sabato 5 aprile 2025

Strage fascista di Brescia: sentenza dopo 51 anni conferma le complicità istituzionali e atlantiche - Alessandro Marescotti

 

La definizione ormai abusata di “servizi segreti deviati” non regge più alla luce di questa sentenza. I depistaggi furono un’azione consapevole, deliberata, volta a mantenere l’Italia all’interno dell’orbita atlantica e a garantire l’“ordine”, anche a costo di sacrificare vite innocenti.

 

A cinquantun anni di distanza dai fatti, una nuova sentenza emessa in primo grado riapre il dibattito pubblico sulla strage di Piazza della Loggia a Brescia, avvenuta il 28 maggio 1974, in cui morirono otto antifascisti e oltre cento persone rimasero ferite. A darne notizia è un articolo di Giovanni Bianconi pubblicato sul Corriere della Sera di oggi, 4 aprile 2025, con il titolo "Una sentenza che conferma la trama stragista e i depistaggi".

Il provvedimento giudiziario riguarda Marco Toffaloni, una persona che all’epoca dei fatti era minorenne e che oggi risiede in Svizzera, con il nome di Franco Maria Muller, al riparo da eventuali conseguenze legali. La Svizzera ha dichiarato che non procederà alla sua estradizione nemmeno in caso di condanna poiché per la legge elvetica il reato di cui è accusato risulta prescritto. 

Nonostante ciò, l’autore dell’articolo sottolinea come la sentenza non sia affatto priva di valore: essa contribuisce infatti a delineare con maggiore chiarezza il contesto e le responsabilità che portarono all’attentato di Brescia, inserendolo all’interno di un disegno strategico più ampio che interessò l’Italia tra il 1969 e il 1974.

Secondo Bianconi, la sentenza rappresenta l’ennesima conferma del ruolo svolto da ambienti dell’estrema destra neofascista, protetti da complicità istituzionali che operarono sistematicamente per ostacolare la verità. L’articolo contesta la definizione ormai abusata di “servizi segreti deviati”, proponendo una lettura più radicale: quella di un’azione consapevole, deliberata, volta a mantenere l’Italia all’interno dell’orbita atlantica e a garantire l’“ordine”, anche a costo di sacrificare vite innocenti e deviare le indagini giudiziarie.

La sentenza riconosce infatti l’aggravante dell’intralcio al lavoro degli inquirenti dell’epoca, confermando come la macchina dei depistaggi non fu frutto di improvvisazione, ma parte integrante di una strategia politico-istituzionale. La volontà di proteggere “estremisti neri di tutte le età” – come scrive Bianconi – è ormai un dato acquisito nei principali procedimenti relativi a quella stagione di violenza politica.

Questa novità giudiziaria, pur giungendo a distanza di oltre mezzo secolo, rappresenta un passo importante nella ricostruzione della verità storica e giudiziaria su uno degli episodi più tragici e simbolici dell’epoca della “strategia della tensione”. La memoria delle vittime, l’impegno degli antifascisti e la richiesta di giustizia che per decenni si è levata da Brescia trovano oggi un ulteriore riconoscimento nelle aule dei tribunali.

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