giovedì 31 ottobre 2024

Quanti errori grossolani a furia di considerare intoccabili e non criticabili le forze dell’ordine - Lorenzo Guadagnucci


(da Altreconomia)


Giorgia Meloni sdegnata (“Le forze dell’ordine meritano rispetto, non simili ingiurie”), Matteo Salvini indignato (“Se a questi signori piacciono tanto rom e clandestini, se li portino a Strasburgo”), il presidente Sergio Mattarella perfino “stupito”.

A giudicare dalla reazione dei vertici istituzionali, il meno che si possa dire del nuovo rapporto della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri), è che la Repubblica italiana ha dimostrato di avere davvero un serio problema con sé stessa e in particolare con le sue forze dell’ordine, che difende con cieco ardore, ma a prescindere dalla realtà.

L’Ecri ha messo nero su bianco, forte di una documentazione che nessuno ha osato mettere in discussione, ciò che già sappiamo, ossia che le forze dell’ordine italiane praticano forme di razzismo istituzionale, specialmente verso persone immigrate (specie se africane), famiglie rom, persone non eterosessuali. E c’è davvero da stupirsi che sia così?

Viviamo nel Paese in cui il discorso d’odio è pratica quotidiana di leader politici di primo piano (è ancora fresco il truce e francamente ignobile commento del ministro Salvini dopo l’uccisione di un giovane immigrato da parte di un agente: “Con tutto il rispetto, non ci mancherà”). Viviamo nel “Paese dei campi”, l’unico in Europa che da decenni segrega le famiglie rom e sinti fuori dai centri urbani e così le espone alla diffidenza e riprovazione sociale, accusandole poi di non volersi integrare.

Nel Paese che mantiene una tardo-ottocentesca legge sulla cittadinanza e nega la carta d’identità, fino ai 18 anni, perfino a chi nasce, vive e cresce sul suolo patrio, se i genitori sono stranieri. Nel Paese che contrasta l’immigrazione con tutti i mezzi: dal divieto d’ingresso generalizzato, ai centri di detenzione (ora anche delocalizzati), fino alla guerra alle navi di soccorso impegnate nei salvataggi dei naufraghi nel Mediterraneo. Nel Paese che chiama “clandestini” i rifugiati e i richiedenti asilo, e “immigrati di seconda e terza generazione” chi immigrato non è, se figlio o nipote di persone straniere (specie se di pelle nera).

Nel Paese che oltre vent’anni fa mostrò all’Europa e al mondo ciò che le sue forze dell’ordine possono arrivare a fare: era il 2001, Genova ospitava il G8 e ai torturati di Bolzaneto capitò di sentire gruppi di agenti intonare un coro che faceva così: “Uno-due-tre viva Pinochet; quattro-cinque-sei morte agli ebrei; sette-otto-nove il negretto non commuove”.

No, non c’è da stupirsi, e tanto meno da indignarsi, se la Commissione del Consiglio d’Europa segnala casi di “profilazione razziale” da parte delle polizie italiane e fa notare che queste “non sembrano essere consapevoli della gravità del problema”. Non c’è da stupirsi se “si rammarica del fatto che negli ultimi anni poco o niente sia stato fatto per garantire una maggiore responsabilità nei casi di abusi razzisti o LGBTI-fobici commessi da agenti della polizia di Stato, carabinieri e altri agenti delle forze dell’ordine”.

Non c’è nulla di cui stupirsi, nel Paese in cui i vertici politici e delle forze dell’ordine non hanno mai rinnegato e “sanato” nemmeno gli enormi abusi commessi al G8 di Genova, e semmai ci sarebbe da ringraziare la Commissione, perché il suo sguardo esterno consente di vedere ciò dall’interno resta invisibile, a causa dell’incapacità delle istituzioni italiane di essere oneste con sé stesse.

A furia di considerare le forze dell’ordine intoccabili e non criticabili, errori e abusi si sono accumulati senza mai essere affrontati, e ora si pretenderebbe di avere -o di far credere di avere- apparati di polizia immuni dal discorso d’odio, dal razzismo strisciante, dall’antiziganismo, dall’omotransfobia che circolano largamente nella società, nei media, nel discorso politico corrente.

Le parole spese da vari ministri, dalla presidente del Consiglio e dal capo dello Stato purtroppo non sorprendono, semmai avviliscono, perché i “consigli” indicati dal rapporto Ecri vanno nella direzione giusta, avendo un unico difetto: per essere considerati e accolti, è necessario che vi sia nelle istituzioni la consapevolezza di avere un problema. Senza indignarsi e tanto meno stupirsi.

da qui

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