sabato 10 giugno 2017

un'intervista con Mohsin Hamid



Mohsin Hamid è un autore di frontiera. E non solo perché si è occupato quasi sempre delle trasformazioni psicologiche, culturali ed economiche dei suoi protagonisti sempre al limite di qualcosa. E’ la scrittura stessa di questo quarantacinquenne anglo-pakistano reso celebre dal bestseller “Il fondamentalista riluttante” ad allungarsi lungo un limite immaginario, pronta a sconfinare di qua o di là da una pagina all’altra esattamente come i personaggi che racconta. Il suo ultimo libro, “Exit West” (Einaudi), ci porta tutti lì, concretamente, dolorosamente, spettatori in bilico sulla soglia tra il passato e il futuro insieme a Nadia e Saeed che fuggono da un generico conflitto lacerante in cui è facile riconoscere la martoriata Siria.  

Cominciamo dal titolo: Exit West, “uscita occidente”, indica una via di fuga ideale o davvero praticabile nell’Europa contemporanea? 

«I due protagonisti della mia storia vogliono scappare dalla guerra e, come molti profughi, cercano la strada verso l’occidente. E’ stato così per secoli e secoli, lo hanno fatto gli italiani, i pachistani, tutti quelli che cercavano un futuro migliore si sono spostati verso l’occidente, l’idea d’occidente, l’America, il Canada. Il senso del libro però è anche cercare di capire cosa accade quando i migranti arrivano in occidente, magari l’occidente non c’è, magari è una proiezione. Cos’è davvero quello che chiamiamo occidente? La risposta non ce l’ho ma è una chiave di lettura». 

Nadia e Saeed cercano la fuga attraverso delle porte un po’ magiche che li trasportano dall’inferno alla Grecia, a Londra, al futuro e che rappresentano il confine, un no luogo quasi rituale. Il confine oggi però, non assomiglia più a un muro che a una porta? 

«Non ne sono sicuro. L’uomo cerca di costruire muri ma non è detto che funzionino. Anzi. La Grande Muraglia non ha impedito il movimento dei cinesi. I confini sono effettivamente delle porte e lo sono forse ancora di più nell’era delle nuove tecnologie in cui è possibile vedere cosa c’è al di là. Onestamente credo che i prossimi 200 anni saranno uguali ai 200 che li hanno preceduti, decenni di gente in movimento. Nel 1800 non esistevano né San Francisco né Los Angeles né la costa occidentale americana con il suo caratteristico melting pot di idee, persone, culture. Nel 2200 da qualche parte nel mondo ci sarà una nuova California e l’avranno costruita i miliardi di persone che sono in movimento oggi. Ci concentriamo troppo sul presente e non guardiamo mai più lontano: le migrazioni non si possono fermare, sono direttamente legate all’intima convinzione umana che in realtà non ci siano vere differenze tra essere maschi, femmine, omosessuali, cristiani, musulmani, somali o italiani. Alla lunga i muri si riveleranno porte». 

Vuol dire che andiamo verso la “californizzazione” del mondo, la quintessensa di quella globalizzazione data invece spesso per spacciata? 

«Direi piuttosto che si va verso l’ibridazione del mondo, un fenomeno tutto sommato naturale, già verificatosi. Il rinascimento è un brand europeo ma le sue origini affondano nel movimento e la contaminazione di greci, arabi, cinesi, indiani». 

Nadia e Saeed scappano da un paese che immaginiamo essere la Siria. Ma nel libro  
non viene mai nominato, non ci sono riferimenti locali o temporali, non c’è contesto storico. Siamo tutti un po’ Nadia e Saeed? 

«Si e non solo da un punto di vista simbolico. Nadia e Saeed hanno paura della guerra e scappano. Ma la paura di qualcosa che si immagina essere l’Apocalisse è la cifra di tutte le grandi città, per New Orleans è la paura dell’uragano, per New York quella di una dittatura fascista imminente, per Roma o Milano è la crisi del debito sul modello greco e per Londra l’invasione di pakistani o polacchi. La paura ci è familiare e non è difficile immedesimarmi emotivamente in Nadia e Saeed». 

La paura che la fa da padrone oggi è quella dei migranti. Perché oggi abbiamo tanto paura degli stranieri? C’è un’emergenza vera? Viviamo una profonda crisi d’identità? Siamo all’epilogo delle umani sorti e progressive promesse dalla globalizzazione? 

