionale (EZLN) in un comunicato congiunto sull’aggressione del 14
maggio alla ‘colonia’ di Álvaro Obregón. “Credono di poter aggredire,
minacciare e spaventare la degna lotta della gente. Non ci riusciranno! (…)
Sorelle e fratelli di Álvaro Obregón, dai quattro punti cardinali dei nostri
territori diciamo: Non siete sole! Non siete soli! … Come CNI veglieremo perché
questi fatti non succedano di nuovo e faremo sentire la nostra voce da tutti
gli angoli del nostro paese insanguinato”.
Lo Stato di Oaxaca è pieno di progetti di morte. Per anni la gente ha detto:
Basta!, e non è stato possibile piegarla. Il governo ora allarga
l’aggressione per portare devastazione nell’Istmo con la creazione della “zona
economica speciale” e vincere altre resistenze. In questa guerra, le popolazioni indigene sono
in prima linea e sono il principale bersaglio da colpire: possiedono e
custodiscono ciò che il capitale vuole prendere.
Lo sanno bene i genitori e le autorità delle comunità indigene della Mixteca di
Oaxaca, ad esempio, che dal 12 maggio hanno manifestato nella città di Oaxaca
per affermare che la lotta degli insegnanti è anche la loro lotta. Sanno che cosa vuol
dire per le loro bambine e i loro bambini la riforma dell’educazione: significa
lasciarli senza scuola. In molte comunità non c’è un numero sufficiente di
bambini per alcuni gruppi di età; secondo le nuove disposizioni, l’insegnante
dovrà abbandonarli. In molti casi si dovrà chiudere la scuola.
Corre voce che le autorità faranno come in Brasile: offriranno il trasporto
dei bambini in un’altra comunità, perché questo risulta meno costoso e perché
in tal modo realizzano il loro proposito di sradicarli dalle loro comunità, un
altro degli intenti di questa guerra. Come difendono i loro territori, ora le
comunità difendono i loro insegnanti e le loro scuole.
fonte: la Jornada titolo
originale: Choque de trenes? Traduzione a cura di Camminar Domandando
Camminar Domandando è una rete di relazioni impegnata nella traduzione e
diffusione delle voci provenienti dal mondo latino americano radicato in basso
e a sinistra, con una particolare attenzione al variegato mondo indigeno. Sul
sito sono gratuitamente consultabili e scaricabili articoli, libri e quaderni
di cui abbiamo curato la traduzione.
* Cerrado al diálogo, el gobierno acumula provocaciones para estimular acciones
desesperadas que sirvan de pretexto a la represión policiaca y laboral que
prepara.
La maestra e la pedagogia
della garrota - Gustavo Esteva
Kendy Moreno Mercado è maestra rurale a La Laguna. E’ da otto anni in
servizio come insegnante. Lavora alla scuola elementare Pablo L. Sidar, nell’ejido Santa
Fe, dove i lavandini per bere non funzionano, gli utensili elettrici smettono
di funzionare quando si accende l’aria condizionata e non ci sono campi
sportivi.
Oltre ad essere maestra, Kendy è avvocata, nonché una donna molto
agguerrita. Lo scorso 10 giugno ha tenuto testa al ministro dell’istruzione,
Aurelio Nuño, in una riunione che il funzionario ha organizzato con un gruppo di
docenti a San Buenaventura, Coahuila, feudo sindacale di Carlos Moreira –
fratello del governatore –, per propagandare la bontà della sua riforma
educativa.
La professoressa Moreno ha detto al ministro: “Sento davvero empatia per i miei compagni del
sud e mi dispiace che il dialogo con loro sia sospeso; vivono con dignità
quanto noi; lavoriamo in contesti differenti, molte delle nostre scuole del
nord non sono in condizioni tanto pessime come quelle del sud e sarebbe molto
arricchente tanto per voi come per noi maestri che dialogaste con loro”.
Nervoso, il funzionario le ha risposto con lo stesso mantra che intona da
quasi un mese: per poter stabilire un dialogo i bambini devono
tornare in aula e i maestri devono rispettare la Costituzione.
Anziché intimidirsi, la maestra rurale ha rilanciato: “Anche
il diritto di protesta e la non retroattività sono nella Costituzione e vengono
violati”.
L’esempio della maestra Kendy Moreno Mercado è una
dimostrazione del fallimento della politica autoritaria di Aurelio Nuño nei
confronti degli insegnanti. L’atteggiamento della docente e la sua
argomentazione articolata esprimono il sentimento di molti insegnanti di tutto
il paese. Una riforma educativa fatta con il sangue non può entrare
nell’immaginario dei professori. E il suo rifiuto si esprime in molte forme:
dallo sciopero alla disobbedienza.Anziché prendere atto di questo rifiuto,
ascoltare il profondo malessere che la riforma educativa ha generato e l’indignazione
che la chiusura al dialogo da parte governativa ha prodotto, il ministro Nuño ha
deciso di applicare la pedagogia della garrota. È proprio quello che ha appena
fatto a Oaxaca.
