lunedì 28 ottobre 2013

Orson Welles alla radio interpreta “La guerra dei mondi” - 30 ottobre 1938

già c’era un destino speciale, nel cognome, Herbert George Wells aveva scritto “The war of worlds” e Orson Welles (con la e) lo fa conoscere a tutti.
a 23 anni Orson Welles (un genio) diresse un adattamento del libro di HG Wells, su un invasione di marziani, e la trasmissione rese l’invasione così verosimile che un milione di persone fu presa dal terrore dell’invasione aliena.
alle ore 20 del 30 di ottobre del 1938, la trasmissione cominciava con lo speaker che presentava, in diretta dalla Meridian Room dell’Hotel Park Plaza di New York, l’inizio del programma musicale di Ramon Raquello e della sua orchestra. A un certo punto, la musica veniva interrotta da un’edizione speciale del giornale radio che comunicava la notizia di alcune esplosioni su Marte, e a seguire interventi sempre più concitati di inviati che raccontavano quello che vedevano, e che gli ascoltatori, a casa, potevano, sempre più spaventati, immaginare.
la potenza della radio era evidente, molti lo capiranno, per fortuna o purtroppo (penso ai regimi totalitari e alla Radio Televisione Libera delle Mille Colline, del Ruanda).


per approfondimenti sulla trasmissione del 30 ottobre 1938 (qui e qui e
qui)

l’audio completo in inglese (qui)

testo completo in inglese (qui)

(anche qui)

Joseph Beuys : “Ogni uomo è un artista”

di Joseph Beuys me ne ha parlato Mimmo, che era a Napoli quei giorni del 1980 - franz

Nasce a Krefeld nel 1921, ma sosteneva di essere nato a Kleve. In gioventù frequenta la Hindenburg-Oberschule di Kleve e aderisce al nazismo entrando nella Hitler-Jugend (Gioventù hitleriana). Lo scoppio della seconda guerra mondiale lo vede arruolarsi nell'aviazione, in un primo momento come operatore radio e successivamente come aviatore. Nel 1943, in seguito all'abbattimento del suo aereo in Crimea, viene salvato dall'intervento di un gruppo di nomaditartari che, trovatolo moribondo, lo curano facendo ricorso alle antiche pratiche della loromedicina. Tale esperienza è stata determinante per il percorso creativo dell'artista, segnato dalla ricerca di un'armonia superiore tra uomo e natura che spingerà molti critici ad attribuirgli l'appellativo di "sciamano" dell'arte…
continua qui

un documentario in spagnolo su Joseph Beuys:



Filz TV -1970



Joseph Beuys canta “Ja Ja Ja Ne Ne Ne” nel 1968:



Joseph Beuys e Andy Warhol  a Napoli nel 1980:

martedì 22 ottobre 2013

Salvador Isabelino del Sagrado Corazón de Jesús Allende Gossens viene eletto presidente del Cile - 24 ottobre 1970

Dopo due tentativi, nel 1958 e nel 1964, nei quali arriva secondo, nel 1970 Salvador Allende vince le elezioni. In realtà arriva primo nelle elezioni svoltesi all’inizio di settembre del 1970, ma l’elezione a Presidente avviene il 24 ottobre, il Parlamento lo elegge in un ballottaggio fra i primi sue più votati nelle elezioni di settembre (questo era il sistema elettorale cileno).
Il discorso della vittoria (tenuto la notte del 4 settembre 1970) termina con queste parole “Les pido que se vayan a sus casas con la alegría sana de la limpia victoria alcanzada y que esta noche, cuando acaricien a sus hijos, cuando busquen el descanso, piensen en el mañana duro que tendremos por delante, cuando tengamos que poner más pasión, más cariño, para hacer cada vez más grande a Chile y cada vez más justa la vida en nuestra patria.”, come Papa Giovanni, Allende cita la carezza ai bambini “Vi chiedo di tornare a casa con la gioia per la chiara vittoria e che questa notte, quando accarezzerete i bambini, quando cercherete di riposare, pensiate al difficile futuro che avremo davanti, quando dovremo usare più passione e più amore per rendere sempre più grande il Cile e sempre più giusta la vita nella nostra Patria” (qui le sue parole)
Patricio Guzman nel 2004 ha girato un film bellissimo e commovente e sincero su Salvador Allende (lo potete vedere qui, in spagnolo).

Guardatelo, in spagnolo, chi non l’ha conosciuto capirà perché sia stato il presidente più amato, anche per noi, ci si potrà ricordare perché ci manca tanto: «Noi partiamo da diverse posizioni ideologiche. Per voi essere un comunista o un socialista significa essere totalitario, per me no... Al contrario, io credo che il socialismo liberi l'uomo.»

(anche qui)

lunedì 21 ottobre 2013

I BES e il fumo

I BES (acronimo dei bisogni educativi speciali) sono l’invenzione dell’anno, tutti gli studenti hanno bisogni educativi speciali, che non hanno bisogno di un insegnante di sostegno, secondo il MIUR, ma non bisogna lasciare indietro quegli studenti, c’è chi è dislessico, chi è povero, chi è immigrato, chi ha qualche problema di crescita.
Il gioco è inventare qualcosa di nuovo, per distrarre l’attenzione, e non solo, il nostro think tank ministeriale ha creato un’arma di distrazione di massa, i BES. Si costringono i docenti a lavoro supplementare, senza averne le competenze, facciamo capire loro di essere inadeguati, ci siamo detti nel think tank, e ci chiederanno loro di fare dei corsi di aggiornamento, anche a pagamento.
Chi si ricorderà più che bisogna insegnare, a scuola, occorre riempire scartoffie, fare corsi come Sisifo, gliene inventiamo un altro, lo faranno, è sicuro.
Chi si ricorderà che le famiglie hanno un bisogno educativo speciale come il tempo pieno, noi vorremmo tanto, ma motivi di equilibrio finanziario, di compatibilità economiche, di obiettivi europei non lo consentono, tutti saranno confusi, chi chiederà ancora il tempo pieno?
Chi si ricorderà che famiglie e studenti e docenti hanno un bisogno educativo speciale come le classi da 20 studenti e non da 30, noi vorremmo tanto,al MIUR, ma motivi di equilibrio finanziario, di compatibilità economiche, di obiettivi europei  non lo consentono, tutti saranno confusi, chi chiederà ancora classi meno numerose?
Chi si ricorderà che i disabili con nove ore di sostegno hanno un bisogno educativo speciale di 18 ore col docente di sostegno, noi vorremmo tanto,al MIUR,  ma motivi di equilibrio finanziario, di compatibilità economiche, di obiettivi europei tutti saranno confusi, chi chiederà ancora più sostegno?
E poi il fumo, la piaga della scuola, un capolavoro, da qui abbiamo trovato l’ispirazione.
Chi si ricorderà delle pillole di saggezza, dei mancati aumenti di stipendio e dell’anzianità, del buco nero dove fanno sparire ai contributi comunitari a fondo perduto della Direzione Generale della Ricerca, dei 3 miliardi di fondi statali ed infine del miliardo l’anno di fondi ordinari per gli enti di ricerca, per l’ammontare di oltre 10 miliardi di euro l’anno? (qui e qui)
Una nube di fumo non farà vedere più niente, che bravi che siamo.

