I Giganti sono un gruppo che ha un record, con la censura.
le loro canzone più famose sono probabilmente “Tema”, del 1966, e “Proposta”, del 1967.
ma
chi si ricorda “La terra in bocca”, del 1971?
un disco, un concept album, che parla di
mafia.
ecco intanto i conti con la censura:
…1966 I Giganti. Uno dei loro pezzi più
famosi, “Una ragazza in due“,
fu inizialmente censurata perché ritenuta “canzone esagitata”.
Ancora i Giganti con “Io e il presidente“, che doveva prendere
parte al Cantagiro 1967, la quale fu “oscurata” perche’ un suo verso diceva più
o meno “oggi non sei niente e domani sei
Presidente“, cosa che dovrebbe essere l’orgoglio di qualsiasi democrazia
moderna ma che nella mente contorta del censore doveva apparire come una
terribile offesa per il presidente della Repubblica.
1970 Sorprendentemente, di nuovo i Giganti.
Incapparono nella censura totale di un LP, “Terra in bocca“, che parlava di mafia e che conteneva dei pezzi
“scomodi” dal titolo “Sul tuo letto di
morte” o “Lungo e disteso“.
Doveva essere una delle prime opere rock italiane ed aveva ottenuto ottime
recensioni, ma il censore pensò bene di bloccarlo sia in radio che in
televisione, visto che, come asseriscono i pezzi da novanta, “La mafia non
esiste”.
… I Giganti sono
già conosciutissimi come gruppo soft-beat che,
in sei anni di attività, avevano sfornato almeno 16 singoli e 2 album di un certo successo, inanellando almeno cinque hit
e diverse apparizioni a Sanremo.
Il loro groove attraversa con gli anni momenti esistenzialisti, pacifismo (“Proposta”, “La bomba atomica“), strane diversioni religiose (“Il Paese è in festa“) e diverse covers. Il tutto suonato con grande stile e
convinzione, ma posizionandosi sempre molto lontano dall’ala più dura del Beat.
Protagonista di uno storico litigio,il
quartetto si scolse nel 1968 per poi ritrovarsi a sorpresa due anni dopo, in
compagnia del tastierista Vince Tempera.
Ed è proprio dalla collaborazione col
venticinquenne Maestro milanese e con il “giro” di Gianni Sassi,
che nacque un progetto veramente innovativo e trasversale per l’epoca: un album-concept su un delitto di
mafia(anche se la parola in sé non viene mai pronunciata) che, da un lato,
avrebbe descritto con crudezza tutti gli scenari correlati all’omicidio e
dall’altro, evocato la storia d’amore della vittima prima sino a poco prima
della sua morte.
Ne viene fuori un capolavoro.
Il disco si apre con un introduzione acustica
in cui viene spiegata la storia : un ragazzo
siciliano, ribellandosi al pizzo sull’acqua imposto dalla mafia, decide di
trovarsela da solo e di distribuirla gratuitamente. Di conseguenza, viene
ucciso a tradimento e poi vendicato dal padre.
Un canovaccio drammatico la cui spietatezza si
incrocia però con la sua storia d’amore,
creando uno virtuoso contrasto poetico che
non ha eguali nella sognante epopea dell’Underground.
Se in un primo momento il disco sembra partire
in sordina tra arpeggi acustici e voci armonizzate, ci si accorge molto in
fretta che “Terra in bocca” è
molto di più.
L’articolata struttura musicale e vocale si
trasforma progressivamente in un vero e proprio gioiello di composizione, i
successivi innesti strumentali creano un magnifico crescendo che, a partire da
schemi rock blues, arriva a vere e proprie esplosioni Prog che enfatizzano
magnificamente le parti più drammatiche.
La sequenza dei vari movimenti è ricorrente –
ma mai ripetitiva – ed inchioda l’ascoltatore al giradischi dal primo
all’ultimo minuto in un incedere timbrico
senza pari nel 1971.
La resa poetica dei testi è talmente
verosimile ed attuale da lasciare commossi.
L’interpretazione, gli arrangiamenti e il
mixaggio sono perfetti.
Sospeso tra un “musical noir” e il “Pre-progressivo“,
“Terra in bocca” non ha
momenti di flessione e , al di là di certe trascurabili pietismi, la resa
complessiva lo proietta ancora oggi nella categoria degli “imprescindibili”della musica Italiana.
