venerdì 4 aprile 2025

Quel che vorrei dall’Europa: 800 miliardi per Gaza - Sergio Labate

Mentre le nostre élites progressiste celebrano le magnifiche sorti europee, qualunque esse siano, sto ancora aspettando di sentire una sola parola ufficiale da parte delle istituzioni europee che condanni o prenda le distanze dalla carneficina che il loro alleato Netanyahu ha appena ricominciato. Mentre il nostro comico di corte commuove i già commossi con le sue supercazzole emozionali, così che tutti possiamo sentirci più buoni e più europei, aspetto un moto unanime di indignazione per il piano europeo sui migranti, pensato a immagine e somiglianza di quello che il nostro Governo si affanna a difendere contro ogni dignità e diritto da troppi mesi. Uno dei tanti doppi standard che stiamo esibendo, in fondo. Perché se dovessi dire cosa riesco a capire di quest’Europa che dovrebbe salvarmi dal maligno e per cui dovrei esser pronto a sacrificare la vita dei nostri figli, potrei dire soltanto questo: un progetto politico fondato sull’autocelebrazione e sull’incoerenza assoluta.

C’è soprattutto un aspetto che mi ha colpito nelle litanie degli intellettuali che officiavano la gran liturgia del palco di Piazza del Popolo. In linea di massima quasi tutti i loro discorsi mancavano dei due caratteri fondamentali della coscienza europea: la storia e la critica. Apologie dell’Europa professate da intellettuali ormai non-europei. Prendiamo il lungo e fanatico elenco dei meriti dell’Europa che ci ha proposto Vecchioni (a cui devo innumerevoli serate struggenti e non smetterò certo di essergli perciò riconoscente). Dal mio punto di vista è stato un esempio perfetto di come si decostruisce la storia e si sostituisce con una memoria pronta all’uso ideologico e alla propaganda. Una furbata o un’ingenuità, non saprei dirlo. Ma nell’atto in cui ci raccontava la storia d’Europa ne stava rimuovendo l’essenza: cioè la capacità dell’Europa di rivedere se stessa criticamente. Lo spiega molto chiaramente in un libro sulla coscienza europea Vincenzo Costa (L’assoluto e la storia, 2023). La coscienza europea si costituisce a partire dalla consapevolezza dello scarto tra il sapere e la verità. Che vuol dire semplicemente che ciò che sappiamo di noi stessi non è mai tutto. Siamo ciò che crediamo di essere ma sappiamo anche di essere altro da ciò che crediamo. Siamo quelli che inventano la storia e poi finiscono per riconoscere che ce n’è per tutti, di storia. Siamo la civiltà dei diritti ma siamo anche una sequela di guerre e crudeltà, siamo quelli che celebrano la dignità umana ma siamo anche quelli che, come ricordava Todorov ne La conquista dell’America, abbiamo incontrato negli altri noi stessi e non ci siamo riconosciuti, sterminandoli.

La nostra storia è unica perché sa di non essere unica. Non c’è storia europea senza la critica alla violenza dei dogmatismi, senza la relativizzazione radicale dell’eurocentrismo, senza la postura post-coloniale e post-patriarcale rivolta innanzitutto a se stessa, senza il ripudio irreversibile della guerra e della sua fascinazione. Non è una cosa difficile da capire, soprattutto per una tradizione culturale che ha vissuto gli ultimi ottanta anni proprio a demitizzare l’orgoglio europeo e sostituirlo con la dignità dell’autocritica.

Ciò che ha fatto grande l’Europa – e i suoi intellettuali di qualche decennio fa – è stata la capacità di prendere sul serio la propria crisi. Oggi a quanto pare l’intellettuale non ha come compito quello di prender sul serio la crisi, ma di negarla ostentando ai quattro venti l’Europa trionfante e pronta a riconquistare il mondo e a far la guerra. Come si risolve la crisi? L’Europa di cui proviamo nostalgia avrebbe risposto: riconoscendola criticamente. L’Europa che oggi siamo chiamati a difendere militarmente ci dice: negandola.

Un’Europa che celebra il proprio orgoglio e si dimentica della dignità dei propri cittadini farebbe inorridire i propri padri fondatori. Molto più di quanto potrebbero inorridire di fronte a un primo ministro che non ha mai preso le distanze dal fascismo e che dichiara di non gradire un manifesto che è di principio e di fatto antifascista. Sono certo che Spinelli e gli altri confinati non si aspetterebbero nulla di diverso dai fascisti. E noi invece caschiamo nella trappola e ci scandalizziamo come se un cane ci avesse pisciato sul tappeto, mentre ormai ci hanno portato via il tappeto e non abbiamo nemmeno più la casa dove ripararci. Io non ho dubbi che il disprezzo che Meloni prova per il manifesto di Ventotene sia lo stesso disprezzo che prova per la Costituzione. Solo che in questo caso non rischia il vilipendio e può dire a parole quello che sta comunicando coi fatti delle sue riforme costituzionali: smantellare, umiliare, cancellare una storia intera. Però sinceramente non mi pare che il problema centrale del nostro tempo sia il fatto che una nostalgica del fascismo non apprezzi scritti antifascisti.

Per questo resto qui in silenzio. Aspetto di sentire qualcuno di coloro che piangono affranti di fronte alla sincerità brutale e inquietante di Meloni indignarsi allo stesso modo per le mosse di una Commissione europea a cui il loro partito ha dato fiducia nel Parlamento europeo. Aspetto di sentire non balbettii ma lamenti e strepiti e urla di indignazione per un silenzio tragicamente complice che accompagna la strage dei bambini di Gaza, mentre noi urliamo dai palchi e a favore di telecamere che difendiamo la libertà. 130 bambini, uccisi in un giorno come un altro, solo perché qualcuno che noi non possiamo censurare ha deciso unilateralmente di interrompere una tregua e desertificare persino le macerie. Nelle grandi televisioni europee – orgoglio della libertà di stampa – li leggo i titoli: “Israele ricomincia la guerra ad Hamas”. No, Israele ricomincia la strage degli innocenti e noi europei, invece di chiedere immediatamente le dimissioni di una von der Leyen che non ha nulla da dire al riguardo, la difendiamo ancora.

Riarmo, persecuzione dei migranti, silenzio complice su Gazaè questa l’Europa che dovremmo difendere? Tenetevela pure, quest’Europa. Tenetevi pure l’orgoglio europeo. Io parteggio per la dignità degli oppressi. Anche questa l’ho appresa in Europa, da europeo. E da europeo ho imparato che vale per tutti, non solo per noi.

da qui

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