Samuel Langhorne Clemens, si chiamava, e qui si spiega il nome di Mark Twain:
Dati i trascorsi da pilota dei battelli a vapore sul Mississippi, fatto di cui era orgoglioso, è ritenuto che lo pseudonimo che si attribuì di “Mark Twain” derivi dal grido in uso nello slang della marineria fluviale degli Stati Uniti per segnalare la profondità delle acque: by the mark, twain, ovvero: dal segno, due (sottinteso tese). Tale grido indica una profondità di sicurezza (appunto due tese, circa 3,7 metri)…(da qui)
«Tutta la letteratura americana moderna», ha scritto Ernest Hemingway, «discende da un libro di Mark Twain che si intitola Huckleberry Finn».
Ecco come inizia quel libro:
“Voi non sapete nulla di me, a meno che non abbiate letto un libro chiamato Le avventure di Tom Sawyer; ma non importa. Quel libro fu scritto dal signor Mark Twain, che per lo più disse la verità. C’erano delle esagerazioni, ma per lo più egli disse la verità. Questo non dimostra nulla. Non ho mai conosciuto nessuno che una volta o l’altra non dicesse bugie, eccetto zia Polly, o la vedova, o forse Mary. Zia Polly – la zia di Tom, cioè – e Mary, e la vedova Douglas: in quel libro ci sono tutte, ed è un libro per lo più sincero; con qualche esagerazione, come ho già detto…”
(traduzione di Gabriele Musumarra)
(traduzione di Gabriele Musumarra)
Sembra di leggere l’inizio de“ Il giovane Holden” un secolo prima!
…Alle sue “sfortune” contribuì non poco l’ostracismo subito per le sue critiche all’imperialismo americano. Era infatti stato membro attivo della Anti-Imperialist League, costituitasi nel 1898, di cui fecero parte personalità del calibro di Henry James, Ambrose Bierce, il filosofo John Dewey ed il poeta Edgar Lee Masters. Per le sue posizioni antimperialiste, Mark Twain subì una vera e propria emarginazione negli ultimi anni di vita, tanto che molti suoi scritti antimperialisti rimasero del tutto ignorati e non furono ripubblicati dopo la sua morte…(da qui)
Ancora oggi pochi sanno di re Leopoldo II del Belgio, Mark Twain scrisse “Soliloquio di Re Leopoldo”, descrivendo cosa avveniva in Congo, un olocausto, per opera di un serial killer al livello di Hitler.
Mark Twain passa anche in Italia, sembra scritto oggi:
Sbarcato a Genova s’inoltra a notte fonda nei carrugi: «le case strette ai nostri fianchi sembravano più protese che mai verso il cielo» e la voce del silenzio lo affascina. Quando scrive di paesaggi i suoi sensi vibrano e le pagine sono sempre seducenti: sul lago di Como «ville sontuose imbiancate dal chiaro di luna risaltavano dal nutrito fogliame che giaceva nero e informe»; quando sale sul Vesuvio la città, illuminata dalle lampade a gas, gli appare come «un collier di diamanti che scintillano nell'oscurità lontana» ai margini dello «splendido golfo». Ma quando s’ inoltra nel ventre della città la sua analisi è spietata, ma con autoironia aggiunge: «Qualcuno potrebbe pensare che io abbia dei pregiudizi. Forse è vero. Mi vergognerei di me stesso se non li avessi». S’ indigna per “l’ impostura” del miracolo di San Gennaro. Venezia è «finita preda della povertà, della trascuratezza e di una triste decadenza». Ma al chiaro di luna appare «ancora un volta la più sontuosa tra tutte le nazioni della terra». È infastidito dai chilometri di dipinti che attraversa a Firenze, dove tutto, gli vien detto, è opera di Michelangelo. Si vergogna di non avere un’ educazione artistica, ma si giustifica dicendo che in America non è contemplata. Twain guarda all'Italia e alla sua civiltà con sentimenti contraddittori: l’ attrae il contesto paesistico naturale e urbano che incontra di città in città, ma sente che queste sprofondano di giorno in giorno in un immobile passato; è infatti sgomento per lo spettacolo di decadenza, la diffusa miseria, l’ alterigia delle classi dirigenti divise dal popolo e chiuse nel loro privilegio. Un senso sincero d’ angoscia lo pervade per quanto cade sotto i suoi occhi: il marciume che invade i Fori a Roma, a Venezia l’ olfatto è offeso dai fetori che salgono dai canali, lo spettacolo di Pompei lo affascina, ma anche l’ avvilisce. Un paese l’ Italia per il quale non c’ è redenzione possibile, né riesce a vedere un futuro. Viaggio contropelo quello dell’ americano, in taluni casi persino urticante, in pagine letterariamente raffinate che oscillano tra sarcasmo, ironia e comico.
(Cesare De Seta, storico dell’arte)
fu anche uno dei più grandi scrittori di aforismi di tutti i tempi, eccone qualcuno:
L’umorismo è una gran cosa, è quello che ci salva. Non appena spunta, tutte le nostre irritazioni, tutti i nostri risentimenti scivolano via, e al posto loro sorge uno spirito solare
Il banchiere è un uomo che ti presta l’ombrello quando c’è il sole e se lo riprende quando inizia a piovere.
Si dovrebbe credere che questo stesso Dio senza scrupoli, questo minorato morale, fu nominato insegnante di bontà, dei costumi, della clemenza, della legalità, della purezza? Sembra impossibile e folle.
Quando ci ricordiamo di essere tutti folli, i misteri della vita scompaiono e la vita trova una spiegazione.
Ricordate quel venerabile proverbio: i bambini e gli sciocchi dicono sempre la verità. La conseguenza logica è ovvia: gli adulti e i saggi non la dicono mai.
Il letto è il posto più pericoloso del mondo. L’ottanta per cento della gente vi muore.
Tutte le scoperte della medicina si possono ricondurre alla breve formula : “l’acqua, bevuta moderatamente, non è nociva”.
Fai sempre la cosa giusta; gratificherai alcune persone e stupirai le altre.
Se raccogliete un cane affamato e gli date da mangiare, potete star sicuri che non vi morderà. Questa è la principale differenza tra l’uomo e il cane.
Qui alcune sue immagini in movimento, nel 1909, l’anno prima di morire, sembra il fratello grande di Kurt Vonnegut.
Leggete Mark Twain, non c’è che l’imbarazzo della scelta, non sarà mai tempo perso, promesso.
(anche qui)