Sostengo la campagna per il
Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) perché, soprattutto nel nostro
mondo connesso istantaneamente, un’ingiustizia commessa contro uno, o contro un
gruppo di persone, è un'ingiustizia contro tutti, contro ogni uno di noi, una
ferita collettiva.
Il
motivo per cui, in particolare, partecipo al boicottaggio culturale di Israele
è che, prima di tutto, lo posso fare. Sono uno scrittore, un romanziere, e creo
opere che sono, di norma, presentate al mercato internazionale. Questo mi dà un
piccolo grado di potere in più su ciò che ho come cittadino (del Regno Unito) e
come consumatore. In secondo luogo, se possibile, quando si cerca di puntare su
qualcosa, si deve essere precisi, e colpire dove fa più male. Il boicottaggio
sportivo del Sud Africa quando era ancora sotto il regime razzista
dell'Apartheid ha contribuito a portare il paese alla ragione perché la
minoranza dominante Afrikaaner ci teneva così tanto alle loro prodezze
sportive. Il Rugby e il cricket, in particolare, erano profondamente importanti
per loro, e la posizione generalmente alta delle loro squadre nelle classifiche
delle leghe internazionali era una questione di considerevole orgoglio. Quando
alla fine sono stati isolati dal boicottaggio sportivo - come parte del più
ampio boicottaggio culturale e commerciale - sono stati costretti in modo molto
più persuasivo ad affrontare il proprio stato da fuorilegge nel mondo.
Un
boicottaggio sportivo di Israele inciderebbe relativamente poco sull'autostima
degli israeliani rispetto al Sud Africa; mentre il boicottaggio intellettuale e
culturale potrebbe contribuire a fare la differenza, soprattutto ora che gli
eventi della primavera araba e le ripercussioni continue dell’attacco al
convoglio della pace della flottiglia per Gaza hanno minacciato sia la capacità
di Israele di fare affidamento sulla collusione dell'Egitto nel contenimento di
Gaza sia la volontà della Turchia di impegnarsi con simpatia con il regime
israeliano in qualsiasi modo. Sentendosi sempre più isolato, Israele è tanto
più vulnerabile ad ulteriori prove che esso, a sua volta, come il regime
razzista del Sud Africa, il quale una volta sosteneva e con il quale
collaborava, è sempre più considerato uno stato fuorilegge.
Sono
riuscito a giocare un ruolo piccolissimo nel boicottaggio culturale del Sud
Africa, assicurando che - una volta che mi sono accorto che potevo farlo - i
miei romanzi non vi fossero in vendita (mentre ero costretto da un precedente
contratto, sotto i cui termini i libri venivano venduti in Sud Africa, ho fatto
un calcolo approssimativo delle royalties guadagnate ogni anno e ho versato
tale importo all’African National Congress). Dal momento dell'attacco del 2010
in acque internazionali sul convoglio per Gaza guidato da una nave turca, ho
istruito il mio agente di non vendere più i diritti dei miei romanzi agli
editori israeliani. Non compro prodotti o cibo provenienti da Israele, e con la
mia compagna cerchiamo di sostenere i prodotti palestinesi, ove possibile.
Non
sembra un granché, e non sono del tutto felice di fare ciò; a volte può
sembrare di prendere parte ad una punizione collettiva (anche se il BDS è, per
definizione, rivolto direttamente allo stato e non al popolo), e questo è una
delle accuse più dannose che possono essere mosse contro Israele stesso: che
impone una punizione collettiva al popolo palestinese all'interno di Israele e
nei territori occupati, vale a dire la Cisgiordania e - in particolare - il
vasto campo di prigionia che è Gaza. Il problema è che l'impegno costruttivo e
la ragionata argomentazione hanno palesemente fallito, e l'arma, relativamente
grezza, del boicottaggio è più o meno tutto quello che resta. (Alla domanda:
"Che ne dici del boicottaggio dell’Arabia Saudita?" - Tutto quello
che posso affermare è che tagliare il mio consumo della sua esportazione più
redditizia è stato un motivo periferico per la mia rinuncia alcuni anni fa alle
auto di grossa cilindrata che un tempo guidavo e al viaggiare in aereo. Di
certo non avrebbe permesso che un mio libro fosse pubblicato neanche lì, anche
se - ovviamente, date alcune delle cose che ho detto su questa scusa barbara
per un paese, per non parlare dei contenuti dei libri stessi - la questione non
è mai sorta, e non lo farà mai mentre è al potere qualcosa di lontanamente
simile all'attuale regime.)
