venerdì 13 febbraio 2015

Un disinvolto mondo di criminali - Peter Handke


Peter Handke racconta di due viaggi in Serbia, quando la Serbia era il nemico numero uno del mondo civile e giusto, il nostro, naturalmente.
Peter Handke cerca di capire e applica le parole di Adorno nei suoi ragionamenti e nei suoi comportamenti.
e, quando i potenti hanno deciso che ci sono solo il bianco e il nero,  sottrarsi a questa scelta prescritta è un crimine, o quasi, diventi un nemico.
Peter Handke si interroga, dubita, ascolta, parla, sta con i perdenti, un altro tedesco (Bertolt Brecht) scriveva che "fra i vinti la povera gente faceva la fame e fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente".
gli intellettuali, quelli non embedded, sono scomodi, fastidiosi, non sono patriottici, gli si fa terra bruciata intorno.
siano benedetti coloro i quali non scelgono fra bianco e nero - franz

ps: 
 dice Adorno: "La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta"






Il titolo originale - In lacrime, chiedendo - rivela il registro di scrittura che il noto autore austriaco (nato nel 1942) adotta per le "annotazioni a posteriori su due attraversamenti della Iugoslavia in guerra - marzo e aprile 1999", redatte durante la campagna della Nato. Handke trascrive le sue immediate reazioni alle operazioni militari degli alleati, ma soprattutto denuncia la manipolazione delle informazioni sui media occidentali. Deriva, il titolo, da uno degli ultimi colloqui dell'autore, ormai in procinto di lasciare il paese, con una oncologa di Novi Sad che, affranta, gli parlava delle sofferenze dei suoi pazienti, aumentate a dismisura a causa della guerra: "Questa donna non riesce a capire ciò che i paesi in cui si è sempre recata volentieri (è stata spesso negli Usa) stanno facendo al suo popolo. Ma poi, invece di indignarsi, chiede soltanto: 'insomma siamo davvero così colpevoli?'. E questi occhi qui, non immediatamente distolti, puntati dritti in faccia a noi, tenuti fissi nella luce e nel sole; CHIEDENDO tra le lacrime, chiedendo; chiedendo; rimprovero, tema per uno scultore, ma quale?".

Handke ha viaggiato con alcuni amici serbi in zone a lui care, incontrando persone che sentiva autentiche, spontanee, non corrotte dalla modernizzazione contemporanea. E non s'interroga su quali siano stati gli errori della politica serba negli ultimi anni - un aspetto, questo, che gli è stato spesso rimproverato -, piuttosto mette in evidenza i guasti causati dalla guerra, la pena degli abitanti, l'insensatezza dell'azione bellica. Si mette dalla parte dei deboli e delle vittime, e questo gli fa onore - d'altra parte, però, il suo modo d'indagare gli fa perdere di vista il contesto complessivo, soprattutto gli impedisce di individuare le radici del conflitto balcanico. Handke bolla la politica occidentale e i media che la sostengono con una durezza tale da parere talora non obiettivo, o comunque incapace di sondare sia le origini che le conseguenze di quella politica. Ma non solo: il suo procedere per partito preso gli impedisce di cogliere gli stessi deprecabili difetti nei media serbi, prima e durante i bombardamenti della Nato.

La contraddittorietà della sua posizione ha determinato una ricezione differenziata della sua figura in Serbia: se era ospite gradito ai detentori del potere - anche se non si può accusare Handke di aver sostenuto la dittatura - lasciava invece perplessa o addirittura divisa l'opposizione. Una frazione ridotta vedeva in lui lo scrittore famoso che con i suoi clamorosi interventi pubblici finiva - magari inconsapevolmente - di legittimare il regime aiutandolo a sopravvivere. Per la maggior parte dei lettori e degli intellettuali serbi, invece, Handke costituiva, soprattutto nel periodo dei bombardamenti, una forma di conforto. Lo sentivamo come unilaterale, sì, ma rappresentava pur sempre un barlume di speranza: ci trasmetteva l'illusione che non fossimo del tutto - e per sempre - abbandonati.



 E smettiamola di associare gli «snipers» di Sarajevo ciecamente ai «serbi»: la maggior parte dei caschi blu francesi uccisi a Sarajevo furono vittime dei cecchini musulmani. E smettiamola di collegare l'assedio (orribile, stupido, incomprensibile) di Sarajevo esclusivamente all'armata serbobosniaca: nella Sarajevo degli anni 1992-1995, decine di migliaia di civili serbi rimasero bloccati nei quartieri del centro, come Grbavica, che a loro volta erano assediati - eccome se lo erano! - dalle forze musulmane. E basta attribuire gli stupri soltanto ai serbi. Smettiamola di collegare le parole in modo unilaterale, alla maniera del cane di Pavlov. Allarghiamo l'apertura che ci si presenta. Che la breccia non sia più ostruita da parole marce e avvelenate. Resti fuori ogni mente malvagia. Abbandoniamo finalmente questo linguaggio. Impariamo l'arte della domanda, viaggiamo nel paese sonoro, in nome della Jugoslavia, in nome di un'altra Europa. Viva l'altra Europa. Viva la Jugoslavia. Zivela Jugoslavija.



 «Uno così» può e deve anche potersi comportare come gli dettano le sue emozioni. E nessuno può seriamente biasimare Peter Handke se per lui quella dei serbi è una questione molto personale e fortemente sentita. O forse non è così? Forse è giusto biasimare chi ha il coraggio di una totale franchezza e umanità, nel mondo freddo e impersonale che è quello della politica? (E anche se così fosse, non sarebbero comunque giustificate certe etichette e certe accuse che rasentano il linciaggio morale). Il fatto che abbia detto una frase di troppo (quell´infelice paragone tra i serbi e gli ebrei) lo ha ammesso, e per iscritto, già da anni (un´ammissione apparsa anche sui giornali tedeschi). All´epoca se ne prese atto senza alcuna replica.

Perché ora tutto questo viene tirato un´altra volta in ballo, come se lo stesso Handke non avesse ritrattato quella frase?

Chi si accontenta di basarsi sul sentito dire, su voci o su fonti anonime, non esita neppure un attimo a demonizzare un uomo come Peter Handke. E sempre esaltante veder cadere un grande dall´altare nella polvere. (Come nello sport, che pochi paesi seguono come il nostro.) Ma il «lettore», che giudica con cognizione di causa (o meglio evita di giudicare) non esiterà a schierarsi contro la denigrazione in atto. Di fatto, non può che solidarizzare con il suo autore e dargli manforte. Anche perché altrimenti «il suo leggere» ne uscirebbe screditato…


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