(da Altreconomia)
Giorgia
Meloni sdegnata (“Le forze dell’ordine meritano rispetto, non
simili ingiurie”), Matteo Salvini indignato (“Se
a questi signori piacciono tanto rom e clandestini, se li portino a Strasburgo”),
il presidente Sergio Mattarella perfino “stupito”.
A
giudicare dalla reazione dei vertici istituzionali, il meno che si possa dire
del nuovo rapporto della Commissione europea contro il razzismo e
l’intolleranza (Ecri), è che la Repubblica italiana ha dimostrato di avere
davvero un serio problema con sé stessa e in particolare con le sue forze
dell’ordine, che difende con cieco ardore, ma a prescindere dalla realtà.
L’Ecri
ha messo nero su bianco, forte di una documentazione che nessuno ha osato
mettere in discussione, ciò che già sappiamo, ossia che le forze dell’ordine
italiane praticano forme di razzismo istituzionale, specialmente verso persone
immigrate (specie se africane), famiglie rom, persone non eterosessuali. E c’è
davvero da stupirsi che sia così?
Viviamo
nel Paese in cui il discorso d’odio è pratica quotidiana di leader politici
di primo piano (è ancora fresco il truce e francamente ignobile commento del
ministro Salvini dopo l’uccisione di un giovane immigrato da parte di un
agente: “Con tutto il rispetto, non ci mancherà”). Viviamo nel “Paese dei
campi”, l’unico in Europa che da decenni segrega le famiglie rom e sinti fuori
dai centri urbani e così le espone alla diffidenza e riprovazione sociale,
accusandole poi di non volersi integrare.
Nel
Paese che mantiene una tardo-ottocentesca legge sulla cittadinanza e nega la
carta d’identità, fino ai 18 anni, perfino a chi nasce, vive e cresce sul suolo
patrio, se i genitori sono stranieri. Nel Paese che contrasta l’immigrazione
con tutti i mezzi: dal divieto d’ingresso generalizzato, ai centri di
detenzione (ora anche delocalizzati), fino alla guerra alle navi di soccorso
impegnate nei salvataggi dei naufraghi nel Mediterraneo. Nel Paese che chiama
“clandestini” i rifugiati e i richiedenti asilo, e “immigrati di seconda e
terza generazione” chi immigrato non è, se figlio o nipote di persone straniere
(specie se di pelle nera).
Nel
Paese che oltre vent’anni fa mostrò all’Europa e al mondo ciò che le sue forze
dell’ordine possono arrivare a fare: era il 2001, Genova ospitava il G8 e ai
torturati di Bolzaneto capitò di sentire gruppi di agenti intonare un coro che
faceva così: “Uno-due-tre viva Pinochet; quattro-cinque-sei morte agli ebrei;
sette-otto-nove il negretto non commuove”.
No,
non c’è da stupirsi, e tanto meno da indignarsi, se la Commissione del
Consiglio d’Europa segnala casi di “profilazione razziale” da parte delle
polizie italiane e fa notare che queste “non sembrano essere consapevoli della
gravità del problema”. Non c’è da stupirsi se “si rammarica del fatto che negli
ultimi anni poco o niente sia stato fatto per garantire una maggiore
responsabilità nei casi di abusi razzisti o LGBTI-fobici commessi da agenti
della polizia di Stato, carabinieri e altri agenti delle forze dell’ordine”.
Non
c’è nulla di cui stupirsi, nel Paese in cui i vertici politici e delle forze
dell’ordine non hanno mai rinnegato e “sanato” nemmeno gli enormi abusi commessi al G8 di Genova, e semmai ci sarebbe da
ringraziare la Commissione, perché il suo sguardo esterno consente di vedere
ciò dall’interno resta invisibile, a causa dell’incapacità delle istituzioni
italiane di essere oneste con sé stesse.
A
furia di considerare le forze dell’ordine intoccabili e non criticabili, errori
e abusi si sono accumulati senza mai essere affrontati, e ora si pretenderebbe
di avere -o di far credere di avere- apparati di polizia immuni dal discorso
d’odio, dal razzismo strisciante, dall’antiziganismo, dall’omotransfobia che
circolano largamente nella società, nei media, nel discorso politico corrente.
Le
parole spese da vari ministri, dalla presidente del Consiglio e dal capo dello
Stato purtroppo non sorprendono, semmai avviliscono, perché i “consigli”
indicati dal rapporto Ecri vanno nella direzione giusta, avendo un unico
difetto: per essere considerati e accolti, è necessario che vi sia nelle
istituzioni la consapevolezza di avere un problema. Senza indignarsi e tanto
meno stupirsi.
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