lunedì 4 novembre 2013

È così che la perdi – Junot Diaz

dopo “Drown” (qui) e “La breve favolosa vita di Oscar Wao“ (qui), è arrivato “È così che la perdi”, un libro di racconti, come il primo, e con i personaggi che si riaffacciano nelle pagine di tutti i suoi libri, non ci vogliono lasciare (per fortuna).
Junot Diaz sa scrivere, però questo è solo un libro da nove, un libro migliore di Oscar Wao è praticamente impossibile per Junot Diaz; ma un libro da nove è un libro bellissimo, e se qualcuno non lo sa è meglio che si dia una mossa.
questi emigrati domenicani, come tutti gli emigrati del mondo, hanno le nostre facce, i nostri pensieri, le nostre preoccupazioni, le nostre speranze, sono stati bambini come noi, per questo li conosciamo così bene, e gli vogliamo così bene.
c’è la vita dentro questo libro, come in tutti i bei libri, e si racconta e ci racconta.
chi leggerà i libri di Junot Diaz non sarà mai dispiaciuto di averlo fatto, ma se non va in biblioteca, o in libreria, se non trova chi glieli regala o glieli presta, è così che se li perde - franz

ps: le parole inglesi e spanglish sono di Junot Diaz, quelle italiane di Silvia Pareschi (lo sapevate?) 



Come tutti i grandi libri, È così che la perdi ti mette voglia di fare pulizia. Vuoi correre ai tuoi scaffali e tirar giù tutti i romanzi che hai comprato per sbaglio. La raccolta di racconti di Junot Díaz è così tagliente, così esplicita, così cruda nelle emozioni, così radicata nel linguaggio e nei ritmi della vita della classe operaia dei latinoamericani immigrati negli Stati Uniti che in confronto molta altra letteratura sembra irrimediabilmente povera. Il libro è ingannevolmente piccolo, fatto di racconti per lo più ambientati nel New Jersey, dove figura un giovane domenicano di nome Yunior, già presente negli altri due libri dell’autore. È un mondo di uomini ossessionati dal sesso e di donne sotto pressione che sognano un rifugio sicuro. Il linguaggio è la chiave di tutto. Díaz è al tempo stesso un minimalista che riduce la sua prosa all’essenziale e un massimalista capace di cambiare codici, di passare dal colloquiale al letterario, creando un minestrone lessicale fatto di frasi caraibiche, gergo dei neri americani, slang di strada. I corpi sono ovunque in questa raccolta. In Otravida, otravez, un racconto di tranquilla bellezza sulla relazione tra un’addetta alla lavanderia di un ospedale e un dominicano sposato, tutto quel che riguarda le vite dei personaggi – i loro lavori umili, la loro paura della stasi, la loro capacità di tenerezza – è inscritta nella loro carne. Quasi tutti i personaggi di Díaz sono alle prese con il tempo. I loro ricordi dei coniugi, dei figli o dei fratelli rimasti nella Repubblica Dominicana svaniscono un po’ ogni anno che passa. E nel New Jersey si cresce rapidamente, troppo rapidamente. Díaz ha la capacità non solo di farti ridere, ma anche di farti sussultare di dolore, proiettando i suoi raggi X su mondi troppo spesso ignorati dai mezzi d’informazione.
Sukhdev Sandhu, The Daily Telegraph

2 commenti:

  1. Otravida, otravez è il mio preferito. Magnifico racconto. Grazie della menzione :-)

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  2. Oscar Wao mi manca, ma Yunior sa il fatto suo.
    qualche racconto è bello gli altri bellissimi, il libro mio sa già girando, ma il racconto dei bambini con la neve mi ha colpito molto.

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