Due date, a 10 anni di distanza, testimoniano la stessa resistenza. Il 14
giugno del 2006 il governatore di Oaxaca, Ulises Ruiz, ordinò lo sgombero
violento di un picchetto di docenti nella capitale dello stato. L’11 giugno 2016 il
governo di Enrique Peña Nieto ha arrestato due dirigenti della sezione 22 e
represso selvaggiamente l’accampamento di professori e genitori di fronte agli
uffici dell’Instituto Estatal de Educación Pública de Oaxaca (Ieepo).
Dalla repressione del 2006 nacque la Asamblea Popular de los Pueblos de
Oaxaca (APPO) e la Comune di Oaxaca. Davanti all’attuale offensiva governativa
contro i docenti, i maestri e il popolo stanno articolando una vigorosa e
inedita resistenza. L’arresto dei dirigenti e la violenza della polizia,
anziché intimidire i docenti ed i loro sostenitori, hanno propiziato la
rinascita delle barricate e dei blocchi stradali in diverse parti dello
stato.
Oaxaca non è l’unico luogo dove la repressione governativa ha colpito duro.
Come se volessero commemorare a loro modo il giovedì del Corpus, lo scorso 10 giugno
poliziotti antisommossa hanno represso duramente un gruppo di genitori della
comunità chontal (popolo indigeno, ndt)
Tamulté de las Sabanas, municipio del Centro, Tabasco, che bloccavano la
strada Villahermosa-Frontera. Chiedevano di aprire un tavolo di negoziati sulla
riforma educativa con il governo federale.
Anziché spegnere la protesta a Tabasco, la repressione l’ha
estesa a otto comunità limitrofe. E’ stato falsamente riportato che 10
giornalisti sono stati sequestrati dalla Coordinadora Nacional de Trabajadores
de la Educación (CNTE). Secondo il professor Julio Francisco Mendoza González,
della direzione politica statale e nazionale della Coordinadora, i
rappresentanti della stampa sono fuggiti di corsa quando la moltitudine
indignata ha minacciato di legarli e sequestrarli. In realtà non sono mai
stati sequestrati.
In Chiapas, assieme ai maestri, manifestano il Pueblo
creyente (movimento cristiano di base, ndt), Los
Parachicos (ballerini tradizionali nella festa grande di Chiapa de Corzo),
marimbas, impresari, migliaia di genitori e persino membri della polizia
municipale. La società del Chiapas è scossa fin dalle fondamenta.
E’ così scossa che lo scorso 12 giugno l’arcivescovo di San
Cristóbal de Las Casas, Felipe Arizmendi, ha emanato il documento “Maestros,
adelante con verdad y justicia” (Maestri, avanti con verità e
giustizia, ndt). Il documento riconosce il
diritto e dovere dei docenti a manifestare per la difesa di quello che
giustamente spetta loro, afferma che la riforma educativa non è integrale, ma
solo amministrativa e di lavoro, e appoggia la lotta contro di essa.
Per imporre con il sangue la riforma educativa (e impedire le proteste per
i 43 desaparecidos di Ayotzinapa), il governo ha assassinato tre maestri (Claudio
Castillo, Antonio Vivar Díaz e David Gemayel Ruiz), detenuto in carceri ad alta
sicurezza otto dirigenti di Oaxaca, mandato centinaia di avvisi di garanzia in
varie parti del paese, licenziato più di 4mila lavoratori, picchiato
selvaggiamente centinaia di essi, impedito il libero movimento e schierato
nelle strade migliaia di poliziotti. Ma nonostante questa pedagogia della
garrota non ha potuto frenare le proteste di massa né tappare la bocca a
insegnanti come Kendy Moreno.
Gli zapatisti stanno con i
maestr@s - Subcomandante Galeano
In un documento intitolato “Appunti
sulla guerra contro la resistenza del magistero” (L’Ora del
Poliziotto 3), tratto dal Quaderno degli appunti del Gatto-cane, che firma come
Miau-Guau, il Subcomandante Galeano, già Marcos, racconta che sono ogni giorno di
più le famiglie che aiutano i maestr@s, li appoggiano nei viaggi e nelle
manifestazioni, si preoccupano quando sono aggrediti, offrono loro da mangiare,
da bere e un rifugio.
