domenica 13 aprile 2025

Processo alla Resistenza Palestinese

 Lettera al Giudice

Sabato 1 Marzo 2025

Anan Yaeesh – dichiarazione spontanea ex art 421 cpp

“Desidero iniziare con i miei saluti alla Corte e a tutti i presenti.

Esiste sempre la legge, ma anche lo spirito della legge; pertanto, vorrei chiedere all’Onorevole Giudice di concedermi il minimo diritto umano nei confronti del mio Paese, osservando un minuto di silenzio per le anime dei bambini, delle donne e dei martiri della Palestina.

Innanzitutto, desidero affermare la mia fiducia nel sistema giudiziario italiano e riconoscerne la legittimità.

Tuttavia, mi oppongo all’essere processato in Italia, in quanto sono palestinese e non ho commesso alcun reato né in Italia né in qualsiasi altro paese. Il mio fascicolo, come resistente palestinese, è conosciuto dalle autorità di sicurezza italiane, e ho ottenuto il permesso di soggiorno in Italia e la protezione speciale dopo che la mia richiesta di asilo era stata respinta dal Tribunale di Foggia. Pertanto, signor Presidente, considero il mio arresto e il mio processo qui illegittimi, poiché l’arresto stesso, sin dal primo momento, è stato compiuto in contrasto con il diritto internazionale umanitario, con lo statuto delle Nazioni Unite, con la Convenzione di Ginevra e con i due protocolli aggiuntivi, e tutto ciò che ne è derivato è anch’esso illegale; ciò che si fonda sull’illegittimità, infatti, è anch’esso illegittimo.

Se riconoscete la legittimità dello Stato di Palestina, allora la richiesta di estradizione avanzata nel gennaio dello scorso anno nei miei confronti avrebbe dovuto essere presentata attraverso il governo del mio Paese. Se, invece, considerate la Palestina come un territorio illegalmente occupato da una potenza coloniale, allora la resistenza è un diritto legittimo e non dovreste arrestarmi qui per tale motivo.

Sfortunatamente, signor Giudice, ho preso visione delle vostre osservazioni sul caso e, con rammarico, ne ho dedotto che considerate il palestinese terrorista non per la, legittima, resistenza che porta avanti contro uno stato occupante, ma perché riconoscete Israele come uno Stato amico. Se in ballo vi fosse stato un altro paese occupante, la Russia ad esempio, avreste riconosciuto la legittimità della resistenza palestinese. Non mi state processando in base al diritto internazionale, ma in base ai vostri rapporti diplomatici, solo perché Israele è considerato un alleato del governo italiano, un partner commerciale, e ritenete legittime tutte le azioni che esso porta avanti. Tanto vale allora cambiare il nome delle corti internazionali e umanitarie in “Corti degli amici”.

Volete che mi difenda dalle accuse a mio carico, ma mi vergogno di cercare l’assoluzione da accuse che per me rappresentano un motivo di onore. Non voglio difendermi dall’accusa di avere dei diritti e di averli rivendicati, o di aver tentato di liberare la mia gente e il mio Paese dall’oppressione coloniale. Giuro che non intendo essere assolto dalla legittima resistenza contro l’occupazione sionista. La resistenza palestinese è uno dei fenomeni più nobili conosciuti dalla storia.

Piuttosto, mi vergogno di trovarmi in una stanza calda, anche se in carcere, mentre i bambini di Gaza muoiono di freddo, fame e sete. Mi vergogno del buon trattamento ricevuto dalle autorità carcerarie qui, mentre i miei fratelli prigionieri nelle carceri israeliane vengono sottoposti ai peggiori tipi di tortura, oppressione, sevizie.

Signor Giudice, su tutti i miei documenti rilasciati in Italia non è riportato il nome “Palestina”, ma quello di “Territori occupati”. Quindi, sapete che quella terra è occupata e, di conseguenza, in base alle convenzioni firmate dal vostro Paese, dovete ritenere legittima la resistenza contro l’entità occupante. Perché allora mi ritrovo oggi detenuto da parte vostra?

Come partigiano palestinese sono costretto ad osservare che da un punto di vista politico il mondo adotta due pesi e due misure: colui che è più forte e appoggiato dagli USA è colui che prevale.

Ma la Giustizia, il diritto, utilizza anch’esso lo stesso metro di giudizio, due pesi e due misure, oppure saranno le leggi a prevalere nelle aule di Tribunale?