anche quiqui

Lucifero disoccupato – Aleksander Wat

a volte ti capitano in mano libri di cui non sapevi nemmeno l'esistenza, li leggi e ti chiedi come mai non li conosce nessuno, il sottoscritto per primo.
così va il mondo e meglio tardi che mai.
i cinque racconti sono davvero belli, certi bellissimi, provare per credere - franz


Lucifero disoccupato è una raccolta di cinque racconti (pubblicata nel 1995 da Salerno Editrice) nei quali l’autore, Aleksander Wat riflette sul fallimento degli ideali della sua generazione e si confronta con la morale, la religione e l’amore.

Ho comprato questo libro perché incuriosita dal primo racconto (il più lungo di tutti) intitolato Lucifero disoccupato e che dà il nome a tutta la raccoltaLa figura di Satana ha sempre il suo fascino, ma di certo non mi sarei mai aspettata che si ritrovasse senza lavoro come un comune mortale e volevo vedere come se la sarebbe cavata.
Vediamo i contenuti dei vari racconti…

Questa raccolta di racconti è stata pubblicata nel 1926, da un giovanissimo Aleksander Wat: leggerlo ai giorni nostri è affascinante; vedere Lucifero che cerca un posto nella società, e si scopre una figura inutile, in mezzo a tutte quelle trasformazioni che stava avvenendo nell'Europa del dopoguerra. Nello sguardo di Satana, Wat cerca di descrivere i cambiamenti sociali del suo tempo, e lo fa con grande umorismo. La sua delusione riguardo a come si sviluppava il vecchio continente fa sì che questi racconti non presentino una soluzione ben definita al protagonista - o all'Europa stessa - ma lascia spazio all'immaginazione del lettore.
da qui

giovedì 17 ottobre 2013

Gli immigrati – Mario Vargas Llosa

il 25 agosto 1996 ho letto su El Pais un articolo di Mario Vargas Llosa (da qui), che mi è sempre rimasto in testa, come mi restavano gli articoli di Pier Paolo Pasolini.
di Mario Vargas Llosa amo i romanzi, molti bellissimi, gli altri capolavori, ha avuto una deriva di impegno politico che non condivido per niente (nessuno è perfetto), ma questo articolo (di un uomo di destra) lo sottoscrivo vocale per vocale, consonante per consonante .
l’ho ritrovato tradotto in italiano e mi sembra giusto e urgente condividerlo con chi ha la curiosità di leggerlo, in questi tempi di morti – franz


Gli immigrati – Mario Vargas Llosa (25 agosto 1996)

