mercoledì 31 agosto 2016

L’harem e l’Occidente – Fatema Mernissi

le cose non sono come dicono.
basta leggere questo libro per sapere che le cose sono complicate, non ci sono solo il bianco e il nero, ma mille altre sfumature.
Fatema Mernissi è morta recentemente (qui un ricordo), ma i suoi libri ci parlano ancora.
in "L’harem e l’Occidente" tra le mille suggestioni Fatema Mernissi racconta di Sherazade e Shirin (alla quale Abbas Kiarostami ha dedicato un gran bel film, qui), due donne straordinarie.
Fatema Mernissi non ha certezze assolute, spesso ha dei dubbi e, come dice JL Borges, "Il dubbio è uno dei nomi dell'intelligenza".
fatevi un regalo, leggete Fatema Mernissi - franz








… Fatema, originaria di Fez in Marocco, riceve la propria "formazione" (si può a ragione chiamarla così) all'interno di un harem, come molte altre ragazze della sua generazione e della sua cultura. Successivamente, si recherà in Occidente, da noi, ne trarrà le considerazioni che sono oggetto di questo libro, e tornerà poi al suo paese, dove oggi insegna Sociologia presso l'Università di Rabat. Fatema, col suo occhio critico e intelligente, ha dunque conosciuto i due mondi, l'Oriente e l'Occidente.
Si domanda, dunque: la condizione femminile e' cosi' diversa? Che cosa la distingue, se qualcosa esiste che crei la differenza?
No, si risponde Fatema, la condizione femminile non è così diversa. Aldilà delle situazioni e dei contesti apparenti, che possono qui sembrare persino fuorvianti, anche l'Occidente ha il proprio harem: l'harem della taglia 42, del corpo femminile costretto a rimanere per sempre adolescente e magro, diafano quasi, acerbo e privo di maturità e di tempo, segregato in un limite di anni che si chiude tragicamente con la menopausa, soggiogato ai dettami maschili dello stilista e del mercato…
Un testo dunque ricco e suggestivo, che passa agevolmente attraverso il sociale, l'immaginativo, il rituale, il religioso, fin dentro le oscurità dell'incontro tra uomo e donna, dalla cui natura pù' o meno egualitaria dipende tuttora il grado di civiltà a cui l'individuo umano può ambire.

…E tuttavia l’Occidente continua ad associare all’harem l’immagine di odalische belle e lascive, dimenticando che, nella tradizione musulmana, ben altre sono le caratteristiche del fascino femminile, sostanzialmente legato al potere incontrollabile, alla forza di volontà, alla cultura. Niente è più intrigante nell’harem della sfida intellettuale tra uomo e donna. "Essere intellettualmente sfidati dalle donne - sostiene l’autrice - dava agli uomini un brivido sensuale" (p. 106). Perché il solo tratto che invece ossessiona gli occidentali è quello della bellezza inevitabilmente legata al sesso e alla passività? La Mernissi inizia, con questa domanda, un’analisi originale dell’immaginario maschile occidentale, che viene indagato a partire dalla filosofia di Kant, attraverso i quadri di Ingres e Matisse, per poi approdare al mito contemporaneo della linea perfetta, o meglio della taglia 42. Secondo l’autrice, l’autorevole filosofo tedesco, nelle sue Osservazioni sul sentimento del Bello e del Sublime, associando la bellezza al femminile e il sublime alla razionalità propria del maschile, realizzerebbe una cesura, tale da rendere inconciliabili bellezza e intelligenza. "Se l’intelligenza è monopolio maschile, le donne che osano appropriarsene saranno private della loro femminilità" (p. 97). Ne deriva l’impossibilità per la donna di avere fascino grazie alla sua cultura e alle sue doti intellettive, e la conseguente esaltazione della bellezza, ridotta a mera esteriorità. "La donna ideale di Kant è senza parole" (p. 79): questo il filo rosso che guida la Mernissi alla scoperta di celebri immagini di odalische, ritratte da Ingres e Matisse secondo una mentalità tutta occidentale, che traduce la bellezza in nudità silenziosa e passiva. Tuttavia, negli stessi anni in cui Matisse dipingeva, i Giovani Turchi rivoluzionavano il mondo musulmano mettendo al bando gli harem e riconoscendo alla donna diritti pari a quelli che, fino ad allora, erano rimasti esclusivo appannaggio maschile. Ma se tutto ciò non ha inciso minimante sull’idea occidentale dell’harem, ancor oggi popolato di odalische seminude, allora si può concludere "che l’immagine sia l’arma principale usata dagli occidentali per dominare le donne" (p. 153). I quadri di Matisse, infatti, hanno potuto più dei dati storici, e consentono agli occidentali di continuare a sognare donne che non sono mai esistite, perpetrando modelli puramente fantastici.
L’attenzione spasmodica alla bellezza fisica rappresenta una vera e propria trappola per la donna occidentale, che è costretta a percepire l’età come una svalutazione e a dedicare quindi le sue energie migliori alla cura della propria immagine, senza poter mai vincere, naturalmente, la sfida contro il tempo. "Gli atteggiamenti degli occidentali sono decisamente più pericolosi e sottili di quelli musulmani perché l’arma usata contro la donna è il tempo" (p. 173). La taglia 42 si rivela, in conclusione, come il confine di un harem tutto occidentale, quello della bellezza, appunto, che finisce per rendere schiave proprio le donne considerate più emancipate e moderne, mentre, lontano dai riflettori maschili, le sorelle musulmane continuano decise il loro cammino di liberazione.

inizia così:
Se per caso vi capitasse di incontrarmi all'aeroporto di Casablanca, o su una nave in partenza da Tangeri, vi apparirei disinvolta e sicura di me, ma la realtà è ben diversa. Ancora oggi, alla mia età, l'idea di varcare una frontiera mi rende nervosa, temo di non comprendere gli stranieri. "Viaggiare è il modo migliore per conoscere e accrescere la tua forza", diceva Jasmina, mia nonna, che era illetterata e viveva in un harem, una tradizionale abitazione familiare dalle porte sbarrate che le donne non erano autorizzate ad aprire. "Devi focalizzati sugli stranieri che incontri e cercare di comprenderli. Più riesci a capire uno straniero, maggiore è la tua conoscenza di te stessa, e più conoscerai te stessa, più sarai forte". Jasmina viveva la sua vita nell'harem come una vera e propria prigionia. Aveva perciò un'idea grandiosa del viaggiare e vedeva nell'opportunità di varcare dei confini un sacro privilegio: la migliore occasione per lasciarsi dietro la propria debolezza. A Fez, la città medievale della mia infanzia, giravano voci affascinanti su abili maestri sufi che esperivano straordinari lampi di illuminazione (lawami') ed estendevano rapidamente la loro conoscenza, tanto erano tesi ad apprendere dagli stranieri che incrociavano nella vita.

Qualche anno fa, ho dovuto recarmi in Occidente e visitare una decina di città, per la promozione del mio libro La terrazza proibita, uscito nel 1994 e tradotto in ventidue lingue. Sono stata intervistata da più di cento giornalisti occidentali, e in quelle occasioni ho potuto notare che la maggioranza degli uomini pronunciava la parola "harem" con un sorriso. Quei sorrisi mi sconcertavano. Come si fa a sorridere evocando un sinonimo di prigione?...
da qui

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