Non vendette molto (vai tu a toccare
certi tasti…), i Giganti si sciolsero a breve e per le discografiche fu una
delusione.
Ma questo non importa: chi conosce
quest’album, sa che un disco così non si dimentica.
Terra
in bocca, di Giorgio Zito
Questa è una
storia italiana. Una storia di mafia e di rock. Una storia di censura e
stupidità. E’ la storia di un ragazzo di sedici anni che si ribella alla mafia
e alla “privatizzazione” dell’acqua. E’ la storia di una rock band all’apice
del successo, che decide di giocarsi la carriera in un impresa folle: un disco
a tema sulla mafia. Una storia che potrebbe essere stata scritta oggi, e invece
è di 40 anni fa.
Il tema, quello dell’intreccio tra la lotta
alla mafia e la privatizzazione dell’acqua, o il suo monopolio, è quanto mai
attuale, così come la censura sempre più strisciante nel mondo della cultura. I Giganti, nel 1970, sono davvero una
delle band più famose in Italia, e quando decidono di buttarsi nell’impresa di “Terra in bocca”, forse non si rendono
neanche conto di quello a cui stanno andando incontro.
Ma l’idea di questo lavoro riesce a coagulare
intorno ai Giganti il
meglio della scena musicale di avanguardia del tempo: da Ares Tavolazzi a Vince Tempera, da Ellade Bandini a quel Gianni Sassi dalla cui mente da li a poco
nasceranno la Cramps e gli Area, uno
dei personaggi in assoluto più importanti per la storia del rock italiano.
Il disco si apre con un ouverture strumentale,
tipico dell’epoca, ma già del secondo brano si sentono influenze che derivano
dalla canzone d’autore (è innegabile la presenza di De Andrè tra le fonti di ispirazione del disco): è il
brano centrale del disco, il racconto di un uccisione per mano mafiosa: lungo e disteso ti hanno trovato / con quattro
colpi piantati nel petto. L’uccisione del ragazzo che ribellandosi alla
mafia si illudeva di poter scavare un pozzo per avere l’acqua senza pagare il
pizzo.
Da lì parte il racconto, tra ballate acustiche
e chitarre elettriche, voci arrabbiate e accordi di piano, accenni di prog,
canzone francese e sprazzi di avanguardia.
L’apice arriva con la vendetta del padre del
ragazzo, lo scontro con la mafia, e l’uccisione del mafioso che gli aveva
ucciso il figlio, in un momento epico, un brano che a tratti potrebbe ricordare
i momenti migliori di Jesus Christ Superstar, con un grande arrangiamento, la
musica in crescendo, fino al grido di dolore del padre per il figlio ucciso.
Toni soul blues per il brano finale, la presa
di coscienza civica contro la mafia, che però porta a farsi giustizia da se. E
scavando per la tumulazione del figlio, dalla terra esce l’acqua: la vita che
vince contro la morte. Chiusura con il tema centrale dell’opera, che riassume
tutto il racconto.
Sono evidenti i motivi per cui nel 1971, in un
epoca in cui la parola mafia in TV non poteva essere pronunciata, il disco fu
boicottato al punto di sparire dal commercio e rimanere così sepolto per 40
anni. Fino a quando Brunetto Salvarani (teologo e giornalista) e Odo Semellini
(scrittore) decidono di raccontare questa storia nel libro “Terra in bocca –
Quando i Giganti sfidarono la mafia”, raccogliendo testimonianze di chi
c’era e interviste agli autori, ed allegando al libro il cd nella sua versione
ufficiale, portando così alla luce questo vero e proprio capolavoro del rock
italiano.
In più, nel libro troviamo un esauriente
elenco di concept album italiani, un elenco di canzoni sul tema della mafia,
una prefazione di Don Luigi Ciotti,
e l’analisi dei fatti più importanti dell’epoca, per contestualizzare il disco.
Per chi come me è cresciuto a Rolling Stones,
blues e punk è dura ammetterlo, ma nel progressive italiano c’erano davvero
delle cose pregevoli, e questo disco, che fotografa in maniera precisa il
passaggio dal beat al progressive, ne è la dimostrazione lampante. Probabilmente,
uno dei dischi più importanti di tutta la storia del rock italiano.
da
qui
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