Ci sono pochi dubbi sul fatto che analisti, esponenti politici, giornalisti del mondo occidentale fondano la propria scelta di campo (o coprono la loro malafede), sovrapponendo il proprio giudizio sul regime interno dei paesi alle loro posizioni di politica estera. Se gli stati non sono democratici – secondo gli standard decisi in occidente – qualunque sia il loro comportamento, in qualunque controversia, hanno torto in partenza, sono dalla parte sbagliata della storia. Il caso più recente di applicazione di tale criterio l’abbiamo osservato in occasione della cosiddetta “guerra dei 12 giorni” tra Israele e Iran. Il fatto che il governo iraniano abbia sottoscritto il trattato di non proliferazione, si sia sottoposto per anni ai controlli degli ispettori dell’AIEA, abbia trattato da ultimo con l’amministrazione Trump non è stato sufficiente a evitare il bombardamento da parte di Israele e degli USA. Poiché l’Iran è uno stato teocratico (anche se la sua realtà effettiva non corrisponde alla caricatura che ne fanno i media occidentali) gran parte dei governanti e dei commentatori europei si è sentita autorizzata ad affermare, senza alcuna vergogna, che Israele – il quale possiede un arsenale nucleare e non si sottopone ad alcun controllo – “ha il diritto di difendersi” e dunque di bombardare chi crede.
Ma il doppio
standard degli esponenti democratici non è solo fallace nel giudicare la
politica estera degli stati sulla base dei loro ordinamenti interni. Alla luce
dell’analisi storica esso appare ingiusto e infondato anche nel giudizio di
merito sulla democrazia che si sceglie come criterio di valore. Prendiamo il
caso di Israele. “L’unica democrazia del Medio Oriente”, ha effettivamente
conosciuto, al suo interno, esperienze democratiche importanti, perfino
socialistiche, con l’istituzione dei Kibbuz, e un certo cosmopolitismo
tollerante. Ma queste si svolgevano, almeno a partire dalla guerra del 1967,
sulla base dell’occupazione dei territori palestinesi, su una politica di
apartheid di un altro popolo, violando il diritto internazionale. Che demo-crazia, potere del popolo, è quella
che si fonda sull’oppressione di un altro popolo? Oggi, dopo
l’involuzione autoritaria degli ultimi decenni, dopo che nel 2018 Israele è diventato lo “stato-nazione del popolo
ebraico”, mentre consuma un genocidio a Gaza, definirlo una democrazia è un
palese oltraggio alla verità.
Ancora più
agevole sarebbe mostrare, solo restando nell’ambito degli ordinamenti
interni, quanto sia inappropriato
definire gli USA uno stato democratico. Emmanuel Todd lo definisce, a ragione,
una “oligarchia liberale”, vale a dire uno stato di diritto, ma in mano a
ristretti gruppi di potere. Basterebbe ricordare come in America perfino
il rito elettorale sia diventato un affare per milionari. Del resto
l’amministrazione Trump si è incaricata di rendere evidente questa realtà anche
ai più distratti. Ma proprio gli USA mostrano quanto fallace e ingiusto sia
elaborare criteri di valore e fare scelte di campo sulla base della della loro
tradizione democratica. Come si fa a schierarsi con un paese perché lo si
considera democratico, mentre opprime altri popoli che hanno diversi
ordinamenti, frutto della propria particolare storia, cultura, colonizzazioni
subite? È senza valore il fatto che gli USA non solo hanno “esportato” rovinose
democrazie, ma molto più spesso hanno abbattuto regimi democratici per imporre
dittature? Come ha ricordato un analista americano che ha potuto esaminare
negli archivi le tabelle delle operazioni della CIA: «Gli Stati Uniti hanno
supportato movimenti autoritari in almeno 44 su 64 operazioni
segrete di cambio di regime, incluse almeno sei operazioni in cui cercarono di
rimpiazzare governi democratici liberali con regimi autoritari illiberali»
(A.O. Rourke, Covert regime change. America’s secret cold war, Cornell
University Press, 2021).
Cosi oggi
quello che ormai appare come un vero pregiudizio, la democrazia presunta quale criterio di valore per giudicare le
relazioni internazionali, impedisce a molti intellettuali e osservatori onesti
di scorgere nell’organizzazione dei Brics il fronte di un nuovo, equo,
pacifico, ordine mondiale. Com’è nel loro programma, solennemente
riproposto a Kazan nel 2024 e a Rio de Janeiro il 6-7 luglio scorso, i grandi
paesi che la compongono perseguono una relazione economica paritaria e cooperativa
tra gli stati del globo, che sfugga al dominio unipolare degli USA. Un
progetto, dunque, di assetto multilaterale, unica via per impedire un conflitto
mondiale. Il fatto che gran parte
di questi paesi siano regimi illiberali è ragione sufficiente per non guardare
con interesse e favore al loro progetto, visto che quello dell’Unione Europea è
la guerra contro la Russia e quello degli USA il conflitto contro la Cina?
https://volerelaluna.it/politica/2025/08/05/il-pregiudizio-democratico/
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