Tempo fa sono stato invitato da amici a trascorrere un fine settimana in una loro proprietà de La Mancha, in Spagna, dove mi fu presentata una coppia di peruviani che si occupavano della casa. Erano molto giovani, di Lambayeque, e mi hanno raccontato le disavventure che hanno dovuto passare prima di arrivare in Spagna. Il consolato spagnolo di Lima si era negato di concedere il visto. Tramite un' agenzia ' specializzata' , per mille dollari erano riusciti ad averne uno per l' Italia (non sapevano se autentico o falso). Un' altra agenzia si occupò di loro a Genova; fece loro attraversare la Costa Azzurra di nascosto e passare i Pirenei a piedi, per sentieri sterrati, al freddo, e per la relativamente modica somma di duemila dollari. Erano da pochi mesi nella terra del Chisciotte e già si erano abituati al loro nuovo paese. Li ho rivisti un anno e mezzo dopo, nello stesso posto. Si erano molto bene ambientati, anche perché altri 11 membri della loro famiglia di Lambayeque li avevano raggiunti e si erano stabiliti in Spagna. Lavoravano tutti come collaboratori domestici. Questa storia me ne fa venire in mente un' altra, quasi identica, che ascoltai qualche anno fa dalla viva voce di una peruviana di New York, immigrata illegale, che faceva le pulizie presso il bar del Museo d' Arte Moderna.
Lei aveva vissuto una vera e propria odissea, viaggiando in autobus da Lima fino in Messico e attraversando il Rio Grande bagnandosi fino al midollo. Si rallegrava di come erano cambiati i tempi: sua madre, infatti, invece del calvario da lei passato per poter entrare negli Stati Uniti dalla porta di servizio, era da poco entrata dall' ingresso principale, prendendo, cioè, l' aereo a Lima e sbarcando al Kennedy Airport con documenti sapientemente falsificati in Perù. Queste persone, e tanti altri milioni che, come loro, da tutti gli angoli del mondo dove impera la fame, la disoccupazione, l' oppressione e la violenza razziale, attraversano clandestinamente le frontiere dei paesi più prosperi, pacifici e che offrono opportunità di lavoro, indubbiamente violano le leggi, ma esercitano un diritto naturale e morale che nessuna norma giuridica o regolamento dovrebbe negare: il diritto alla vita, alla sopravvivenza, a fuggire dalle condizioni infernali a cui i barbari Governi annidati come vere e proprie cancrene in mezzo mondo condannano i loro popoli. Se le considerazioni di natura etica avessero il benché minimo effetto persuasivo, quelle donne e quegli uomini eroici, che attraversano lo stretto d Gibilterra o gli isolotti della Florida, o le barriere elettrificate di Tijuana, o i porti di Matsella, alla ricerca di lavoro, libertà e futuro, dovrebbero essere accolti a braccia aperte. Ma, poiché le ragioni che fanno appello alla solidarietà umana non commuovono nessuno, è forse meglio indicarne un' altra, più efficace, più pragmatica. E' meglio accettare l' immigrazione, anche se controvoglia, perché, la si accetti o no, come dimostrano i due esempi con cui ho cominciato queso articolo, non c' è modo di fermarla. Se non ci credete, chiedetelo al paese più potente della Terra. Fatevi pure raccontare dagli Stati Uniti quello che hanno dovuto fare per chiudere agli immigrati le porte della dorata California, e l' assolato Texas a messicani, guatemaltechi, salvadoregni, honduregni, eccetera eccetera, e le coste color smeraldo della Florida a cubani, haitiani, colombiani e peruviani, e come questi riescano, invece, a entrare a frotte, sempre di più, beffandosi di tutte le pattuglie terrestri, marine, aeree, passando sotto, o sopra, le staccionate di fil di ferro computerizzate, costate milioni, e soprattutto, sotto il naso dei superaddestrati funzionari dell' immigrazione, grazie a un' infrastruttura industriale creata per prendersi gioco di tutte quelle inutili barriere costruite dal terrore per l' immigrato, che negli ultimi anni è divenuto nel mondo occidentale il capro espiatorio di tutte le calamità. Le politiche anti-immigrazione sono condannate al fallimento, perché non risolveranno mai il problema alla radice; anzi, hanno l' effetto perverso di minare le istituzioni democratiche del paese che le applica e di dare un' apparenza di legittimità alla xenofobia e al razzismo, nonché di aprire le porte all' autoritarismo. Un partito fascista come Le Front National di Le Pen, in Francia, che si basa esclusivamente sulla demonizzazione dell' immigrato, e qualche anno fa un' insignificante escrescenza della democrazia, è oggi una forza politica rispettabile, che trova il consenso di quasi il 15 per cento dell' elettorato. E in Spagna abbiamo assistito, non molto tempo fa, all' imbarazzante spettacolo di alcuni poveri africani narcotizzati dalla polizia per rendere meno fastidiose le operazioni di espulsione. Si comincia così, per poi finire con le famose cacce al forestiero pericoloso di cui è piena la storia universale dell' infamia, come gli stermini di armeni in Turchia, di haitiani nella Repubblica Dominicana o di ebrei in Germania. Il problema degli immigrati non può essere risolto con misure di polizia per un motivo molto semplice: perché nei paesi a cui essi sono diretti vi sono incentivi ben più potenti degli ostacoli che li vogliono dissuadere dal venire. In altre parole, perché c' è lavoro. Se non ci fosse, non ci andrebbero, perché gli immigrati sono sì derelitti, ma non stupidi, e non sfuggono la fame, al prezzo di infinite vessazioni, per andare a morire di inanizione all' estero. Ci vengono come i miei connazionali di Lambaeque, stabilitisi ne La Mancha perché lì vi sono tipi di lavoro che nessuno spagnolo (leggi americano, francese, inglese, ecc.) accetta di fare in cambio della paga e alle condizioni che loro, invece, accettano. Esattamente come avveniva alle centinaia di migliaia di spagnoli che negli anni Sessanta hanno invaso la Germania, la Francia, la Svizzera, i Paesi Bassi, portandovi energia e braccia, rivelatesi preziosissime per l' eccezionale decollo industriale di quei paesi in quegli anni (e della stessa Spagna, per il flusso di valuta che ciò ha comportato). Questa è la prima legge dell' immigrazione, ormai cancellata dalla demonologia imperante: l' immigrato non toglie lavoro, anzi, lo crea, ed è sempre un fattore di progresso, mai di regresso. Lo storico J.P. Taylor spiegava che la rivoluzione industriale che fece la grandezza dell' Inghilterra non sarebbe stata possibile se il Regno Unito non fosse stato allora un paese senza frontiere, dove poteva stabilirsi chiunque - all' unica condizione di rispettare le leggi -, investire o esportare capitali, aprire o chiudere imprese, e assumere lavoratori o trovare lavoro. Il prodigioso sviluppo che hanno vissuto gli Stati Uniti nel XIX secolo, così come l' Argentina, il Canada, il Venezuela negli anni Trenta e Quaranta, coincidono con politiche di porte aperte all' immigrazione. E lo ricordava Steve Forbes alle primarie per la candidatura alla presidenza del Partito Repubblicano, osando proporre nel suo programma di ristabilire la pura e semplice apertura delle frontiere che gli Stati Uniti praticarono nei migliori momenti della loro storia. Il senatore Jack Kemp, che ha avuto il coraggio di appoggiare questa proposta, ispirata alla più pura tradizione liberale, è ora candidato alla vicepresidenza con il senatore Dole, e se intende essere coerente dovrebbe difenderla nella campagna per la conquista della Casa Bianca. Non vi è allora nessun modo di limitare o di porre freno alla marea migratoria che, da tutti gli angoli del Terzo mondo, irrompe nel mondo sviluppato? A meno che non vogliamo sterminare con bombe atomiche i quattro quinti del pianeta che vivono in miseria, non ve n' è alcuno. E' assolutamente inutile spendere i soldi del povero contribuente mettendo a punto programmi, sempre più costosi, per impermeabilizzare le frontiere, perché non vi è nessun caso coronato da successo che provi l' efficacia di questa politica repressiva. E, invece, ve ne sono cento a dimostrazione che le frontiere si trasformano in colabrodo quando la società che intendono proteggere attrae i diseredati che le vivono intorno. L' immigrazione diminuirà quando i paesi che la stimolano non saranno più attraenti perché sono in crisi o saturi, o quando i paesi che la generano offrano lavoro e opportunità di miglioramento ai loro cittadini. I galiziani, oggi, rimangono in Galizia e i murciani in Murcia, perché, a differenza di quaranta o cinquant' anni fa, in Galizia e in Murcia possono vivere decentemente e offrire un futuro migliore ai loro figli, migliore del rompersi la schiena nella pampa argentina o del raccogliere uva nel mezzogiorno francese. La stessa cosa avviene ali irlandesi, che non emigrano più con la speranza di diventare poliziotti a Manhattan, e gli italiani rimangono in Italia perché vivono meglio nel loro paese che non facendo pizze a Chicago. Vi sono, poi, anime pie che, per moralizzare l' immigrazione, propongono ai Governi dei paesi moderni una generosa politica di aiuti economici al Terzo mondo. In linea di principio sembra molto altruista. La verità è che se gli aiuti vengono intesi come aiuti ai governi del Terzo mondo, questa politica non può altro che aggravare il problema invece di risolverlo alla radice. Perché gli aiuti che arrivano a delinquenti come il Mobutu dello Zaire o alla satrapia militare della Nigeria o una qualsiasi delle tante dittature africane serve solo a gonfiare i conti correnti privati che quei despoti hanno in Svizzera, vale a dire, per aumentare la corruzione, senza che ne possano trarre alcun beneficio le loro vittime. Se vogliamo gli aiuti, allora devono essere attentamente canalizzati verso il settore privato, ed essere controllati in tutte le loro manifestazioni, per garantire che siano rispettati gli obiettivi previsti, vale a dire creare occupazione e sviluppare risorse, lontano dalla cancrena statale. In realtà, gli aiuti più efficaci che i paesi democratici possono offrire ai paesi poveri è aprire loro le frontiere commerciali, importare i loro prodotti, promuovere gli scambi e un' energica politica di incentivi e sanzioni per ottenerne la democratizzazione, dal momento che, come in America Latina, il dispotismo e l' autoritarismo di natura politica sono il maggior ostacolo che si trova ad affrontare il continente africano per invertire quel destino di impoverimento sistematico inaugurato dalla decolonizzazione. Questo articolo può sembrare molto pessimista a chi crede che l' immigrazione - soprattutto quella nera, mulatta, gialla o, comunque, di colore - ha in serbo un futuro incerto per le democrazie occidentali. Non lo è per chi, come chi scrive, è convinto che l' immigrazione, di qualsiasi colore e sapore essa sia, è un' iniezione di vitalità, energia e cultura, e che i paesi dovrebbero accoglierla come una benedizione. (traduzione a cura di Unimoney)




