sabato 6 dicembre 2025

Quando la sinistra si fa NATO - Michele Agagliate

La politica italiana ha un talento unico: riesce a tradirti sempre nello stesso modo, ma ogni volta fingendo sia la prima; basta leggere un voto parlamentare per capire che è finita lì, senza bisogno di procès-verbaux, senza bisogno di editoriali indignati, senza bisogno di analisi sociologiche. Il tradimento è già tutto in quella riga: YES. YES. YES. Tutti YES.

È il caso della votazione del Parlamento Europeo con cui la “sinistra del nuovo millennio” – quella che parla di pace, diritti, diplomazia, mondo multipolare – ha deciso di schierarsi, per l’ennesima volta, con l’escalation militare, lo scontro permanente, la cancellazione di qualunque tentativo negoziale tra Stati Uniti e Russia, il riarmo sistematico dell’UE e la prosecuzione infinita della guerra in Ucraina.

Un voto che dovrebbe far scattare i defibrillatori nei circoli progressisti; invece, sui social dei diretti interessati, silenzio di tomba. Selfie, bandierine arcobaleno, linguaggio inclusivo, meme, citazioni edificanti: tutto, tranne quello che contava davvero.

Nello screenshot della votazione si vede precisamente chi ha alzato la mano in quel YES così sciolto, così sereno, così conforme: Cristina Guarda, Ignazio Marino, Leoluca Orlando, Ilaria Salis, Benedetta Scuderi. Tutti schiacciati sul tasto verde della risoluzione più atlantista degli ultimi mesi.

Voti che dicono più di mille manifesti elettorali.

Voti che fanno più male di qualsiasi propaganda di destra.

Voti che certificano che la sinistra liberal italiana non è semplicemente cambiata: è migrata su un altro pianeta politico, dove la NATO è “pace”, Lockheed Martin è “diritti umani” e la diplomazia è una bestemmia geopolitica.

E mentre votavano la guerra infinita, il Sole 24 Ore registrava il sorpasso delle 70.000 vittime a Gaza. Settantamila. Un orrore biblico, un genocidio trasmesso quasi in diretta, un massacro che dovrebbe scuotere ogni coscienza.

Risultato?

Nessuno di questi paladini del “progressismo etico” ha collegato le due cose: il voto per alimentare il più grande riarmo europeo degli ultimi trent’anni… e un genocidio sostenuto militarmente dall’Occidente.

Pace sì, ma solo su TikTok.

Poi c’è stata lei, Ilaria Salis, che nella stessa plenaria ha regalato il secondo capolavoro della settimana: un discorso in cui, distinguendo fra trafficanti e passeur (distinzione corretta, se non fosse usata per sdoganare l’indicibile), ha paragonato questi ultimi a “chi aiutava gli ebrei a fuggire dai lager”.

Un paragone che – in un qualsiasi Paese dotato di memoria storica – sarebbe bastato da solo a scatenare un dibattito nazionale.

Invece no.

Nella sinistra moral-progressista funziona così: la storia è un serbatoio di metafore, non un insieme di fatti.

E se la metafora scatena emozione, meglio ancora.

Ma il paragone è una mina politica per almeno quattro motivi.

Primo: cancella la differenza tra chi, durante il nazifascismo, rischiava la vita gratuitamente per salvare perseguitati destinati alla camera a gas… e chi oggi gestisce un business multimilionario su tratte illegali, schiavitù moderna, barconi marcescenti, collusioni con milizie.

Secondo: elimina ogni nesso fra le guerre dell’Occidente e le migrazioni. Perché dire che i passeur sono eroi funziona solo se ti dimentichi che molti disperati scappano da guerre provocate proprio dalla NATO.

Terzo: strappa dal discorso l’unico punto politico reale, e cioè che il fenomeno migratorio ricade sulle periferie, non nella ZTL linguistico-progressista dove la sinistra vive e lavora.

Quarto: trasforma la politica in catechismo. Se i passeur sono santi laici, chi li critica diventa automaticamente un peccatore sociale.

Stop del dibattito. Amen.

Tutto questo, però, è solo il sintomo, non la malattia.

La malattia è strutturale: la sinistra liberal europea – e AVS in Italia – non è più una forza popolare, sociale, materiale, radicata. È una forza morale. Una ONG travestita da partito.