«La gente è arrabbiata, molto. Al di là di mille teorie ci sono due fatti certi: le diseguaglianze sono in aumento e le nuove tecnologie permettono di vedere cosa accade intorno a noi. La crescita dell’immigrazione è la conseguenza e non la causa del problema all’origine della paura diffusa. La fine del comunismo ha lasciato il capitalismo orfano dello spauracchio che lo obbligava ad essere inclusivo: oggi il capitalismo si è trasformato, è diventato fondamentalista, ci ha ridotto a meri consumatori laddove l’essenza della dignità umana è essere produttori. Siamo consumatori di beni e di idee in occidente come in oriente, la crisi d’identità da questo punto di vista è globale. Lungi dal me credere che il comunismo fosse una soluzione ma costringeva il capitalismo a lavorare meglio».  

Il suo libro più famoso racconta i tormenti interiori di un uomo qualsiasi che tra frustrazione e risentimento si trasforma in un fondamentalista, un fondamentalista riluttante. E’ possibile che la rabbia della classe media marginalizzata produca sul lungo periodo tanti populisti-razzisti riluttanti? 

«E’ possibile. Ma è possibile anche che il populismo svolga la stessa funzione svolta nel secolo scorso dal comunismo e mettendo paura al capitalismo lo forzi ad essere migliore. Siamo ad un bivio: se le diseguaglianze dovessero crescere ancora i populismi potrebbero prendere davvero il sopravvento e scardinare la democrazia ma se, come avviene già in molti paesi, si faranno sentire i giovani, quelli che hanno votato contro Trump in America e contro la Brexit in Gran Bretagna, allora le cose andranno diversamente. L’identikit del populista-razzista riluttante è un uomo bianco, di mezza età, uno che da ragazzo era di sinistra e invecchiando si è inaridito masticando risentimento. Il problema vero purtroppo ce l’ha l’Europa, che sta invecchiando a vista d’occhio. Ma anche sull’Europa sono ottimista, perché questi “arrabbiati” di mezza età non sono per definizione dei rivoluzionari, fosse anche solo la pensione hanno comunque qualcosa da perdere, votano per la Le Pen ma poi alla fine temono il cambiamento. Le rivoluzioni le fanno i giovani e i giovani sono quelli a cui conviene il movimento attraverso confini-porte». 

Exit West ricorda un po’ i grandi romanzi del realismo magico, tutto vero ma sospeso come gli uomini volanti di Chagall. Crede che si presti meglio a raccontare una materia piena di tabù e contraddizioni come l’immigrazione? 

«Può darsi. Ma sono convinto che la realtà sia molto più complicata del realismo. “Il fondamentalismo riluttante” era un racconto realista anche se non è reale che un pakistano e un americano parlino per ore e ore. “Exit West” è una storia quasi realista ma a renderla davvero tale è soprattutto il suo elemento magico, le porte, l’emotività». 

Vive tra gli Stati Uniti, il Pakistan e la Gran Bretagna: cosa succederà in questi tre Paesi nei prossimi anni? Vale a dire, cosa dobbiamo aspettarci da Trump, dalla Brexit e dalla minaccia destabilizzante del terrorismo islamista?  

«Sono ottimista. Non so cosa farà Trump ma confido nel fatto che, come spesso avviene con le tragedie, si rivelerà utile per risvegliare l’America migliore. La Brexit passerà, nel senso che la Gran Bretagna rimpiangerà questa scelta scellerata e nel corso di tre o quattro generazioni troverà il modo di tornare indietro. Il Pakistan è in cammino, vivo a Lahore e vedo la città cambiare in meglio sotto i miei occhi, ci sono parchi, cinema, librerie, giovani vivaci, c’è un dinamismo di cui vorrei fossero consapevoli gli italiani che non trovano lavoro nel loro paese e sarebbero benvenuti qui. Certo ci sono i problemi politici, il fondamentalismo, i talebani, il terrorismo, ma le città resistono. E le città, in tutto il mondo, sono la roccaforte del cosmopolitismo liberale, rappresentano l’idea della mescolanza, il passaggio, la porta. C’è speranza: oltre metà della popolazione mondiale abita già nel città e la strada è segnata».  


2 commenti:

  1. Quando ho bisogno di parole non scontate sul mondo, vengo a leggere il tuo blog. Quest'intervista a Mohsin Hamid, in occasione dell'uscita del suo libro "Exit West", è un vero gioiello. Grazie.

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    1. Mohsin Hamid è uno in gamba, inizierò a leggere i suoi libri.

      e grazie per le visite, metto solo quello che vorrei leggere :)

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