venerdì 20 settembre 2024

Gaza: quello che Israele, con la censura militare, nasconde alla stampa estera - Claudia Carpinella

 

Quella nella Striscia di Gaza è la guerra più documentata della storia. Mai come oggi c’è stata una copertura mediatica così massiva e condivisa. Qualsiasi persona ha la possibilità concreta di vedere gli infiniti video che ben descrivono la realtà di Gaza, e questa è la grande novità che accompagna uno dei momenti più bui del nostro tempo. Una storia che sta accadendo e che si sta scrivendo qui e in questo momento, sotto gli occhi di chiunque voglia vedere.

Eppure, Israele continua a negare o a giustificare la narrazione dei fatti, nonostante migliaia di video e foto che di per sé già basterebbero a scrivere la cronaca di quanto sta accadendo. I massacri ripresi dalle telecamere talvolta vengono sminuiti, altre volte vengono semplicemente derubricati a “danni collaterali” di operazioni militari. Molto più spesso invece, tutto ciò che viene documentato e registrato, compreso il numero delle vittime, viene messo in discussione da Netanyahu e dal suo governo, in quanto “affermazioni divulgate e controllate da Hamas” e per questo non attendibili.

Ebbene, se così fosse, c’è da chiedersi come mai Israele continui a bloccare l’ingresso dei giornalisti nella Striscia di Gaza. “A causa del controllo dell’IDF sui valichi di frontiera, reso ancora più rigido dopo la presa di Rafah – si legge in un editoriale di Haaretz – nessun reporter straniero può mettere piede nella Striscia senza l’approvazione dello Stato”. Non vi è giornalista, dunque, che possa entrare nell’enclave palestinese “senza la scorta dell’Unità portavoce dell’esercito”. Questo divieto assoluto, commenta Haaretz, non solo “danneggia gravemente la capacità di fare reportage indipendenti”, ma anche “il diritto del popolo israeliano e del mondo di sapere cosa sta succedendo a Gaza”.

Israele ha imposto un blackout informativo

I soli reporter che ottengono il via libera ad entrare, devono attenersi pedissequamente a quanto imposto dalle forze israeliane e ciò non può in nessun modo costituire “un’alternativa valida all’accesso indipendente”. A tal proposito, due mesi fa, oltre 70 organi di informazione – tra cui New York Times, BBC, CNN, Associated Press, Agence France-Presse, Guardian e Washington Post – hanno firmato una lettera indirizzata a Tel Aviv “ribadendo la richiesta di un accesso illimitato dei media internazionali nella Striscia” e sottolineando come le attuali restrizioni “possano alimentare la disinformazione” – fatto, peraltro, denunciato paradossalmente dal Governo israeliano stesso. Tuttavia, Israele si è dimostrato sordo a qualsivoglia appello da parte dei media, scegliendo di perseguire l’imposizione di un totale blackout informativo.

Sebbene le restrizioni alla stampa siano comuni in guerra, il CPJ, ovvero il Comitato per la protezione dei giornalisti, ha dichiarato che “il divieto totale ai giornalisti di entrare a Gaza è senza precedenti nei tempi moderni”. Nessuno entra e nessuno documenta liberamente e i giornalisti israeliani non fanno eccezione. Si legge, sempre nella lettera del CPJ, come “dare un accesso limitato ai reporter durante tour approvati e guidati dall’IDF non è sufficiente per fare informazione”. Alla luce di quanto riportato, appare quantomeno stridente che in tutto il mondo, tranne che in Israele, “i giornalisti abbiano  potuto riferire dalle prime linee in quasi tutti i principali conflitti degli ultimi tre decenni, dall’Ucraina al Ruanda”.

Per questo, l’editoriale di Haaretz termina con un interrogativo assordante, rivolto ai cittadini israeliani stessi: “Cosa ha da nascondere lo Stato? Come trae vantaggio dall’impedire ai giornalisti di entrare?”.

Nonostante questo divieto, che suona come una censura, e nonostante il fatto che dal 7 ottobre siano stati uccisi 165 giornalisti, le notizie dalla Striscia di Gaza arrivano e corrono veloci grazie al coraggioso lavoro dei reporter palestinesi presenti nell’enclave, gli unici che riescono a far vedere al mondo quanto accade (secondo l’IDF tre sarebbero stati affiliati ad Hamas; se anche fosse vero, resta che gli altri 162 sono stati uccisi per il loro lavoro, a meno di credere davvero alle morti accidentali…). 

Ma un conto è che quelle immagini circolino sul web o sui mezzi di informazione arabi o non mainstream, altro che vengano riportate dai media di sistema, che  creano la narrazione per il grande pubblico occidentale. Ed è a questo che serve la censura israeliana. Le immagini che ci arrivano via internet sono crude e spietate, certo. Del resto, non potrebbe essere altrimenti perché non c’è nulla di umano in una mattanza, spacciata per guerra al terrorismo, che non ha risparmiato, tra gli altri, 16.456 bambini e 11mila donne.

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