La politica italiana ha un talento unico: riesce a tradirti sempre nello stesso modo, ma ogni volta fingendo sia la prima; basta leggere un voto parlamentare per capire che è finita lì, senza bisogno di procès-verbaux, senza bisogno di editoriali indignati, senza bisogno di analisi sociologiche. Il tradimento è già tutto in quella riga: YES. YES. YES. Tutti YES.
È il caso
della votazione del Parlamento Europeo con cui la “sinistra del nuovo
millennio” – quella che parla di pace, diritti, diplomazia, mondo multipolare –
ha deciso di schierarsi, per l’ennesima volta, con l’escalation militare, lo
scontro permanente, la cancellazione di qualunque tentativo negoziale tra Stati
Uniti e Russia, il riarmo sistematico dell’UE e la prosecuzione infinita della
guerra in Ucraina.
Un voto che
dovrebbe far scattare i defibrillatori nei circoli progressisti; invece, sui
social dei diretti interessati, silenzio di tomba. Selfie, bandierine
arcobaleno, linguaggio inclusivo, meme, citazioni edificanti: tutto, tranne
quello che contava davvero.
Nello
screenshot della votazione si vede precisamente chi ha alzato la mano in quel
YES così sciolto, così sereno, così conforme: Cristina Guarda, Ignazio Marino,
Leoluca Orlando, Ilaria Salis, Benedetta Scuderi. Tutti schiacciati sul tasto
verde della risoluzione più atlantista degli ultimi mesi.
Voti che
dicono più di mille manifesti elettorali.
Voti che
fanno più male di qualsiasi propaganda di destra.
Voti che
certificano che la sinistra liberal italiana non è semplicemente cambiata: è
migrata su un altro pianeta politico, dove la NATO è “pace”, Lockheed Martin è
“diritti umani” e la diplomazia è una bestemmia geopolitica.
E mentre
votavano la guerra infinita, il Sole 24 Ore registrava il
sorpasso delle 70.000 vittime a Gaza. Settantamila. Un orrore biblico, un
genocidio trasmesso quasi in diretta, un massacro che dovrebbe scuotere ogni
coscienza.
Risultato?
Nessuno di
questi paladini del “progressismo etico” ha collegato le due cose: il voto per
alimentare il più grande riarmo europeo degli ultimi trent’anni… e un genocidio
sostenuto militarmente dall’Occidente.
Pace sì, ma
solo su TikTok.
Poi c’è
stata lei, Ilaria Salis, che nella stessa plenaria ha regalato il secondo
capolavoro della settimana: un discorso in cui, distinguendo fra trafficanti
e passeur (distinzione corretta, se non fosse usata per
sdoganare l’indicibile), ha paragonato questi ultimi a “chi aiutava gli ebrei a
fuggire dai lager”.
Un paragone
che – in un qualsiasi Paese dotato di memoria storica – sarebbe bastato da solo
a scatenare un dibattito nazionale.
Invece no.
Nella
sinistra moral-progressista funziona così: la storia è un serbatoio di
metafore, non un insieme di fatti.
E se la
metafora scatena emozione, meglio ancora.
Ma il
paragone è una mina politica per almeno quattro motivi.
Primo:
cancella la differenza tra chi, durante il nazifascismo, rischiava la vita
gratuitamente per salvare perseguitati destinati alla camera a gas… e chi oggi
gestisce un business multimilionario su tratte illegali, schiavitù moderna,
barconi marcescenti, collusioni con milizie.
Secondo:
elimina ogni nesso fra le guerre dell’Occidente e le migrazioni. Perché dire
che i passeur sono eroi funziona solo se ti dimentichi che
molti disperati scappano da guerre provocate proprio dalla NATO.
Terzo:
strappa dal discorso l’unico punto politico reale, e cioè che il fenomeno
migratorio ricade sulle periferie, non nella ZTL linguistico-progressista dove
la sinistra vive e lavora.
Quarto:
trasforma la politica in catechismo. Se i passeur sono santi
laici, chi li critica diventa automaticamente un peccatore sociale.
Stop del
dibattito. Amen.
Tutto
questo, però, è solo il sintomo, non la malattia.
La malattia
è strutturale: la sinistra liberal europea – e AVS in Italia – non è più una
forza popolare, sociale, materiale, radicata. È una forza morale. Una ONG
travestita da partito.
E le ONG non
rappresentano i lavoratori.