Sarebbe giusto, se considerando i coloni che occupano la terra di Palestina senza diritto né legittimità, dei civili, solo perché non indossano le divise dell’esercito israeliano, aveste lo stesso giudizio nei confronti della resistenza palestinese, anch’essa infatti è composta da civili e non da militari, in quanto la Palestina non possiede uno Stato e neppure un esercito con cui difendersi dagli aggressori. Entrambi impugnano le armi e uccidono; l’unica differenza è che la resistenza palestinese difende la propria terra, il proprio popolo e i propri diritti negati, e non uccide bambini, donne o civili se non per errore. Nel corso degli anni, questi errori non hanno mai superato l’uno per cento, mentre i coloni sistematicamente attaccano i civili indifesi. Da anni uccidono donne e bambini, bruciandoli addirittura all’interno delle loro case, come hanno fatto a Hebron uccidendo oltre 30 fedeli nella Moschea di Abramo, o come hanno fatto con la famiglia Dawabsha, con Iman Hejju, con Mohammad al-Durrah, o come hanno fatto nel villaggio di Jatt il 16 agosto e in molte altre occasioni, con lo scopo di incutere terrore nei palestinesi e obbligarli a lasciare la propria terra; i coloni seguono gli insegnamenti della Haganah e dell’Irgun.

Nulla può testimoniarlo meglio di quanto recentemente dichiarato in una lettera dal Direttore dello Shin Bet israeliano, che ha riconosciuto che i coloni sono gruppi terroristici e che le autorità israeliane dovrebbero arrestarli e reprimerli. Tuttavia, la risposta di Benjamin Netanyahu è stata fornire ai coloni oltre10.000 fucili.

Ma d’altronde cosa aspettarsi da Netanyahu riconosciuto dalla Corte Penale Internazionale come criminale di guerra per i massacri compiuti nei confronti dei palestinesi.

Il Tribunale dell’Aja ha emesso un mandato di cattura nei suoi confronti nel caso arrivasse in Europa, ma, nonostante ciò, il governo italiano ha dichiarato che sarà il benvenuto in Italia e ha rifiutato la decisione della Corte, disconoscendone la legittimità.

È il governo che ha deciso di arrestarmi su richiesta israeliana, attribuendomi l’appellativo di terrorista. Alla luce di ciò, posso affermare di non vedere nessuna legge in questo paese che non sia quella del più forte; tutto il resto sono solo finzioni che vengono, con la forza, imposte ai più deboli.

Nella prima udienza estradizionale di febbraio 2024, ho chiesto alla Corte di Appello e al Procuratore Generale di non consegnare i contenuti dei miei telefoni cellulari agli israeliani, in quanto contenevano informazioni riservate che detenevo in qualità di resistente palestinese, di comandante partigiano. Mi è stato risposto che ciò non sarebbe accaduto, poiché erano consapevoli che eravamo in guerra e che l’Italia è neutrale. Tuttavia, sono rimasto sorpreso nel sapere che ad aprile scorso tutte le informazioni contenute nei miei cellari sono state passate agli israeliani. In questo modo, avete violato ogni principio di sicurezza e lo stesso diritto internazionale, diventando di fatto partecipi degli israeliani in questa guerra, aiutandoli nella repressione delle legittime aspirazioni di un popolo oppresso.

Le donne di tutta la terra non sono state capaci di dare vita a resistenti come quelli palestinesi.

Signor Giudice, contro di noi si sono schierate tutte le nazioni e gli eserciti del mondo, pensando di liquidare la nostra causa. Ma la nostra causa non finirà finché ci sarà un solo bambino palestinese in vita. I nostri diritti li riavremo. Non chiediamo pietà a nessuno, non ci inchiniamo davanti a nessuno, anche a costo di essere tutti uccisi, arrestati o deportati. I palestinesi non abbasseranno la testa né mendicheranno pietà, perché abbiamo dalla nostra parte la ragione. E se nessuno ci restituirà i nostri diritti in vita, crediamo che, dopo la morte, ci ritroveremo davanti a un giudizio che sarà il più giusto: quello di Dio, che non negherà il diritto a nessuno e ridarà a ogni oppresso i suoi diritti, forte o debole che sia, perché tutti, il giorno del giudizio, saranno uguali.

