lunedì 8 dicembre 2025

Giustizia. L’Egitto è vicino - Domenico Gallo

 

Sono già in circolazione i primi sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani al preannunciato referendum sulla legge di riforma costituzionale dell’assetto della magistratura. I sondaggi mostrano una prevalenza del SI di oltre 10 punti. Questo pronostico in realtà non deve impressionare perché nel referendum costituzionale, nel quale non c’è quorum, quello che conta è il numero degli elettori dell’uno e dell’altro schieramento che si recheranno effettivamente a votare. La falsa denominazione della riforma come separazione delle carriere propone un tema astruso per la gran parte del corpo elettorale che, nel referendum sul tema che si svolse il 12 giugno del 2022 vide una scarsissima partecipazione al voto. L’affluenza alle urne fu appena del 20% e votarono Si a un quesito illeggibile, divulgato come separazione delle carriere, appena 5.661.880 elettori. Nel prossimo referendum il corpo elettorale sarà chiamato a pronunciarsi col voto su questioni tecniche relative all’ordinamento giurisdizionale che per la gran parte dei cittadini risultano incomprensibili. Come fa il cittadino comune ad orientarsi sulla separazione delle carriere, sulla divisione in tre del Consiglio Superiore della magistratura, sulla scelta per sorteggio dei membri togati di tali organismi?

Per poter effettuare una scelta il giorno del voto gli elettori dovranno necessariamente affidarsi all’interpretazione autentica della riforma, e agli effetti che potrebbe produrre, come ci vengono prospettati dai suoi artefici. Ha cominciato la presidente del Consiglio Meloni che, di fronte alla bocciatura da parte della Corte dei Conti della delibera CIPESS sul Ponte dello Stretto, ha reagito stizzita qualificando il provvedimento come: «l’ennesimo atto di invasione della giurisdizione sulle scelte del Governo e del Parlamento» e ha precisato che la riforma costituzionale della giustizia rappresenta «la risposta più adeguata a una intollerabile invadenza». Il concetto che la riforma serve a bloccare l’invasione di campo della magistratura nelle scelte del potere politico è stato maggiormente specificato dal sottosegretario alla presidenza Mantovano: «Oggi c’è il blocco delle espulsioni grazie a decisioni giudiziarie, c’è il blocco della sicurezza, della politica industriale che voglia raggiungere certi obiettivi, si pensi all’Ilva grazie a decisioni giudiziarie. C’è un’invasione di campo che deve essere ricondotta». Ha ulteriormente chiarito gli effetti desiderati della riforma il ministro Nordio quando, in un’intervista al Corriere della Sera ha dichiarato: «Mi stupisce che una persona intelligente come Elly Schlein non capisca che questa riforma gioverebbe anche a loro, nel momento in cui andassero al governo». In altre parole, una magistratura addomesticata gioverebbe a qualunque maggioranza politica.

Al di là di tutti i tecnicismi, il senso della riforma è quello di impedire che la magistratura possa fare un’invasione di campo nelle scelte del Governo, anche laddove quelle scelte riguardano settori suscettibili di impattare diritti fondamentali della persona come la salute, la libertà del dissenso, il diritto di essere salvati per i naufraghi. Secondo questa concezione la magistratura deve tutelare i diritti ma non può spingere questa tutela fino al punto di interferire con le scelte della politica.

