Per il dolore è come per l’ingiustizia. Non ci si dovrebbe mai abituare
alla loro pervasiva presenza. Molto spesso il dolore è una conseguenza
dell’ingiustizia. Entrambi sono a loro modo una rivelazione. Il dolore
è una delle risposte, quella forse più immediata e drammatica, alla separazione
tra la realtà e l’anelito alla pienezza di vita. Rivela un disagio, spesso
incomunicabile, con se stessi, gli altri e il mondo. L’ingiustizia si
esprime come un tradimento perpetrato alla persona che viene privata del primo
e fondamentale diritto che è il riconoscimento della sua inalienabile dignità
umana.
“Dov’è il dolore, là il suolo è sacro”, scrisse il drammaturgo e poeta di
origine irlandese Oscar Wilde. Il Sahel è dunque un luogo sacro e come tale
andrebbe accolto e rispettato. Il suolo di cui parla il poeta non è solo quello
geologico o geopolitico. Il primo suolo sacro è costituito dalle persone, i
corpi, le speranze e l’immaginario che caratterizzano ogni umana
avventura. Il dolore che non trova parole per raccontarsi perché indicibile e prezioso
come un pianto di madre. Il dolore che sembra arrivare ancora prima di nascere
al mondo. Il dolore dei poveri che lo trasmettono, in
silenzio, da padre a figlio.
Il dolore della morte per la fame che, secondo l’Ufficio di coordinazione
delle azioni umanitarie, mette a rischio la vita di 33 milioni di persone nel
Sahel. Questa carestia è la conseguenza di crisi che, come il deterioramento
della sicurezza, l’instabilità e il clima, minacciano i mezzi di sussistenza
delle famiglie. La violenza dei conflitti armati obbliga milioni di
persone a fuggire dalla case e dalle terre per cercare un futuro precario
altrove. Una vita passata scappando da un luogo all’altro e da una guerra
alla seguente. Sembra difficile trovare un dolore che somigli a quello
raccontato dagli scampati.
Perché il dolore è una maledizione, un mistero, un silenzio, parole che non
bastano, un miracolo non accaduto e un grido inascoltato. C’è un dolore
collettivo che non è la somma dei dolori individuali e che neppure i libri di
storia riescono ad evidenziare. Il dolore lo si porta dentro come fanno i padri
che la vita ha reso curvi e fieri per non aver pianto davanti ai
figli. C’è il dolore del parto e quello che sembra del tutto irriverente e
sterile. Il dolore tace perché difficilmente trova una riva dove approdare con
la sicurezza di essere compreso. Come quello dei bambini che pochi sanno
decifrare.
Il loro dolore, quello dei bambini, non ha ancora trovato un
lessico capace di trasmetterlo alle generazioni che verranno. I
bambini presi come ostaggi per farne mendicanti sulle strade delle città e per
impietosire i distratti consumatori di beni. Obbligati a lavorare nei
cunicoli scavati in terra in cerca di minerali preziosi per l’industria e il
commercio dei grandi. Il dolore dei bambini strappati troppo in fretta
dall’abbraccio delle madri e dal futuro che i consigli del padre non potrà più
ascoltare. Un recente rapporto sul Sahel rivela che i bimbi costretti a fuggire
da casa sono circa 1,8 milioni.
Il dolore del tradimento sofferto o perpetrato non ha ancora trovato
un’unità di misura per stimarlo. Le conseguenze di scelte politiche funzionali
alle ideologie dominanti aggiungono dolore ai poveri che il sistema di
dominazione ha reso inutile periferia. Il dolore dei giovani a cui vengono
espropriati, venduti e manipolati i sogni di un futuro possibile. L’accanimento
globale contro i migranti che ne sono una delle espressioni più libere e pure,
genera rivoli di dolore che come fiumi sotterranei prepara sorgenti nel
deserto. Nessun dolore andrà perduto perché scritto sulla palma della mano,
sacra, di una madre.
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