“Almeno in Chiapas, quelli di sopra stanno perdendo la guerra mediatica”,
perché “abbiamo visto famiglie intere, nelle campagne e nelle città, appoggiare
il magistero” che, dal 15 maggio, è in sciopero per chiedere al governo
federale di abrogare la riforma educativa e aprire un tavolo di dialogo
nazionale con la Coordinadora Nacionale de Trabajadores de la Educacion (CNTE).
Galeano sostiene che, a quanto sembra, la gigantesca campagna
mediatica contro la resistenza dei maestr@s è fallita, visto che “il
movimento di resistenza contro la riforma educativa si è trasformato in uno
specchio per sempre più “gente-gente (vale a dire, non le organizzazioni
sociali e politiche ma la gente comune)”. A distanza di tre anni dal varo della
presunta riforma educativa, aggiunge, il ministro Aurelio Nuño Mayer non può
ancora portare alcun argomento educativo, neppure minimo, a favore del suo
programma di “tagli sul personale” e fino ad ora i suoi discorsi sono stati gli
stessi di qualsiasicapataz all’epoca di Porfirio Diaz: “Grida
isteriche, botte, minacce, licenziamenti, incarcerazioni”. Gli stessi, precisa
il Sup, che impiegherebbe qualsiasi grigio e triste aspirante poliziotto
postmoderno.
Quelle che stanno appoggiando la protesta dei maestr@s, aggiunge Galeano,
sono famiglie che “secondo la tassonomia della sinistra elettorale, sarebbero
‘abbrutite’ dalla televisione, ‘sono come soprammobili’, ‘alienate’, ‘senza
alcuna coscienza’. Quel che sta accadendo, invece, sembra il frutto di un
risveglio collettivo di emergenza di fronte alla tragedia che arriva. Come se ogni
manganellata, ogni lacrimogeno, ogni proiettile di gomma, ogni arresto
potessero parlare in modo eloquente: “Oggi colpisco lei, poi lui, domani
toccherà a te”. Sarà per questo che si vede tanta solidarietà con la
causa e la lotta.
Poi Galeano ha squadernato un lungo elenco di interrogativi: “Perché un movimento
che è stato tanto ferocemente attaccato da ogni fronte continua a crescere? Perché se sono così
‘vandali’, ‘sfaticati’, ‘terroristi’, corrotti’, ‘nemici del progresso’ trovano
simpatie in tanta gente de abajo, non poca tra la classe media
e perfino in alcuni di quelli de arriba ? I maestr@s della CNTE,
ricorda, sono già stati picchiati, repressi con i gas, imprigionati,
minacciati, licenziati con pretesti e fatti oggetto di calunnia. A Città del Messico è
stato di fatto decretato lo stato d’assedio. Che succederà ora? Li faranno
sparire? Li ammazzeranno? Sul serio? La riforma educativa nascerà sul sangue e
i cadaveri delle insegnanti e degli insegnanti? I maestri verranno sostuiti da
polizia e militari? I blocchi stradali della protesta lasceranno il posto
ai carri armati e alle baionette?“.
Ancor prima che il governo annunciasse il provocatorio
arresto di Juan José Ortega, ex leader della CNTE dello stato del Michoacan, quello che – con
altre spoglie – è stato per molti anni il comandante militare dell’Ezln, ha
detto: “Lezioni sul terrorismo per il ministro Nuño. Prendere degli ostaggi (di
questo si tratta per la detenzione di membri della direzione del CNTE), in
qualsiasi terrorismo (quello dello Stato e quello dei suoi specchi
fondamentalisti) è una risorsa per forzare un dialogo, un negoziato. Non sappiamo
se lassù se ne sono resi conto oppure no ma risulta che è la controparte (il
magistero) che cerca il dialogo e il negoziato. Oppure la SEP (il ministero
dell’educazione pubblica) si è affiliato all’Isis e prende ostaggi solo per
seminare il terrore?”.
Per concludere con la consueta sottile ironia che ha sempre segnato i suoi
interventi, Galeano ha detto: noi zapatisti non sappiamo molto di mezzi di
comunicazione ma la nostra umile opinione è che “non è un buon affare
mettere alla guida di una campagna mediatica di una sfacciata privatizzazione
un caposquadra triste e grigio che vuole fare il poliziotto“.
La battaglia di Oaxaca - Gustavo Esteva
Non è una delle tante guerre di Oaxaca. E’ parte di una guerra
molto più profonda e intensa, che va stretta perfino al territorio
nazionale. La battaglia che sta cominciando, però, ha un significato speciale
in quella guerra, nella grande guerra.