A questo punto bisogna chiedersi qual è il modello ideale di giustizia a cui aspirano i riformatori nostrani? C’è un paese che nella sua Costituzione assicura la massima protezione alla dignità di ogni persona (articolo 51: «La dignità è un diritto di ogni persona che non può essere violato»), bandisce la tortura (articolo 52), riconosce come inviolabile la libertà personale e garantisce in modo scrupoloso i diritti dell’imputato (articolo 54: «La libertà personale è un diritto naturale che è tutelato e non può essere violato. Salvo i casi di flagranza di reato, i cittadini non possono essere fermati, perquisiti, arrestati […] se non in base a un mandato di arresto giudiziario […]. Tutti coloro la cui libertà è stata limitata devono essere immediatamente informati dei motivi che ne hanno determinato la limitazione, […] e tradotti dinanzi all’autorità inquirente entro ventiquattro ore». È persino prevista in Costituzione l’istituzione di una sorta di Tribunale della libertà: «Coloro che hanno subito una limitazione della libertà hanno diritto di ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria. La sentenza deve essere emessa entro una settimana da tale ricorso, altrimenti il ricorrente deve essere immediatamente rilasciato». La Costituzione detta anche le norme sul giusto processo (articolo 55: «Tutti coloro che sono arrestati, detenuti o hanno la libertà limitata devono essere trattati in modo da preservare la loro dignità. Non possono essere torturati, terrorizzati o sottoposti a coercizione. Non possono essere danneggiati fisicamente o mentalmente. […] Ogni violazione di quanto sopra costituisce un reato e il colpevole sarà punito a norma di legge»). Ovviamente questa Costituzione riconosce formalmente l’indipendenza della magistratura (art. 184), istituisce un Consiglio Superiore presieduto dal Capo dello Stato (art. 185); come la Costituzione italiana, prevede che i giudici sono soggetti soltanto alla legge (art. 186). Ma le norme che disciplinano il potere giudiziario svuotano di contenuto l’indipendenza attribuendo al Capo dello Stato il potere di nominare i vertici degli organi giudiziari. Questo paradiso dei diritti ha un solo neo: si tratta dell’Egitto.

Com’è possibile che in un paese con una Costituzione così “garantista”, un giovane come Giulio Regeni venga arrestato segretamente, torturato e ucciso e che i suoi assassini vengano protetti fino al punto che sia negata all’autorità giudiziaria italiana la possibilità di citarli in giudizio? La risposta è semplice. In quel paese l’indipendenza è stata taroccata per cui non si consente alla magistratura di fare invasioni di campo o di ficcare il naso nelle scelte della politica che riguardano la “sicurezza” del potere politico. L’esperienza egiziana dimostra che tutte le carte dei diritti, anche se fondate su Costituzione, sono carta straccia in assenza di un potere giudiziario realmente indipendente dal potere politico.

L’intento di Giorgia Meloni di addomesticare l’esercizio della giurisdizione per renderlo funzionale alle scelte politiche della maggioranza ha un impatto immediato sulla sicurezza dei diritti dei cittadini. Si possono fare tanti esempi. Quello più eclatante è rappresentato dai fatti del G8 di Genova del luglio 2001, quando il nuovo Governo di destra al potere sperimentò un nuovo modello di gestione dell’ordine pubblico. Nella notte tra il 21 e il 22 luglio, circa 300 agenti di polizia fecero irruzione nella scuola Diaz-Pertini, dove erano accampati i manifestanti, sostenendo di cercare i black bloc responsabili di devastazioni in città. Sottoposero tutte le persone che dormivano nella struttura a un violento pestaggio che provocò lesioni gravi e gravissime, arrestò 93 persone e falsificò le prove per giustificare il blitz. Amnesty International definì l’episodio come «la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale». Questo nuovo modello di gestione dell’ordine pubblico, che uno dei suoi artefici (il vicequestore Michelangelo Fournier) qualificò come “macelleria messicana” (forse sarebbe più esatto definirlo modello egiziano) fallì miseramente. Tutte le persone arrestate furono immediatamente liberate dalla magistratura ligure. La Procura incriminò 25 funzionari e dirigenti di polizia, che poi furono condannati, con sentenza definitiva della Cassazione del 5 luglio 2012 per falsi ideologici e calunnie (nessuno fu condannato per le violenze dirette poiché i reati di lesioni nel frattempo si erano prescritti). I fatti di Genova non si sono più ripetuti per la semplice ragione che il potere politico non può garantire l’impunità per fatti simili fin quando resiste la garanzia di un potere giudiziario indipendente. Taroccare l’indipendenza della magistratura è una via che ci conduce dritti in Egitto.

da qui

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