E le ONG non rappresentano i lavoratori.

Rappresentano cause astratte, narrative globali, comunità culturali specifiche.

Non il popolo, ma una community.

È per questo che AVS vota la guerra mentre si definisce “pacifista”.

Perché la pace, nel loro vocabolario, non è un processo negoziale: è un valore etico.

E i valori etici – come sanno bene gli strateghi della politica USA – si applicano solo dopo che hai vinto la guerra, mai prima.

Una pace che prevede solo la vittoria totale di una parte non è pace: è propaganda morale travestita.

E allora la domanda diventa: a chi risponde questa sinistra?

Perché non risponde più alle fabbriche, ai sindacati (quelli veri), alle comunità locali, ai territori agricoli, ai precari, agli operai della logistica, ai lavoratori poveri, al ceto medio massacrato dall’inflazione, agli studenti senza casa.

No. Risponde a una rete di fondazioni e ONG transnazionali, accademie cosmopolite, think tank finanziati da centri studi atlantici, centrali mediatiche che creano la narrativa dominante.

Sono dentro quell’ecosistema. Ne respirano l’aria, ne condividono la lingua, ne replicano la morale.

Il voto è solo la logica conseguenza di quella dipendenza.

E c’è un altro non detto che in Italia non si vuole affrontare: l’Europa sta costruendo un’economia di guerra permanente.

Non è uno slogan: sono documenti ufficiali.

Lo European Defence Fund ha ricevuto aumenti record.

Le industrie belliche europee hanno ottenuto corsie preferenziali per l’espansione degli stabilimenti.

Si discutono eurobond dedicati esclusivamente alla difesa.

Il target del 3% del PIL per le spese militari non è più un tabù.

Siamo già dentro una ristrutturazione industriale di tipo militarista, come negli anni ’50 ma senza la Guerra Fredda come alibi.

E AVS che fa?

Si mette dalla parte della storia?

Propone neutralità, diplomazia, multipolarismo?

Manco per sbaglio.

Vota YES — mentre già immagina il prossimo carro del Pride — e il pacifismo resta per le stories da quindici secondi.

Poi ci si chiede perché il popolo non la sopporta più.

È semplice: non perché “la gente è ignorante”, ma perché la gente è lucida.

Capisce benissimo le conseguenze materiali di un voto.

Capisce che chi vota per la guerra non può parlare di pace.

Capisce che chi difende i passeur senza parlare delle periferie non vive nella realtà.

Capisce che chi esalta la globalizzazione non deve fare i conti con gli stipendi da 1.100 euro.

Capisce che chi fa il moralista su tutto non dice mai una parola sul capitale, sulla NATO, sulle multinazionali dell’armamento.

È la sinistra che non capisce la gente.

Non il contrario.

E allora, che si fa?

Si accetta il declino?

Si lascia campo libero ai liberisti mascherati da ambientalisti?

No.

Si dice la verità: questa sinistra non tornerà più quella che era.

È finita.

Ha cambiato DNA.

Ha scelto il suo campo: non quello dei popoli, ma quello delle élite globali occidentali.

E quando un partito sceglie volontariamente di rappresentare gli interessi delle élite, non può più rappresentare il popolo.

Il popolo dovrà ricostruire da sé la sua sinistra:

una sinistra sovranista, popolare, antimilitarista, antiglobalista, ecologista materiale, non identitaria, non moralista, non succube della NATO, non inginocchiata alla Commissione Europea.

Una sinistra che difenda confini e diritti, pace e lavoro, reindustrializzazione e agricoltura, welfare e diplomazia.

Una sinistra che sa distinguere fra solidarietà e business, fra pace e guerra, fra autodeterminazione e ingerenza.

Ed è solo quando questa sinistra nascerà davvero che potremo finalmente smettere di leggere voti come quello di Strasburgo.

E potremo finalmente smettere di ascoltare chi predica la pace mentre vota la guerra.

Perché non c’è nulla di più ipocrita di una sinistra che ti dice “siamo per la vita” mentre schiaccia il tasto che manda a morire qualcun altro.

Che vadano tutti a casa. È il popolo che deve tornare a scrivere la sua storia.

E questa sinistra, oggi, è solo una nota a piè di pagina della NATO.

da qui

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