mercoledì 16 ottobre 2013

La bambina, il cuore e la casa - M.Teresa Andruetto

la solita storia della letteratura per bambino o adolescenti e letteratura per adulti, in realtà c'è solo la letteratura, a volte parla solo di bambini, a volte solo di adulti, a volte di bambini e adulti o adulti e bambini, a volte il racconto è con gli occhi di un bambino, o con le sue parole.
in questo libro protagonista è una bambina, Tina, di cinque anni, c'è Pedro, il fratellino, i genitori, la nonna.
ma non è un libro per bambini, è un libro che parla (anche) di bambini, un gran libro che è letteratura, non minore.
provare per credere - franz
Ps:  M.Teresa Andruetto ha vinto nel 2012 il premio Andersen, quello internazionale, che ogni due anni premia scrittori non minori, ma di serie A (mi vengono in mente Aidan Chambers e David Almond) 




…Un romanzo poco convenzionale, che incanta e affascina con la delicatezza della sua conduzione e, insieme, apre spazi di domande e riflessioni.
Senza entrare nel merito ma solo accarezzandolo con sensibilità, spalanca le enormi porte dei drammi familiari e del dolore e la difficoltà di tenere insieme nuclei provati dalla malattia, o l’handicap, di un componente.
Sospendendo il giudizio o ogni forma di condanna, l’autrice si schiera con rispetto e attenzione dalla parte dei piccoli, mettendo in luce il loro universo emotivo e la complessità, e ricchezza, dei loro sentimenti che meritano, al pari di quelli adulti, sincerità e considerazione.
I bambini, inoltre, si mostrano sovente più in grado, rispetto ai grandi, di superare barriere e discriminazione, accedono con più naturalezza ai terreni dell’accettazione e, nel loro lucido candore e la loro spontanea saggezza, riescono a trovare soluzioni per problemi complessi che, pur senza essere semplici, per lo meno risultano coraggiose e creative.

Tina ha cinque anni ma è già una bambina grande che vive con il padre e la nonna in una bassa casa moderna con un piccolo cortile. Tutti i giorni, gioca con Carlota, l'amica del cuore con cui condivide le mattine alla scuola materna, le sue riflessioni e i piccoli segreti. Tutti i giorni feriali, con una routine ripetitiva, meticolosa e paziente aspettando con ansia la domenica perché la domenica è un giorno speciale. La domenica è il giorno vero, quello in cui Tina sembra veramente assaporare la sua esistenza di piccola bambina-grande e il suo tempo finalmente si dilata di festa e si riempie della presenza materna che la bacia e la bacia nacora, quando viene accompagnata dal padre al villaggio vicino, nella grande casa antica con il giardino verde che le piace tanto quando gioca con Pedro, il fratello con occhi “cinesi”. Apparentemente la famiglia della piccola sembra patire la sofferenza di tante famiglie contemporanee divise da sentenze di divorzio. Istantanea, dopo istantanea, invece, s'intuisce che il vero motivo che separa i familiari da una vita affettiva e quotidiana regolare è qualcosa ben diverso, vissuto in maniera drammatica: l'handicap del fratello che ha la sindrome di Down. Una sintomatologia di cui la madre sola sembra occuparsene 24 ore su 24 che spezza il fluire del tempo paralizzando più i genitori che Pedro e Tina, quest'ultima tormentata da una domanda martellante: ma perché non si può stare tutti assieme?
da qui

Sulle prove INVALSI e gli effetti dei bambini migranti nelle classi - Renato Foschi

Le prove Invalsi, applicate per valutare il funzionamento delle scuole, non hanno nulla di scientifico, sia per il metodo che per i contenuti. Sono altri i criteri del «buon apprendere». Per esempio, mescolare nelle classi alunni con diverse abilità e con un background culturale differente
(da il manifesto del 16-10-2013)