Rappresentano
cause astratte, narrative globali, comunità culturali specifiche.
Non il
popolo, ma una community.
È per questo
che AVS vota la guerra mentre si definisce “pacifista”.
Perché la
pace, nel loro vocabolario, non è un processo negoziale: è un valore etico.
E i valori
etici – come sanno bene gli strateghi della politica USA – si applicano solo
dopo che hai vinto la guerra, mai prima.
Una pace che
prevede solo la vittoria totale di una parte non è pace: è propaganda morale
travestita.
E allora la
domanda diventa: a chi risponde questa sinistra?
Perché non
risponde più alle fabbriche, ai sindacati (quelli veri), alle comunità locali,
ai territori agricoli, ai precari, agli operai della logistica, ai lavoratori
poveri, al ceto medio massacrato dall’inflazione, agli studenti senza casa.
No. Risponde
a una rete di fondazioni e ONG transnazionali, accademie cosmopolite, think
tank finanziati da centri studi atlantici, centrali mediatiche che
creano la narrativa dominante.
Sono dentro
quell’ecosistema. Ne respirano l’aria, ne condividono la lingua, ne replicano
la morale.
Il voto è
solo la logica conseguenza di quella dipendenza.
E c’è un
altro non detto che in Italia non si vuole affrontare: l’Europa sta costruendo
un’economia di guerra permanente.
Non è uno
slogan: sono documenti ufficiali.
Lo European Defence
Fund ha ricevuto aumenti record.
Le industrie
belliche europee hanno ottenuto corsie preferenziali per l’espansione degli
stabilimenti.
Si discutono
eurobond dedicati esclusivamente alla difesa.
Il target
del 3% del PIL per le spese militari non è più un tabù.
Siamo già
dentro una ristrutturazione industriale di tipo militarista, come negli anni
’50 ma senza la Guerra Fredda come alibi.
E AVS che
fa?
Si mette
dalla parte della storia?
Propone
neutralità, diplomazia, multipolarismo?
Manco per sbaglio.
Vota YES —
mentre già immagina il prossimo carro del Pride — e il pacifismo resta per le
stories da quindici secondi.
Poi ci si
chiede perché il popolo non la sopporta più.
È semplice:
non perché “la gente è ignorante”, ma perché la gente è lucida.
Capisce
benissimo le conseguenze materiali di un voto.
Capisce che
chi vota per la guerra non può parlare di pace.
Capisce che
chi difende i passeur senza parlare delle periferie non vive
nella realtà.
Capisce che
chi esalta la globalizzazione non deve fare i conti con gli stipendi da 1.100
euro.
Capisce che
chi fa il moralista su tutto non dice mai una parola sul capitale, sulla NATO,
sulle multinazionali dell’armamento.
È la
sinistra che non capisce la gente.
Non il
contrario.
E allora,
che si fa?
Si accetta
il declino?
Si lascia
campo libero ai liberisti mascherati da ambientalisti?
No.
Si dice la
verità: questa sinistra non tornerà più quella che era.
È finita.
Ha cambiato
DNA.
Ha scelto il
suo campo: non quello dei popoli, ma quello delle élite globali occidentali.
E quando un
partito sceglie volontariamente di rappresentare gli interessi delle élite, non
può più rappresentare il popolo.
Il popolo
dovrà ricostruire da sé la sua sinistra:
una sinistra
sovranista, popolare, antimilitarista, antiglobalista, ecologista materiale,
non identitaria, non moralista, non succube della NATO, non inginocchiata alla
Commissione Europea.
Una sinistra
che difenda confini e diritti, pace e lavoro, reindustrializzazione e
agricoltura, welfare e diplomazia.
Una sinistra
che sa distinguere fra solidarietà e business, fra pace e guerra, fra
autodeterminazione e ingerenza.
Ed è solo
quando questa sinistra nascerà davvero che potremo finalmente smettere di
leggere voti come quello di Strasburgo.
E potremo
finalmente smettere di ascoltare chi predica la pace mentre vota la guerra.
Perché non
c’è nulla di più ipocrita di una sinistra che ti dice “siamo per la vita”
mentre schiaccia il tasto che manda a morire qualcun altro.
Che vadano
tutti a casa. È il popolo che deve tornare a scrivere la sua storia.
E questa
sinistra, oggi, è solo una nota a piè di pagina della NATO.
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