E’ una battaglia largamente annunciata. A Oaxaca si sapeva
che molti aspetti dello scontro in corso si stavano rimandando a causa delle elezioni. Era evidente che
dopo il voto si sarebbe liberata la furia dei colpi, delle provocazioni,
dell’assalto finale. Erano cominciati ovunque i preparativi. Il 14 giugno tutta
Oaxaca stava ricordando. Era la memoria contro l’oblio: lo scenario di oggi
pareva uno specchio fedele di quello di dieci anni fa. Stavamo rivedendo lo
stesso film: la mobilitazione degli insegnanti, il presidio nello Zócalo (la
piazza centrale delle città messicane, ndt) , i cortei, le
rivendicazioni degli insegnanti, una feroce campagna mediatica…E le autorità a
puntare, come allora, sul logoramento della Sezione 22 (tradizionalmente la
parte più combattiva degli insegnanti, ndt), la crescente
irritazione dei cittadini, la paura della violenza e di perdere il lavoro, il
salario…
L’Espacio Civil è un’articolazione nuova di collettivi,
organizzazioni e gruppi dalle caratteristiche molto diverse che riprende
l’esperienza del 2006 per darle forme nuove. La campagna “Dieci anni costruendo
nuovi cammini” è nata in risposta alla violenza governativa “per imporre la cosiddetta
riforma educativa” e nel corso di “una esemplare resistenza degli insegnanti e
popolare di fronte all’imminenza del rischio che si ripeta la nera notte di
repressione che abbiamo vissuto il 25 novembre del 2006”.
La società civile oaxaqueña si è
pronunciata con fermezza sulla necessità di imparare dal 2006 “per chiudere un
ciclo che ci ha lasciati pieni di ferite e di dolore e per aprire nuove tappe
di lotta nelle quali non dobbiamo commettere gli stessi errori ma assimilare gli
insegnamenti positivi del movimento”.
“Oggi che diversi popoli sono in lotta per la difesa del loro territorio,
contro l’industria mineraria, quella eolica, per il rispetto della loro
autonomia e dei loro usi e costumi, della loro cultura, per la tutela delle
loro risorse naturali, dei boschi, dell’acqua e della biodiversità, oggi riteniamo necessario
avanzare nella costruzione di un’agenda comune che unisca le
maestre, i maestri, i quartieri, i giovani, le donne, gli uomini, insomma tutte
e tutti noi che aspiriamo e siamo disposti a lottare per un’Oaxaca e un Messico
migliori”.
Nel cominciare una Giornata di Riflessione 2006-2016, l’Espacio Civil ha
lanciato un appello per rendere più forte il movimento degli insegnanti e le
lotte dei quartieri, delle comunità e dei popoli affinché siano affossate la
riforma del lavoro travestita da riforma educativa e le altre riforme
strutturali e perché sia fermata la repressione. Solo insieme, sottolinea il
testo dell’Espacio, “riusciremo a ottenere la libertà delle
nostre prigioniere e dei prigionieri politici, la ricomparsa dei desaparecidos vivi e che non torni
a ripetersi una lunga notte di repressione e dolore contro gli insegnanti, i
quartieri e i villaggi di Oaxaca”.
Da quel giorno sono cominciati i blocchi stradali. A Nochixtlan e nell’Istmo la gente
è uscita nelle strade per sbarrare il passo ai camion pieni di polizia
militarizzata che si dirigeva verso la città di Oaxaca, nel cui aereoporto
hanno cominciato ad arrivare con gli aerei. Molte migliaia di persone, di ogni
settore della società, hanno alimentato e sostenuto i blocchi e hanno
cominciato a tessere la solidarietà.
Nel pomeriggio di sabato, il Centro dei Diritti Umani di Tepeyac,
dell’Istmo di Tehuantepec, e la Rete delle Difensore e dei Difensori Comunitari
dei Pueblos di Oaxaca hanno emesso un comunicato nel quale considerano assurda
e senza senso la risposta del governo federale alla protesta sociale.
Sostengono che la escalation di violenza mostra una classe politica che cerca
di perpetuarsi “nella logica del potere e dello scontro, invece di favorire la
creazione di spazi dialogo che aprano canali a questa democrazia fratturata”.
Allo stesso tempo, hanno espresso apprezzamento per la saggezza delle donne e
degli uomini dei villaggi, per i collettivi e i gruppi emergenti che “hanno
proposto una resistenza creativa, riflettendo il senso della vita e la costruzione di
una società giusta”.
Oaxaca sta bruciando. C’è una
coscienza chiara del momento di pericolo. Per questo, da ogni suo angolo, oggi
si fa appello al coraggio, a a quello che esprime l’indignazione morale che
condivide un numero crescente di persone, e a quello che significa valore,
integrità, capacità di camminare con dignità e lucidità in questi tempi oscuri.
La battaglia è appena cominciata.