È di questi giorni una notizia lanciata dal Corriere della Sera con un articolo di Andrea Ichino dal titolo Scuola operazione verità. Per ogni straniero in aula gli italiani calano nei test e da Radio 24 nel cui sito si ascolta un'intervista ad Ichino per cui «la multietnicità nella scuola è una ricchezza, ma è inutile negare che, quando si inserisce nelle elementari un bambino che non parla italiano, l'insegnante deve distogliere le attenzioni dal programma normale per occuparsi del nuovo arrivo. È ovvio che questo abbia degli effetti negativi sul buon funzionamento della classe». 
Tutto nasce da una ricerca pubblicata da M. Ballatore, M. Fort e dallo stesso A. Ichino, The Tower of Babel in the Classroom? Immigrants and Natives in Italian Schools (Torre di Babele in classe? Immigrati e italiani nelle scuole). Gli autori prendono le mosse dalla convinzione che la presenza di immigrati abbia un effetto sfavorevole sull'apprendimento. I loro modelli statistici vorrebbero, quindi, verificare questa ipotesi, tentando di controllare le altre variabili in gioco. Le analisi sono condotte mediante il database dell'Invalsi e mostrano i seguenti risultati fondamentali: in seconda elementare la presenza di immigrati in classe produce un peggioramento dei punteggi in italiano e in matematica rispettivamente del 12% e del 7%. Gli stessi dati rivelano, però, che in quinta elementare tali differenze svaniscono.
Nella ricerca gli autori, per giunta, «scoprono» che in Italia si formano classi e scuole a maggioranza di immigrati (sebbene il numero assoluto di immigrati nelle scuole sia una piccola percentuale). La situazione di tale sperequazione è definita da Ichino stesso come «sconcertante». Ma quale sarebbe la soluzione dei problemi evidenziati? Ichino sul Corriere prosegue «...molto meglio sarebbe costruire (le classi) senza ipocrisie sulla base delle informazioni disponibili riguardo alle caratteristiche degli studenti. Ma la soluzione peggiore, e davvero eticamente inaccettabile, è quella di concentrare insieme stranieri e italiani con background familiare meno favorevole»….

…Un dato è certo, gli svantaggiati - per fascia economica o culturale o intellettiva - se allontanati dagli altri si ritroverebbero isolati e peggiorerebbero le proprie prestazioni perché da un canto più difficili da educare in gruppo e perché non avrebbero gli «altri compagni» come modello con cui interagire. I ragazzi più fortunati, d'altro canto, non avrebbero molto da perdere perché gli stessi dati non mostrano per loro particolari controindicazioni. Nelle classi «miste» si potrebbero, inoltre, sviluppare modelli di interazione migliorativa per tutti i partecipanti. Come abbiamo visto dalla stessa ricerca italiana i gap, se pure ci fossero stati in seconda elementare, si sarebbero chiusi in quinta.
Dai dati Invalsi non possiamo poi capire se lo scambio interculturale abbia prodotto o meno un incremento di altre caratteristiche (socializzazione, apertura mentale, ecc...). Per giunta, come evidenziato dagli stessi dati Pisa sembra probabile che l'arricchimento culturale in classi miste fornisca al singolo individuo maggiori possibilità di riuscita accademica. 
Ciò detto, un dato su tutti dovrebbe far riflettere. Un numero di studi mostra che formare classi in cui interagiscono bambini differenti porta i più problematici a manifestare minori comportamenti a rischio. È questo il grande tema dell'apprendimento cognitivo ed emotivo mediante il confronto con i pari, proprio con quelle «differenze» che si vorrebbero forse confinare. 


grazie a Daniele per la segnalazione.

dice Alberto Moravia


Quando non si è sinceri bisogna fingere, a forza di fingere si finisce per credere; questo è il principio di ogni fede.

lunedì 14 ottobre 2013

Piedi e scarpe - Daniela Pia

Le scarpe di Saddam Absalah son quelle indossate da mio nonno sulla Marmolada.
Non lo hanno protetto.
I sandali di Jasmine Gasim li ha indossati mia nonna nei campi del padrone.
Non l’ hanno sfamata.
Ai piedi di Jasmin Baryul un pezzo di copertone di auto, zoccoli da strada.
Non le hanno reso leggero il cammino.
I mocassini di Som Shep non sono suoi, qualcuno li ha indossati a lungo prima di lui,
non sono stati gentili
Arcadia Hamid aveva zoccoli dispari, come i suoi occhi divergevano le strade
e gli orizzonti.
Hamusa Abdullai era fiera e speranzosa sulle sue suole, davanti il mare.
Non l’ hanno tenuta a galla.
Idriss Boussaid aveva scarpe da tennis con la virgola stampata. Adesso è punto e a capo.
Zaida Haj stava in braccio a sua madre, aveva solo calze e piedi minuscoli:
non erano pinne.
Amal Sheikh era laureata e conosceva 5 lingue.
Nessuno l’ ha sentita gridare.
Fatima Kwajale non era ancora nata:
dall’acqua dolce è passata a quella salata.
Nemmeno calze ha mai indossato.
Sua madre le è accanto, lei ancora dentro.

Piedi e scarpe: i primi a fondo
Le seconde a galla.
Su onde ove gli esseri umani si son persi.

Wael Abdel Zwaiter, assassinato a Roma , il 16 ottobre 1972

Chi ha visto il bellissimo film di Spielberg “Munich” avrà conosciuto per la prima volta Wael Abdel Zwaiter. Dopo l’attacco di Settembre Nero alle Olimpiadi di Monaco il Mossad iniziò la rappresaglia, con vere e proprie esecuzioni Quello di Wael Abdel Zwaiter fu il primo omicidio, per la sua esecuzione furono usate 11 pallottole, come il numero degli atleti israeliano ammazzati a Monaco, quel numero di pallottole era una firma chiarissima.
Qui sotto Alberto Moravia, Igor Man e Bernardo Valli ne parlano con affetto e partecipazione, sarebbe stato bello averlo per amico – franz


Nel ricordo di Alberto Moravia:
“Chi era Zwaiter Abdel Wael? Era un mio amico e la sua morte mia colpito non soltanto dolorosamente ma anche, come dire? Ideologicamente. Mi spiego. Io ho conosciuto molto bene Wael perché oltre a vederlo spesso qui la Roma, o fatto con lui un viaggio nei paesi arabi in occasione della mia intervista ad Arafat. Sono stato con lui nel Libano, in Siria, nel Kuwait.
Wael era palestinese con passaporto giordano; ma in realtà c'era in lui un personaggio non identificabile con questa o quest'altra nazionalità a meno di non parlarne come una incarnazione vivente di certi arabi, di certi caratteri arabi insieme amabili e leggendari.
Wael era infatti un uomo cavalleresco, fantastico, ingenuo, gentile e irreale... mi accorgo di avere descritto senza volerlo l'immenso mondo arabo al momento del suo massimo splendore storico; ed effettivamente Zwaiter Abdel Wael, cosi povero e così semplice, faceva irresistibilmente pensare a quel ricco e complicato mondo defunto. Lui del resto, un po' sapeva di essere fuori dei tempi e, come si dice, ci giocava.”