Signor Giudice, in passato, sono stato sottoposto decine di volte alla tortura. Sono anche stato vittima di tentati assassinii da parte di Israele, sia in Palestina che all’estero. Nel mio corpo vi sono 11 proiettili e oltre 40 schegge; non ho un osso che non sia stato rotto. Non ho un passato, se non alcuni ricordi e foto di amici uccisi per mano dell’occupazione, e di un’amica giustiziata a sangue freddo davanti ai miei occhi. Ho una famiglia che non vedo da lunghi anni e due genitori morti senza realizzare il loro sogno di rivederci un’ultima volta. Ho una patria devastata, un popolo sfollato, e persino le nostre case sono state demolite dai bulldozer israeliani.

Ciononostante, non ho mai fatto un passo indietro né esitato nel rivendicare il diritto del mio paese alla libertà, e non ho mai chinato il capo davanti a nessuno. Questo perché credo fermamente in questa causa. Cosa sarà mai essere ucciso per la libertà del mio paese e del mio popolo? Cosa sarà mai trascorrere anni in carcere per la mia causa? Specie considerando che vi sono oltre 10.000 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, e io sono una parte indivisibile di loro. Se vi è una cosa che mi rattrista, è che tutti i miei compagni hanno avuto l’onore di cadere martiri, lottando per la Palestina, nutrendo con il loro sangue quella terra di pace e amore, violata dall’occupazione sionista. E io non ero al loro fianco.

Non amiamo la morte; al contrario, siamo un popolo che ama la vita più di ogni altra cosa. Tuttavia, preferiamo la morte con dignità e onore al vivere nell’umiliazione, con i nostri diritti negati. Signor Giudice, noi crediamo che la Palestina lo meriti e che la nostra amata Gerusalemme abbia un caro costo, che ogni palestinese è disposto a pagare con la propria anima.

Quando la Palestina chiama, ferita, ha solo noi, suoi figli, disposti a difenderla con l’anima e con il sangue. Chi non difende la propria madre quando ha bisogno di lui, un domani non avrà il diritto di essere seppellito nella sua stessa terra, annaffiata dal sangue dei martiri. È un figlio indegno, che verrà respinto dalla sua stessa terra e non sentirà mai calore, né in vita né in morte.

Tutti voi avete una patria nella quale vivere in tranquillità e sicurezza, tranne noi palestinesi. La nostra patria vive in noi, e siamo disposti a sacrificare l’anima in sua difesa. È lei che ci dà dignità e onore, e questo lo possono comprendere solo i liberi di questa terra; siamo un popolo che non si arrende, è vittoria o morte.

Come potete accusarmi di terrorismo, mentre riconoscete la legittimità del movimento Fatah, del quale esistono uffici e rappresentanze in tutto il mondo, tra cui l’Italia, non è un atteggiamento falso e ipocrita?

L’Italia ha anche accolto il leader e fondatore del nostro movimento al Parlamento italiano per ben due volte. In quell’occasione, egli venne in Italia vestito con la propria divisa militare e armato, e dall’Italia pronunciò un discorso che fu ascoltato dal mondo intero. Lo stesso è stato fatto con l’attuale presidente, Mahmoud Abbas.

Se lo sguardo strabico della giustizia affermerà che i resistenti palestinesi sono terroristi e non partigiani avallerà la politica del più forte, la legge della giungla, dove il più forte e brutale prevale.

Signor Giudice, il popolo italiano non è e non sarà mai nostro nemico; merita tutto il meglio e il nostro rispetto, è un popolo amico che ha sempre sostenuto la causa palestinese. I nostri nemici sono gli israeliani che occupano la nostra terra, e nessun altro.

L’entità israeliana è un’entità occupante e terrorista, che non rispetta e non ha mai rispettato, nella sua storia, le leggi internazionali. Ha una storia colma di tradimenti. Hanno assassinato, nel corso degli anni, molti palestinesi in tutto il mondo: in Norvegia, Ungheria, Bulgaria, anche qui in Italia, in Malesia e in diversi paesi arabi. Essi non riconoscono nessuna legge che non sia la loro, nessuna legittimità che non sia la loro, e guardano a tutti coloro che non sono israeliani come loro subordinati.

Oggi definiscono le organizzazioni delle Nazioni Unite come terroristiche, come l’UNRWA, e l’ONU come un covo di antisemiti, e con tutta insolenza attaccano anche il Papa con la stessa accusa infamante. Diventa un nemico da prendere di mira chiunque non si allinei con loro.

