domenica 22 settembre 2024

Controcanto al ddl sicurezza, elogio del conflitto - Alessandra Algostino

 

Il disegno di legge 1660 approvato alla camera punta a negare il conflitto. Hanno deciso di sopprimere qualsiasi dissenso, che sia per le devastazioni ambientali e climatiche, che sia portato avanti da chi è schiacciato dalla povertà o da chi protegge la libertà di movimento. Si illudono di poter eliminare il conflitto, ciò che da sempre apre crepe nella storia scritta dall’alto. E la cui gestione resta anche la più importante antitesi alla guerra

 

Il disegno di legge (n.1660) “Piantedosi” è l’ennesimo provvedimento in materia di sicurezza, espressione della fascinazione per il populismo penale e la criminalizzazione di dissenzienti, poveri e migranti, che ha attratto nel corso degli anni in modo multipartisan le forze politiche. È un canto delle sirene irresistibile per gli amanti delle soluzioni autoritarie come per i patrocinatori delle agende neoliberiste: consente di archiviare le politiche sociali, delegittimando, espellendo e punendo la marginalità sociale come la contestazione politica. Un connubio perfetto per un neoliberismo, la cui aggressività e competitività contempla la normalizzazione della guerra, per una società dominata dal TINA (There is no alternative) e da logiche identitarie dicotomiche, e una destra (in)-culturalmente intollerante a limiti e critiche.

La divergenza politica e sociale, gli eccedenti, sono dunque i nemici; tanti gli effetti collaterali utili: il conflitto sociale non esiste e non ha titolo di esistere; le radici delle diseguaglianze sociali e della devastazione ambientale sono oggetto di un transfert che le addossa a chi le subisce e a chi le contesta; si crea uno stato di permanente emergenza e distrazione. Il nuovo provvedimento è emblematico in tal senso. Due esempi: le difficoltà abitative sono “risolte” con l’inasprimento delle pene per le occupazioni, indicando i movimenti per il diritto all’abitare come i colpevoli della situazione; le condizioni disumane in carcere e nei CPR scompaiono perché rese invisibili dall’impossibilità di mettere in atto qualsiasi tentativo di chi vi è rinchiuso di farsi sentire.

È un modus operandi, che, ancor prima degli specifici profili di incostituzionalità delle singole misure, è contro il progetto della Costituzione, che si propone, muovendo dalla consapevolezza dell’esistenza delle diseguaglianze esistenti, di rimuovere gli ostacoli che si frappongono all’emancipazione personale e sociale, mentre la sostituzione dello stato sociale con lo stato penale occulta, trasfigura e strumentalizza gli ostacoli.

Su il manifesto il disegno di legge è stato analizzato e criticato nella sua ratio e nelle sue disposizioni, vorrei ancora insistere su un punto. Il fil noir che lo attraversa è la negazione del conflitto, represso e surrogato con la figura del nemico; non è inutile allora ricordare qual è il senso del riconoscimento del conflitto. Il conflitto consente l’espressione dei subalterni, degli oppressi, delle vite di scarto (Bauman), dei dannati della terra (Fanon), ne riconosce l’esistenza e la legittimazione a lottare per la propria dignità e autodeterminazione. Il conflitto, dunque, produce riconoscimento, inclusione ed emancipazione. È emancipazione in sé e veicola emancipazione. Il conflitto è il motore che anima la dialettica della storia. La storia è «storia di lotta di classi», «di oppressori e oppressi», che «sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese» (Marx); «sono in ogni repubblica due umori diversi, quello del popolo e quello de’ grandi», «tutte le leggi che si fanno in favore della libertà, nascano dalla disunione loro» (Machiavelli). Il conflitto è un elemento dinamico, che veicola trasformazione. Chi avversa il conflitto tende a mantenere lo status quo, le relazioni di dominio e di diseguaglianza esistenti. È attraverso i conflitti che nascono i diritti, si esercitano e si preservano.

Il conflitto è anche il fondamento della democrazia; insieme ad una visione all’insegna della complessità, rende vivo il pluralismo; con la mobilitazione e l’attivismo che reca con sé sconfigge l’apatia, l’indifferenza, la passività, favorendo la partecipazione, che della democrazia è il cuore.

Preciso: il conflitto si pone in antitesi alla guerra. Si situa nell’orizzonte della complessità e della differenza, del riconoscimento reciproco, della discussione e della convivenza, mentre la guerra tende alla semplificazione identitaria, a una artificiale e coartata omogeneità, alla delegittimazione del nemico, e, in definitiva, alla sua eliminazione.

Il disegno di legge Piantedosi mira a negare il conflitto e si situa nello spazio della guerra contro il dissenso, i poveri, i migranti. L’orizzonte della trasformazione è sostituito dalla repressione; l’immaginazione e la pratica del cambiamento soffocati a colpi di reati; la democrazia diviene un mero simulacro che copre una gestione autoritaria e blinda un modello economico-sociale strutturalmente diseguale.

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