Peter
Handke racconta di due viaggi in Serbia, quando la Serbia era il nemico numero
uno del mondo civile e giusto, il nostro, naturalmente.
Peter Handke cerca di capire e applica le parole
di Adorno nei suoi ragionamenti e nei suoi comportamenti.
e, quando i potenti hanno
deciso che ci sono solo il bianco e il nero, sottrarsi a questa
scelta prescritta è un crimine, o quasi, diventi un nemico.
Peter Handke si interroga, dubita, ascolta,
parla, sta con i perdenti, un altro tedesco (Bertolt Brecht) scriveva che "fra i vinti la povera gente faceva la fame e fra i
vincitori faceva la fame la povera gente egualmente".
gli intellettuali, quelli
non embedded, sono scomodi, fastidiosi, non sono patriottici, gli
si fa terra bruciata intorno.
siano benedetti coloro i quali
non scelgono fra bianco e nero - franz
ps: dice Adorno: "La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta"
Il titolo
originale - In lacrime, chiedendo - rivela il registro di
scrittura che il noto autore austriaco (nato nel 1942) adotta per le
"annotazioni a posteriori su due attraversamenti della Iugoslavia in
guerra - marzo e aprile 1999", redatte durante la campagna della Nato.
Handke trascrive le sue immediate reazioni alle operazioni militari degli
alleati, ma soprattutto denuncia la manipolazione delle informazioni sui media
occidentali. Deriva, il titolo, da uno degli ultimi colloqui dell'autore, ormai
in procinto di lasciare il paese, con una oncologa di Novi Sad che, affranta,
gli parlava delle sofferenze dei suoi pazienti, aumentate a dismisura a causa
della guerra: "Questa donna non riesce a capire ciò che i paesi in cui si
è sempre recata volentieri (è stata spesso negli Usa) stanno facendo al suo
popolo. Ma poi, invece di indignarsi, chiede soltanto: 'insomma siamo davvero
così colpevoli?'. E questi occhi qui, non immediatamente distolti, puntati
dritti in faccia a noi, tenuti fissi nella luce e nel sole; CHIEDENDO tra le
lacrime, chiedendo; chiedendo; rimprovero, tema per uno scultore, ma
quale?".
Handke ha
viaggiato con alcuni amici serbi in zone a lui care, incontrando persone che
sentiva autentiche, spontanee, non corrotte dalla modernizzazione
contemporanea. E non s'interroga su quali siano stati gli errori della politica
serba negli ultimi anni - un aspetto, questo, che gli è stato spesso
rimproverato -, piuttosto mette in evidenza i guasti causati dalla guerra, la
pena degli abitanti, l'insensatezza dell'azione bellica. Si mette dalla parte
dei deboli e delle vittime, e questo gli fa onore - d'altra parte, però, il suo
modo d'indagare gli fa perdere di vista il contesto complessivo, soprattutto
gli impedisce di individuare le radici del conflitto balcanico. Handke bolla la
politica occidentale e i media che la sostengono con una durezza tale da parere
talora non obiettivo, o comunque incapace di sondare sia le origini che le
conseguenze di quella politica. Ma non solo: il suo procedere per partito preso
gli impedisce di cogliere gli stessi deprecabili difetti nei media serbi, prima
e durante i bombardamenti della Nato.
La
contraddittorietà della sua posizione ha determinato una ricezione
differenziata della sua figura in Serbia: se era ospite gradito ai detentori
del potere - anche se non si può accusare Handke di aver sostenuto la dittatura
- lasciava invece perplessa o addirittura divisa l'opposizione. Una frazione
ridotta vedeva in lui lo scrittore famoso che con i suoi clamorosi interventi
pubblici finiva - magari inconsapevolmente - di legittimare il regime aiutandolo
a sopravvivere. Per la maggior parte dei lettori e degli intellettuali serbi,
invece, Handke costituiva, soprattutto nel periodo dei bombardamenti, una forma
di conforto. Lo sentivamo come unilaterale, sì, ma rappresentava pur sempre un
barlume di speranza: ci trasmetteva l'illusione che non fossimo del tutto - e
per sempre - abbandonati.
… E smettiamola di associare gli «snipers» di Sarajevo
ciecamente ai «serbi»: la maggior parte dei caschi blu francesi
uccisi a Sarajevo furono vittime dei cecchini musulmani. E smettiamola di
collegare l'assedio (orribile, stupido, incomprensibile) di Sarajevo
esclusivamente all'armata serbobosniaca: nella Sarajevo degli anni 1992-1995,
decine di migliaia di civili serbi rimasero bloccati nei quartieri del centro,
come Grbavica, che a loro volta erano assediati - eccome se lo erano! - dalle
forze musulmane. E basta attribuire gli stupri soltanto ai serbi. Smettiamola
di collegare le parole in modo unilaterale, alla maniera del cane di Pavlov.
Allarghiamo l'apertura che ci si presenta. Che la breccia non sia più ostruita
da parole marce e avvelenate. Resti fuori ogni mente malvagia. Abbandoniamo
finalmente questo linguaggio. Impariamo l'arte della domanda, viaggiamo nel
paese sonoro, in nome della Jugoslavia, in nome di un'altra Europa. Viva
l'altra Europa. Viva la Jugoslavia. Zivela Jugoslavija.
… «Uno così» può e deve anche potersi comportare
come gli dettano le sue emozioni. E nessuno può seriamente biasimare Peter
Handke se per lui quella dei serbi è una questione molto personale e fortemente
sentita. O forse non è così? Forse è giusto biasimare chi ha il coraggio di una
totale franchezza e umanità, nel mondo freddo e impersonale che è quello della
politica? (E anche se così fosse, non sarebbero comunque giustificate certe
etichette e certe accuse che rasentano il linciaggio morale). Il fatto che
abbia detto una frase di troppo (quell´infelice paragone tra i serbi e gli
ebrei) lo ha ammesso, e per iscritto, già da anni (un´ammissione apparsa anche
sui giornali tedeschi). All´epoca se ne prese atto senza alcuna replica.
Perché ora tutto questo viene tirato un´altra volta in ballo,
come se lo stesso Handke non avesse ritrattato quella frase?
Chi si accontenta di basarsi sul sentito dire, su voci o su
fonti anonime, non esita neppure un attimo a demonizzare un uomo come Peter
Handke. E sempre esaltante veder cadere un grande dall´altare nella polvere.
(Come nello sport, che pochi paesi seguono come il nostro.) Ma il «lettore»,
che giudica con cognizione di causa (o meglio evita di giudicare) non esiterà a
schierarsi contro la denigrazione in atto. Di fatto, non può che solidarizzare
con il suo autore e dargli manforte. Anche perché altrimenti «il suo leggere»
ne uscirebbe screditato…
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