Noi Palestinesi siamo un popolo libero e non accetteremo mai di essere gli schiavi di nessuno.

In questi ultimi giorni, davanti agli occhi dell’intero mondo, l’esercito israeliano ha sfollato oltre 40 mila palestinesi dalle proprie case a Tulkarem, bruciando abitazioni, devastando strade, ospedali, uccidendo donne e bambini; lo stesso accade anche a Jenin. Continuano a occupare anche ora, mentre mi trovo in quest’aula, commettendo i peggiori massacri contro i civili inermi, mentre voi tacciate il nostro difenderci di terrorismo; su quanto accade siete divenuti ciechi e sordi, perché non vi esprimete?

Signor Giudice, l’entità sionista uccide e distrugge in Palestina sin dal 1947, e non dal 7 ottobre. Ma il mondo è rimasto immobile e in silenzio, e il dolore lo prova solo chi riceve la ferita.

Ci troviamo ad affrontare una violenza squadrista, nazi-fascista, così come il popolo italiano ha affrontato l’aggressione e la violenza nazista tedesca. La differenza tra noi e voi, però, è che dopo più o meno 20 anni, voi siete riusciti a liberarvi, mentre noi, dopo 75 anni, ci ritroviamo ancora a resistere.

Signor Giudice, se la resistenza palestinese, legittimata da tutte le corti internazionali, a cui l’Italia ha aderito e riconosce legittimità, oggi la considerate terrorismo, allora, stando allo stesso principio, anche la resistenza italiana contro Mussolini, il fascismo e la Germania nazista dovrebbe essere definita terrorismo.

Signor Giudice, nel corso della sua storia l’occupazione israeliana non ha rispettato né le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza né le decisioni della Corte Internazionale, potete dirmi che fine hanno fatto gli Accordi di Oslo e Camp David, e che fine hanno fatto le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 242 e 338?

Riuscite a censire i palestinesi uccisi nel corso dell’aggressione israeliana a partire dal 1947 fino al giorno d’oggi? Oppure il numero di profughi cacciati? Come si esprime su questo il vostro diritto e la vostra legge?

Signor Giudice, la madre palestinese è come tutte le madri di questa terra. Immaginate con me di svegliarvi ogni mattina, mandare vostro figlio a scuola, preparargli da mangiare e, al momento di riaccoglierlo a casa al suo ritorno, vederlo tornare avvolto in un telo bianco, ucciso da un soldato israeliano, e doverlo stringere per l’ultima volta.

Immaginate, a Gaza, un padre con sua moglie e nove figli che si trovano senza cibo. Il padre esce per cercare qualcosa da mangiare; al suo ritorno ritrova tutta la famiglia morta sotto le macerie, uccisa da un bombardamento sionista.

Qualcuno di voi può alzarsi e dire che Israele è uno Stato occupante, oppressore e terrorista? Questa verità la sapete tutti in cuor vostro, ma nessuno di voi può dirla ad alta voce, perché vi ritrovereste accusati di antisemitismo, perdereste il vostro lavoro o potreste trovarvi a dividere con me il tavolo a pranzo in carcere, con un’accusa di terrorismo. Per questo dico e ripeto che forse i palestinesi sono i soli liberi in questo mondo di schiavi.

Viva la Palestina libera e araba

Viva Gerusalemme, sua eterna capitale

Pace all’anima dei martiri e dei bambini di Palestina

Saremo sempre la prima linea di difesa fino alla liberazione.

 

 

 

 

Comunicato stampa del collegio difensivo dei tre palestinesi processati all’Aquila per terrorismo in ordine alle gravi violazioni del diritto di difesa conseguenti alle decisioni assunte dalla Corte di Assise nella prima udienza dibattimentale. 

 

Un giusto processo o un processo sommario, la giustizia o lo scalpo? 

 

Nel mentre si sta consumando sotto gli occhi di ogni essere umano a Gaza e in Cisgiordania una delle maggiori tragedie a cui l’essere umano abbia mai assistito, si celebra all’Aquila, città incastonata tra i monti imbiancati del Gran Sasso d’Italia, il processo per terrorismo contro tre palestinesi accusati di sostenere la resistenza armata a Tulkarem, in Cisgiordania, contro l’occupazione militare israeliana. 