scrive Igor Man:
“Ma chi era Wael Zuaiter? Un intellettuale palestinese, nato a Nablus (la
Napoli cisgiordana) che dopo lungo peregrinare approda in Italia. Cultore di
Goethe e di Leopardi, splendido traduttore delle Mille e una notte,
protagonista-vittima del Settembre Nero, da Amman raggiunge Roma e presto
diventa il portavoce dell'Olp. Senza stipendio, Wael non sa sparare, il suo
mestiere è scrivere, ragionare. Decide che il «suo posto» sia l'Italia, che
il suo ruolo fosse quello di «combattere l'ignoranza e i pregiudizi degli
italiani nei confronti dei palestinesi», come scriverà alla carissima
sorella Naila.
Mite, sognatore, eternamente povero per pura scelta, innamorato della sua
gente, sentimentalmente legato a una pittrice di particolare
talento,JanetVenn-Brown, amico di Moravia e di Rafael Alberti, diceva che
«la parola fa più danni del cannone» e questo spiega perché egli fosse fiero
oppositore del terrorismo. Ciononostante figurava nella lista nera di
Servizi israeliani: lo ammazzarono, in Roma, il 16 di ottobre del 1972.”

nel ricordo di Bernardo Valli:
…Frequentava Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini. Si muoveva con disinvoltura tra i giornalisti interessati al Medio Oriente. Era un compagno piacevole. Divertente. Parlava delle poesie di D' Annunzio. Gli piacevano. Ma forse preferiva Montale. Al Fatah (e l' Olp di cui Al Fatah faceva parte con altri movimenti, alcuni dei quali marxisti) era una formazione laica, nazionalista, con varie correnti al suo interno. Alcuni esponenti potevano essere musulmani praticanti. Ma non era qualificante. Era un fatto privato. Non ricordo che Wael mi abbia parlato di religione. I palestinesi non attiravano molte simpatie. Con qualche eccezione, la grande stampa indipendente li trattava con severità. Anche tra non pochi intellettuali di sinistra l' appoggio a Israele era incondizionato. Penso che, in modo più o meno conscio, mettessero sulla bilancia il contributo dato dagli ebrei alla cultura e alla scienza, e concludessero che al confronto il peso dei palestinesi era insignificante. Anzi nullo. Alcuni dirigenti israeliani negavano persino l' esistenza dei palestinesi. Un personaggio come Wael sorprendeva. A differenza della stragrande maggioranza degli arabi, sapeva valutare la tragedia dell' Olocausto e quanto esso pesasse sul comportamento occidentale nella vicenda mediorientale. Se il suo personaggio non coincideva, all' epoca, con lo stereotipo del palestinese, poteva invece ricordare un altro stereotipo, quello dell' ebreo della diaspora di un tempo. Arafat lo teneva in considerazione. Si diceva fossero parenti. La volta che chiamai Wael da Beirut pregandolo di aiutarmi ad ottenere un appuntamento con lui, con il capo dell' Olp, allora installato a Damasco, ebbi una risposta positiva nel giro di poche ore. Un giorno telefonò a Jean Genet e gli chiese se voleva firmare una dichiarazione in favore dei palestinesi insieme ad Alberto Moravia. Lo scrittore francese era un emotivo e non perdeva occasione per dichiararsi in favore del terzo mondo. Saltò sul primo aereo in partenza da Parigi per Roma; e all' arrivo trovò Wael che l' aspettava con uno spazzolino e un dentifricio in mano. Aveva previsto che nella foga Genet non avrebbe portato nulla con sé. Da Fiumicino partirono insieme per Sabaudia, dove Moravia si trovava. Lungo il tragitto Wael spiegò a Genet che Moravia era riluttante a sottoscrivere un documento del genere. Genet gli disse di non preoccuparsi. L' avrebbe convinto lui. In aereo aveva già preparato una bozza. Wael la lesse e arrossì. Moravia non avrebbe mai approvato un testo in cui si denunciava «l' imperialismo e il razzismo sionista». Infatti, per un intero pomeriggio il francese rincorse invano l' italiano con il foglio e la penna in mano, sotto lo sguardo divertito del palestinese.
 Nella notte tra il 5 e il 6 settembre 1972, un gruppo palestinese clandestino chiamato «Settembre nero» attaccò gli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco, ne uccise 11, e lasciò 5 dei suoi uomini sul terreno, più un poliziotto tedesco. Io andai a Tel Aviv, da dove, l' 8 settembre, partì la rappresaglia israeliana contro le basi e i campi palestinesi in Libano. Al ritorno Wael mi rimproverò. Mi disse che ero stato «troppo sionista», perché mi ero soffermato sull' atmosfera commossa ai funerali degli atleti assassinati. Ma aggiunse che si era vergognato per quanto era accaduto a Monaco…
…A Roma, la sera del 16 ottobre di quello stesso anno, il 1972, Wael ritornava a casa, nel quartiere africano. Aveva tra le braccia due filoncini di pane, una bottiglia di latte e dei medicinali. Non aveva più lo stipendio dell' Ambasciata libica, per la quale aveva lavorato nella veste di addetto stampa. Trovava i libici arroganti. Aveva avuto una pessima esperienza a Tripoli. Diceva che preferiva farsi regalare una giacca sdrucita piuttosto che comprarsene una nuova con i soldi guadagnati con un lavoro sgradevole. Si divertiva a dare lezioni d' arabo alle suore cattoliche. Capitava che in seguito a una bolletta non pagata, lui e Janet, l' amica australiana (che gli sarebbe rimasta fedele nei decenni a venire), trascorressero le serate al lume di candela. Wael indugiava sorridendo su questi inconvenienti della vita quotidiana. Anche nel tiepido autunno romano indossava un cappotto pesante, invernale. Quel 16 ottobre, arrivato nei pressi di piazza Annibaliano, fu raggiunto da una scarica di proiettili mortali. Credo non avesse ancora quarant' anni. O forse li aveva compiuti da poco…
da qui

anche qui

a Ennio Flaiano sarebbe piaciuta


Bisognerebbe abolire il condizionale! (anonimo)


domenica 13 ottobre 2013

Thomas Sankara, assassinato il 15 ottobre 1987 (20 anni e 6 giorni dopo Che Guevara)


