La definizione ormai abusata di “servizi segreti deviati” non regge più
alla luce di questa sentenza. I depistaggi furono un’azione consapevole,
deliberata, volta a mantenere l’Italia all’interno dell’orbita atlantica e a
garantire l’“ordine”, anche a costo di sacrificare vite innocenti.
A cinquantun
anni di distanza dai fatti, una nuova sentenza emessa in primo grado riapre il
dibattito pubblico sulla strage di Piazza della Loggia a Brescia, avvenuta
il 28 maggio 1974, in cui morirono otto antifascisti e
oltre cento persone rimasero ferite. A darne notizia è un articolo di Giovanni
Bianconi pubblicato sul Corriere della Sera di oggi, 4 aprile 2025, con il titolo "Una sentenza che conferma la trama stragista e i
depistaggi".
Il
provvedimento giudiziario riguarda Marco Toffaloni, una
persona che all’epoca dei fatti era minorenne e che oggi risiede in Svizzera,
con il nome di Franco Maria Muller, al riparo da eventuali conseguenze
legali. La Svizzera ha dichiarato che
non procederà alla sua estradizione nemmeno in caso di condanna poiché per la legge elvetica il reato di cui è accusato risulta
prescritto.
Nonostante
ciò, l’autore dell’articolo sottolinea come la sentenza non sia affatto priva
di valore: essa contribuisce infatti a delineare con maggiore chiarezza il
contesto e le responsabilità che portarono all’attentato di Brescia,
inserendolo all’interno di un disegno strategico più ampio
che interessò l’Italia tra il 1969 e il 1974.
Secondo
Bianconi, la sentenza rappresenta l’ennesima conferma del ruolo svolto da
ambienti dell’estrema destra neofascista, protetti da complicità
istituzionali che operarono sistematicamente per ostacolare la
verità. L’articolo contesta la definizione ormai abusata di “servizi segreti
deviati”, proponendo una lettura più radicale: quella di un’azione consapevole,
deliberata, volta a mantenere l’Italia all’interno dell’orbita atlantica e
a garantire l’“ordine”, anche a costo di sacrificare vite innocenti e deviare
le indagini giudiziarie.
La sentenza
riconosce infatti l’aggravante dell’intralcio al lavoro degli
inquirenti dell’epoca, confermando come la macchina dei depistaggi non fu frutto di
improvvisazione, ma parte integrante di una
strategia politico-istituzionale. La volontà di proteggere
“estremisti neri di tutte le età” – come scrive Bianconi – è ormai un dato
acquisito nei principali procedimenti relativi a quella stagione di violenza
politica.
Questa
novità giudiziaria, pur giungendo a distanza di oltre mezzo secolo, rappresenta
un passo importante nella ricostruzione della verità
storica e giudiziaria su uno degli episodi più tragici e
simbolici dell’epoca della “strategia della tensione”.
La memoria delle vittime, l’impegno degli antifascisti e la richiesta di
giustizia che per decenni si è levata da Brescia trovano oggi un ulteriore
riconoscimento nelle aule dei tribunali.
in bottega ne aveva scritto Saverio Ferrari
https://www.labottegadelbarbieri.org/gladio-nato-e-il-terrorismo-neofascista/
https://www.labottegadelbarbieri.org/anni-70-la-nato-dietro-le-bombe-fasciste/
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