 

In data 2 aprile 2025 si è tenuta presso la Corte di Assise de l’Aquila la prima udienza del processo contro Yaeesh Anan Kamal Afif, Doghmosh Mansour e Irar Ali  accusati di associazione terroristica ex art 270 bis cp perché unitamente alla resistenza palestinese della Cisgiordania avrebbero partecipato moralmente alla lotta armata contro l’occupante straniero, fenomeno resistenziale ricondotto dalla magistratura requirente e giudicante alla categoria del terrorismo invece che al legittimo diritto alla autodeterminazione dei popoli.  

 

Ebbene in primo luogo la Corte – diversamente dal Giudice dell’Udienza Preliminare che, in accoglimento dell’eccezione difensiva, aveva escluso dal fascicolo per il dibattimento l’acquisizione di 22 verbali di interrogatori di prigionieri palestinesi condotti prima dallo Shin Bet e successivamente dalla polizia israeliana, e ricevuti per rogatoria internazionale – ha acquisito 15 dei predetti verbali. In particolare, la Corte ne ha espunto dalla disposta acquisizione unicamente 5 rispetto ai quali al prigioniero palestinese non era stata neppure concessa la possibilità di contattare telefonicamente un difensore. 

 

Ad avviso della difesa l’acquisizione dei predetti verbali rappresenta una palese violazione dei principi giuridici su cui si fonda la civiltà giuridica del paese di Verri e Beccaria e ci accomuna ai sistemi di stampo autoritario rappresentando uno strappo, un vulnus ai principi su cui si fonda il giusto processo. 

Ciò, in primo luogo, sulla scorta del fatto per cui le principali associazioni internazionali in materia di diritti umani, ossia Amnesty International e Human Rights Watch, associazioni ritenute affidabili anche dalla giurisprudenza nazionale, hanno costantemente e ancora recentemente ribadito come Israele “sottoponga a trattamenti crudeli e inumani ai danni dei detenuti in violazione del divieto di tortura” i prigionieri palestinesi nel corso degli interrogatori per ottenere confessioni. Ricorso sistematico che è stato il motivo per cui la stessa Corte di Appello dell'Aquila  aveva revocato la misura cautelare della custodia in carcere alla quale era sottoposto lo Yaeesh nell'ambito della procedura estradizionale ritenendolo non estradabile per sussistenza della condizione ostativa di cui all’art. 705 comma 2 lett a) e c) cpp. Pratica della tortura che trova positivo riscontro nello stesso governo israeliano, in quanto la stessa Corte Costituzionale israeliana dal 1999 consente la possibilità del ricorso a tecniche di pressioni fisiche sul detenuto nel corso degli interrogatori nei casi della cd. “bomba ad orologeria” ed esentando da ogni responsabilità gli agenti dei servizi segreti. 

Inoltre, in quanto gli atti in esame sono fondati sulla deportazione dei palestinesi dal territorio occupato a quello della potenza coloniale occupante, Israele, e pertanto sulla violazione dell'art. 49 della Quarta Convenzione di Ginevra che costituisce violazione grave ai sensi dell'articolo 147 della Convenzione stessa, integrando in tal modo un crimine di guerra. 

 

Ancora, in quanto nel corso degli interrogatori condotti dallo Shin Bet i detenuti palestinesi – i quali tra l’altro sono sottoposti alla legge eccezionale marziale che è applicata dal sistema giudiziario militare, dai tribunali militari, e dunque dall’autorità legata al potere esecutivo – sono privati di qualsiasi possibilità di interloquire con un difensore, mentre nel successivo interrogatorio innanzi alla polizia israeliana è consentita la sola comunicazione telefonica con lo stesso ma comunque non la sua partecipazione. 

 

Risulta al contempo evidente come il fatto che la giurisdizione è esercitata nei confronti dei palestinesi non dall'autorità giudiziaria, ma bensì da quella legata all'esecutivo – ossia dai tribunali militari, il cui personale, compresi giudici e pubblici ministeri, è composto da membri delle forze d'occupazione, spesso dalle stesse unità coinvolte in "azioni ostili" contro il popolo palestinese, in cui persino  il tribunale militare d'appello opera sotto la supervisione del Procuratore Generale Militare - è tale da minare lo stesso Stato di Diritto per come concepito ai sensi della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, dalla stessa Corte Costituzionale e dal codice di rito, ma anche ai sensi del Patto Internazionale sui diritti civili e politici, che all'art. 10 prevede il diritto ad un giudice indipendente ed imparziale fondamentale per garantire un processo equo e giusto. Il predetto sistema risulta altresì discriminatorio nella misura in cui i palestinesi sono sottoposti ad una legislazione deteriore rispetto a quella che Israele applica ai propri cittadini, in quanto i coloni in Cisgiordania vengono giudicati da corti civili. 