In Africa i leader rivoluzionari migliori o li ammazzano,  come Thomas Sankara in Burkina Faso,  o li mettono in galera.

tre mesi dopo questo discorso è stato assassinato, dev’essere stata  una coincidenza (qui e
qui)

Parole e fatti:
« Il debito pubblico nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo assoluto, di coloro i quali hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso. »

« Parlo in nome delle madri che nei nostri Paesi impoveriti vedono i propri figli morire di malaria o di diarrea, senza sapere dei semplici mezzi che la scienza delle multinazionali non offre loro, preferendo investire nei laboratori cosmetici o nella chirurgia plastica a beneficio del capriccio di pochi uomini e donne il cui fascino è minacciato dagli eccessi di assunzione calorica nei loro pasti, così abbondanti e regolari da dare le vertigini a noi del Sahel... »

In un discorso tenuto ad Addis Abeba in Etiopia, Sankara suggerì l'istituzione di un nuovo fronte economico africano che si potesse contrapporre a quello europeo e statunitense. Soppresse molti dei privilegi detenuti sia dai capi tribali, sia dai politici, e attraverso dichiarazioni e gesti molto chiari, applicò con grande coerenza le sue idee. Ad esempio:
·         Il suo governo incluse un grande numero di donne, condannò l’infibulazione e la poligamia, promosse la contraccezione. Fu il primo governo africano a dichiarare che l’Aids. era la più grande minaccia per l'Africa.
·         Fece costruire centri sanitari in ogni villaggio burkinabé (l’Unicef definì la campagna di vaccinazione effettuata sui bambini, la più grande registrata nel mondo) e cantieri per opere idrauliche, creando un Ministero dell’Acqua.
·         Sua madre e i suoi collaboratori viaggiavano sempre in classe economica e a ranghi ridotti nelle visite diplomatiche;
·         Vendette la maggior parte delle Mercedes in forza al governo e proclamò l'economica Renault 5, automobile ufficiale dei ministri.
·         Volle costruire la "ferrovia del Sahel", una linea che collega Ouagadougou al confine con il Niger, nonostante molti economisti non lo ritenessero un progetto redditizio. Tale opera, successivamente ampliata, costituisce tuttora la principale via di comunicazione del Paese.
·         Durante un suo discorso all’ONU il 4 ottobre 1984, avanzò la richiesta di sospensione di Israele e di espulsione del Sudafrica  dalle Nazioni Unite che all'epoca deteneva in prigione il leader carismatico Nelson Mandela, simbolo della lotta contro l’apartheid.

Per saperne di più:
un bellissimo documentario (qui), in italiano

e anche un altro (qui), in francese

(anche qui)

venerdì 11 ottobre 2013

Gli uccelli notturni -Tormod Haugen

Libro pochissimo letto, e su internet si trova poco o niente. Ed è un gran libro, la storia di un bambino che deve attraversare le sue paure per vincerle. Il padre non è un eroe, piuttosto uno al quale la vita pesa abbastanza, e spesso ha difficoltà. Joakim deve affrontare il mondo e se stesso e i suoi fantasmi, e solo affrontandoli riesce a vincerli (come diceva Pavese, le difficoltà bisogna attraversarle, non evitarle).
a me è piaciuto molto - franz


Molte cose fanno paura a Joakim: la macchia marrone lungo le scale, una vicina che lui crede sia una strega, l'assassino in cantina, le gigantesche orecchie che lo controllano dietro le porte, i racconti spaventosi di Sara, le compagne maligne, i compagni più forti, la fragilità di carattere del proprio padre. Ma c'è qualcosa che racchiude tutte le sue paure: gli uccelli notturni che "vede" uscire dall'armadio della sua stanza, più scuri della notte, con occhi di fuoco. Un libro poetico e malinconico sulla liberazione dalla paura: il difficile ma infine vittorioso cammino che ogni natura sensibile deve percorrere.
da qui

giovedì 10 ottobre 2013

perché non leggerò “Limonov”, di Emmanuel Carrère

Carrère mi piace moltissimo, sa scrivere, una volta con un suo romanzo sono stato sveglio fino alle 3 0 4 di notte, per terminarlo (non vi dico quale per non farvi perdere il sonno), di "Limonov" ne ho letto benissimo dappertutto, ma non ce la faccio. 
come potete vedere dal video linkato (http://www.youtube.com/watch?v=tH_v6aL1D84
), un giorno Limonov, lo splendido, era con Radovan Karadzic, fra gli assedianti, e i cecchini assassini, di Sarajevocerto, avrà fatto solo finta di mirare, ma lì morivano come sappiamo tutti, ormai, in uno assedio vergognoso e  terribile, in una delle tante stragi che il secolo passato ci ha regalato.
come le barzellette di Berlusconi su forni crematori o sui malati di Aids, non li ha ammazzati lui, ma il personaggio mi fa schifo.
sono un po' integralista, lo so, salto un giro, pazienza, Carrère sceglierà nei prossimi libri temi che non mi urtino così, ne sono sicuro - franz

martedì 8 ottobre 2013

Vomit School Award

Finalmente anche in Italia nasce un nuovo premio destinato alle scuole, che brillino nel  territorio per le caratteristiche di inefficienza incapacità ingiustizia, per offrire un servizio sempre migliore nelle direzioni sopra indicate.
La prima edizione europea si è tenuta l’anno scorso e ha ottenuto un grande successo, con più di 7000 scuole partecipanti da tutta l’Europa.

Regolamento (versione base)

Possono partecipare docenti/ personale ATA/ studenti
Non possono partecipare le figure apicali dell’istituzione scolastica, e cioè DSGA/DS e loro collaboratori e delegati
Si può votare una sola volta e solo per la propria scuola.
Per votare collegatevi al sito www.vomitschool.wordpress.com, dopo aver letto il regolamento completo e approvato le liberatorie, potrete votare.
Nella prima selezione verranno individuate dieci scuole per provincia, in una seconda fase eliminatoria resteranno tre scuole per regione, che parteciperanno alle finali nazionali.
Le prime tre scuole italiane otterranno il lasciapassare per partecipare alle finali europee, che si terranno, per questa seconda edizione, nella cittadina medioevale di Montapert, in Catalogna.