Come
persona che ha sempre rispettato e ammirato le conquiste del popolo ebraico -
hanno probabilmente contribuito ancora di più alla civiltà mondiale che gli
scozzesi, e noi Caledoni non siamo timidi nel promuovere la nostra
piccola-ma-influente storia - e che ha provato compassione per le sofferenze
che ha vissuto, soprattutto negli anni precedenti e poi durante la seconda
guerra mondiale e l'Olocausto, mi sentirei a disagio a prendere parte in una
qualsiasi azione che - anche se solo grazie agli sforzi della macchina di
propaganda israeliana - possa essere sostenuta da alcuni come azione che li
prende di mira, nonostante il fatto che lo Stato di Israele e il popolo ebraico
non sono sinonimi. Israele e i suoi apologeti non possono, però, avere entrambe
le cose: se vogliono fare l’affermazione piuttosto isterica che ogni e
qualsiasi critica della politica interna o estera di Israele è antisemitismo,
devono anche accettare il fatto che questo presunta, se speciosa, indivisibilità
offre l'opportunità per quello che pretendono sia la censura di uno a
funzionare come la condanna dell’altro.
La
tragedia particolare del trattamento di Israele del popolo palestinese è che
nessuno sembra aver imparato nulla. Israele stesso è stato creato in parte come
un tentativo tardivo e colpevole da parte della comunità mondiale per
contribuire a compensare la sua complicità, o almeno la sua incapacità di
prevenire, il catastrofico crimine dell'Olocausto. Di tutti i popoli, quello
ebraico dovrebbe sapere come ci si sente ad essere perseguitato in massa,
punito collettivamente e trattato come meno che un essere umano. Per lo stato
di Israele e il collettivo di spesso improbabili difensori in tutto il mondo
che lo sostengono ciecamente nel perseguire e mantenere il trattamento disumano
del popolo palestinese – forzato così brutalmente a lasciare le sue terre nel
1948 e ancora oggi sotto attacco – l’essere così ciechi all'idea che
l'ingiustizia è l’ingiustizia, a prescindere non solo da chi la subisce, ma
pure da chi la commette, è una delle iniquità che definisce la nostra epoca, e
implica con forza un limite vergognosamente basso sul grado di intelligenza
morale della nostra specie.
La
soluzione all'esproprio e alla persecuzione di un popolo non può essere mai
quella di espropriare e perseguitarne un altro. Quando facciamo questo, o
partecipiamo a questo, o anche solo permettiamo che ciò accada senza criticarlo
o porre resistenza, non facciamo altro che garantire ulteriori atti di
ingiustizia, oppressione, intolleranza, crudeltà e violenza in futuro.
Può
essere che ci vediamo come molte tribù, ma siamo una sola specie, e nel mancare
di alzare la voce contro le ingiustizie inflitte ad alcuni di noi e di fare
quello che possiamo per combatterle senza accumulare ulteriori ingiustizie su
quelle precedenti, imponiamo effettivamente una punizione collettiva a noi
stessi.
La
campagna BDS per la giustizia per il popolo palestinese è una campagna che
spero qualsiasi bava persona aperta sosterrebbe. Gentili o ebrei, conservatori
o di sinistra, non importa chi siete o come vi vedete, queste persone sono la
nostra gente, e collettivamente abbiamo voltato le spalle alla loro sofferenza
per troppo tempo.
Estratto
da “Our People” di Iain Banks, di Generation Palestine: Voices from the
Boycott, Divestment and Sanctions Movement, a cura di Rich Wiles, pubblicato da
Pluto Press.
Fonte: The Guardian
Traduzione
di BDS Italia
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