Pertanto, l’acquisizione dei predetti verbali ad avviso della difesa è lesiva del diritto di difesa, in particolare del principio del contraddittorio nella formazione della prova,  – non avendo partecipato all’assunzione degli stessi nè la difesa degli attuali imputati né quella dei detenuti palestinesi - nonché, perché alla base degli stessi sussiste un crimine di guerra, la violazione dei diritti umani, e gli atti discriminatori posti alla base degli atti stessi e dell’ordine pubblico processuale, risolvendosi complessivamente gli interrogatori in esame in una patente violazione degli artt. 111 e 27 Cost., degli artt. 3 e 6 della Cedu e dell’art. 10  del Patto Internazionale sui diritti civili e politici. *** 

Inoltre, chiamata a decidere sulle richieste di prove, la Corte ha ammesso solo tre  testi rispetto ai complessivi 47 tra consulenti e testimoni articolati dalle difese nelle tre diverse liste testi separatamente presentate per ciascun imputato e così suddivisi: 9 consulenti tra giuristi esperti di diritto internazionale umanitario, professori universitari docenti in diverse discipline tutte attinenti ai fatti per cui è processo, consulenti esperti di formazioni armate mediorientali e in particolare di quelle operanti nella città di Tulkarem; nonché testimoni scelti tra funzionari di organizzazioni internazionali, cooperanti e volontari impegnati in progetti in Cisgiordania e nella città di Tulkarem in particolare; cooperanti aggrediti da Coloni israeliani nel corso delle loro missioni;  giornalisti residenti in Palestina. 

A titolo esemplificativo, la difesa aveva indicato come consulenti nominativi quale Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite; la Prof.ssa Alessandra Annoni, docente di diritto internazionale a Ferrara; Prof. Leopold Lambert chiamato a riferire sui suoi studi relativi all’architettura degli insediamenti israeliani in Cisgiordania; Daniele Garofalo esperto di formazioni militari in grado di riferire sulle azioni delle Brigate presenti a Tulkarem, Prof. Francesco Chiodelli, ecc.  

Ovvero, testimoni come Luisa Morgantini, Stefania Ascari, Chiara Cruciati, Cecilia 

Dalla Negra, Angelica Giombini, Salah Hammouri, Ferdinando Capovilla, Don 

Nandino, di Pax Christi, nonché l’ex capo dello Shin Bet Ronen Bar, servizio di sicurezza interna di Israele, dal 2021 al 2025, in merito alle aggressioni dei coloni a danno della popolazione palestinese e alle sue affermazioni su “il terrorismo ebraico è fuori controllo ed è divenuto un reale pericolo per la sicurezza nazionale”  ecc. 

Ebbene, la Corte ha ammesso unicamente tre testimoni, tra l’altro tutti e tre inseriti unicamente nella lista testi di un solo imputato, quindi negando alcuna possibilità di difesa agli altri due, accogliendo la sola testimonianza di Martina Lovito, volontaria italiana, rispetto alla quale però non è stata ammessa la deposizione concernente l’aggressione dalla stessa subita da parte dei coloni israeliani nel luglio del 2024; la moglie dell’imputato; Simone Sibilio, consulente della difesa rispetto al significato da attribuire alle espressioni linguistico-dialettali usualmente utilizzate dalla popolazione palestinese e presenti nelle numerose conversazioni oggetto del presente giudizio. 

Pertanto sui fatti compiuti in Cisgiordania riferirà la sola Digos dell’Aquila, agli occhi dei Giudici la più qualificata a rendere conto di una sessantennale occupazione e delle sue peculiari connotazioni storiche, geografiche, fattuali, giuridiche e umane. 

E questo è solo l’inizio. 

Avv.  Pamela Donnarumma - Avv. Ludovica Formoso -  Avv. Flavio Rossi Albertini 

da qui

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