Ecco la presentazione della scuola che ha vinto il primo premio l’anno scorso, con l’unanimità dei 20 componenti della giuria.
Loro saranno i campioni da battere, sarà difficile, ma non impossibile, sappiamo che in Italia ci sono ottimi candidati per competere alla pari con le migliori scuole europee.

Ecco la presentazione del preside Vitous Gambrinus:

“Non per vantarmi, scrive il preside con orgoglio, ma il nostro è un corpo (insegnante) selezionato con cura, quanto di più spiacevole e scostante offra il mercato. Non un solo corpo simpatico, tutti corpi pedagogici, e le poche volte che mi trovo ad assumere un insegnante giovane, faccio sempre in modo che abbia una caratteristica repellente.
I nostri insegnanti sono i migliori cervelli della capitale, non ce n’è uno che abbia un’idea sua. Se solo a qualcuno dovesse venirgliene una, ci penserei io a far sloggiare l’ideatore. Sono nullità innocue, solo quello che c’è nei programmi scolastici! Nessun pericolo che gli venga un’idea originale.
Non c’è nulla di peggio di un insegnante simpatico, specie poi se provvisto di opinioni personali. Solo un professore veramente noioso è capace di instillare negli allievi una bella immaturità, quella simpatica inefficienza e inettitudine, quell'insipienza della vita tipica della gioventù, in modo che noi, veri pedagoghi per vocazione, possiamo farne il nostro campo d’azione. Solo con l’aiuto di un personale veramente adeguato possiamo riuscire a purificare il mondo.”

Il portale sarà attivo per le votazioni dal 2 novembre corrente anno scolastico, per 17 giorni, fino al 19 novembre.

Partecipate tutti e sostenete il vostro istituto.

E vinca il peggiore, scusate, si intendeva il migliore.

                                                           Il Presidente del Vomit School Award Italy
Dott  Ing. Lup. Man. Di Pagl. Gran. Test. Di Caz. Figl. di Gr. Putt. Conte di Malascola


(un grazie infinito a Witold Gombrowicz, lui sa perché)

anche qui

lunedì 7 ottobre 2013

Gionata Mirai, chitarrista

Pavitra Bhardwaj, nostra sorella

E’ morta a causa delle ferite riportate Pavitra Bhardwaj, assistente universitaria indiana che si è data fuoco davanti alla sede del governo di Nuova Delhi la settimana scorsa, dopo avere denunciato di essere stata stuprata dal suo capo e avere di conseguenza perso il posto di lavoro.
La donna, 40 anni, era stata licenziata – scrive il Times of India – dal suo incarico di assistente di laboratorio alla Br Ambedkar College nel 2012. Pavitra aveva denunciato le ripetute molestie sessuali del suo principale, Gk Arora, e nel 2009, prima del suo licenziamento, aveva sporto denuncia. Ciò nonostante, il comitato universitario aveva difeso l’uomo.
Gli studenti e i dipendenti dell’università hanno protestato più volte contro il licenziamento di Pavitra, per la quale si è svolta una veglia sabato scorso.

È morta dopo sette giorni di agonia Pavitra Bhardwaj, l'assistente universitaria indiana che si è data fuoco davanti al palazzo del Governo a causa di uno stupro e della conseguenrte perdita del posto di lavoro. 
Pavitra Bhardwaj, 40 anni, assistente nel laboratorio di chimica del college Bhim Rao Ambedkar dell'Università di New Delhi, il 30 settembre si è immolata davanti alla sede del governo nella capitale, urlando di essere stata violentata dai colleghi tre anni fa. Ma oltre allo stupro, Pavitra ha subìto anche l'umiliazione di essere licenziata dopo aver dichiarato di voler denunciare i suoi aggressori…
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venerdì 4 ottobre 2013

La Sardegna è una stronza - Giuseppe Destefanis

Da questa nuvola si vede che c’è un’isola possibile, ma perchè questo non accada c’è chi fa l’impossibile.  Noi sardopatici viviamo di entusiasmi un poco aritmici, crediamo ancora esista al mondo un Dio degli specifici. Chiediamo scusa se a volte risultiamo un po’ nostalgici, ma abbiamo un sogno nel profondo e cuori prenuragici, canta Piero Marras.

In effetti nostalgici lo siamo, almeno la maggior parte di noi. Un timbro che ti viene applicato alla nascita, per chi ci nasce, o che ti viene applicato dopo che ci passi almeno tre estati consecutive (per chi non vi nasce).
La condizione nella quale ti pone quest’isola è di una cattiveria unica, spesso ti costringe a lasciarla condannandoti ad un ossimoro eterno, non vedi l’ora di tornare e quando lo fai ti rendi conto che non ti appartiene più, ti condanna anche ad una condizione di insoddisfazione eterna. I posti che visiterai, inconsciamente e anche se non lo vuoi ammettere, verranno paragonati ad un qualsiasi angolo di isola. Le piramidi o le costruzioni Maya ai nuraghi, la Trasfigurazione di Raffaello in San Pietro a quella di Andrea Lussu della chiesa di Sant’Andrea di Sedini, il mare dell’oristanese a quello della California o dell’Australia…
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Fra tutti gli oggetti - Bertold Brecht

Fra tutti gli oggetti i più cari
sono per me quelli usati.
Storti agli orli e ammaccati, i recipienti di rame,
i coltelli e forchette che hanno di legno i manici,
lucidi per tante mani: simili forme
mi paiono tutte le più nobili. Come le lastre di pietra
intorno a case antiche, da tanti passi lise, levigate,
e fra cui crescono erbe, codesti
sono oggetti felici.
Penetrati nell’uso di molti,
spesso mutati, migliorano forma, si fanno
preziosi perché tante volte apprezzati.
Persino i frammenti delle sculture,
con quelle loro mani mozze, li amo. Anche quelle,
vissero per me. Lasciate cadere, ma pure portate;
travolte sì, ma perché non troppo in alto stavano.
Le costruzioni quasi in rovina
hanno l’aspetto di progetti
incompiuti, grandiosi; le loro belle misure
si possono già indovinare; non hanno bisogno
ancora della nostra comprensione. E poi
han già servito, sono persino superate. Tutto
questo mi fa felice.