Mohamed Shahin è l’imam della moschea di San Salvario a Torino. Residente in Italia dal 2004, è (anzi era, come si vedrà) titolare di un permesso di soggiorno di lungo periodo, ha moglie e due figli minorenni, è incensurato, è protagonista del dialogo interreligioso nel capoluogo piemontese, partecipa attivamente alla vita politica della città impegnandosi nella diffusione dei valori della Costituzione nella comunità musulmana e facendo della moschea un luogo aperto e di confronto. Sino a qualche anno fa è stato anche docente di “Lingua Araba” alla Scuola di Applicazione dell’Esercito di Torino. È tra i più autorevoli animatori delle manifestazioni cittadine contro il genocidio palestinese, punto di riferimento del movimento pro Pal.
Il
24 novembre scorso, mentre porta i figli a
scuola, viene fermato da operatori di polizia e tradotto in
Questura, dove gli è notificato un decreto di espulsione verso l’Egitto emesso dal ministro
dell’interno “per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato” (con
paralleli decreti di revoca del permesso di soggiorno e di accompagnamento alla
frontiera). Nell’udienza di convalida dell’accompagnamento davanti al giudice
di pace presenta richiesta di protezione internazionale, perché l’Egitto,
considerate le sue prese di posizione contro il regime, non è per lui un paese
“sicuro” (come non lo è stato, tra gli altri, per Giulio Regeni e di Patrick
Zaki…). La richiesta sospende momentaneamente l’esecuzione dell’espulsione ma
il questore, senza indicarne le ragioni, ne dispone il trattenimento,
anziché nel CPR di Torino (città dove ci sono i suoi familiari e i suoi
difensori), in quello di Caltanissetta, all’altro capo della penisola. Il
trattenimento è convalidato dalla Corte d’appello di Torino e la richiesta di
asilo è respinta, con inusitata rapidità, dalla Commissione territoriale di
Siracusa. L’esecuzione dell’espulsione, ancora sospesa a causa dei
ricorsi giurisdizionali proposti (che, peraltro, non hanno un effetto
sospensivo automatico), è sempre in agguato e potrebbe intervenire
a breve. E ciò nonostante una protesta corale che vede in
primo piano esponenti di diverse chiese (tra cui il vescovo di Pinerolo),
dell’associazionismo cittadino (a cominciare dall’Anpi e dalla Cgil),
della società civile e del territorio di riferimento oltre che, evidentemente,
dei movimenti di sostegno alla causa palestinese.
Ma che cosa
ha fatto Shahin, di quali reati si è macchiato per incorrere in
questo trattamento? L’espulsione
è stata disposta, come si è detto, ai sensi dell’articolo 13,
comma 1, del Testo unico sull’immigrazione che la prevede “per motivi
di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato”. Ma quali
siano questi motivi non è indicato nel decreto, che
ne afferma apoditticamente la pericolosità, in considerazione del
suo “percorso di radicalizzazione religiosa”, di “una ideologia
fondamentalista di chiara matrice antisemita” e del suo ruolo di
rilevo “in ambienti dell’Islam Radicale”. Di ciò, peraltro, non è
fornito alcun serio riscontro. Il provvedimento, infatti, si
limita a contestare a Shahin di avere incontrato due
persone successivamente coinvolte in percorsi
di estremizzazione (incontri, peraltro, intervenuti nel 2012 e nel
2018 – sic! – e ritenuti, allora, insignificanti),
di avere partecipato a un blocco stradale durante una
manifestazione per la Palestina e di avere, in un analogo
contesto, svolto un intervento nel quale la dichiarazione di
non essere favorevole alla violenza si accompagnava
all’affermazione che “quanto successo il 7 ottobre” non è un atto di
terrorismo ma di resistenza (almeno stando a una trascrizione
dell’intervento in verità assai confusa e caratterizzata da evidenti
errori). Il rilievo dei primi elementi come indici di una
condotta lesiva della sicurezza dello Stato è all’evidenza nullo,
ma egualmente inconferente è il terzo elemento ché, anche
nell’interpretazione più radicale (e nient’affatto univoca) delle
dichiarazioni in questione, intese come disconoscimento di un crimine di
inaudita gravità, l’affermazione contestata è – e resta
– un’opinione, per di più priva di ogni valenza istigatoria.
La
conclusione è obbligata: il decreto di espulsione del
ministro è un gesto di pura repressione del
dissenso finalizzato a indebolire e criminalizzare il
movimento di solidarietà al popolo palestinese. In una democrazia
– lo abbiamo scritto infinite volte (https://volerelaluna.it/controcanto/2025/11/11/liberta-vigilata/) – le idee si confrontano,
si discutono e, se del caso, si contestano ma non possono essere il
presupposto per interventi repressivi di qualunque natura (in
particolare amministrativa o giudiziaria). Ed è superfluo precisare che la
libertà di parola è a tutela delle minoranze e del pensiero critico ché
la maggioranza e il pensiero dominante non ne hanno, per definizione,
bisogno. L’articolo 21 della Costituzione è chiaro: “Tutti hanno diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni
altro mezzo di diffusione”. La libertà di parola e di espressione del
pensiero non può, dunque, essere sottoposta a limiti se non
quelli previsti dal diritto penale. Pretendere di
contrastarla con strumenti amministrativi e, addirittura, con un provvedimento
di espulsione è fuori dal sistema costituzionale. Ed è un segnale dei tempi bui
in cui viviamo che ciò sia ignorato non solo
dal ministro, ma anche dalla Corte d’appello di Torino che,
nel decreto di convalida del trattenimento di Shahin, si spinge
a indicare come inaccettabile “la possibilità che le parole e la
loro diffusione creino disordine e instabilità“. Sono proprio
queste le parole tutelate dalla Carta fondamentale, non
certo quelle a sostegno dell’ordine costituito e della stabilità del
sistema. La libertà di espressione del pensiero infatti, ieri come
oggi, serve – come è stato scritto da un illustre penalista – “a rendere libero
l’eretico, l’anticonformista, il radicale minoritario: tutti coloro che,
quando la maggioranza era liberissima di pregare Iddio e osannare il Re,
andavano sul rogo o in prigione tra l’indifferenza o il compiacimento dei più”.
Ad essere
sotto attacco, in questa vicenda, è ovviamente la
libertà dell’imam torinese, ma, con essa, anche i
diritti di
tutti, già fortemente compressi con l’ultimo “decreto
sicurezza”, confluito nella legge n. 80/2025 (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2025/05/02/237-professori-di-diritto-pubblico-il-decreto-sicurezza-viola-la-costituzione/ ). C’è, peraltro, un
ulteriore elemento specifico che riguarda la questione
palestinese. Il sostegno alla causa della popolazione di Gaza e della
Cisgiordania è guardato con sfavore e, talora, represso duramente
nell’intero Occidente, dagli Stati Uniti all’Inghilterra e alla
Germania. Ciò accade anche in Italia, mediante evidenti
discriminazioni culturali e provvedimenti amministrativi come l’espulsione
di Mohamed Shahin, e rischia di essere ulteriormente
incentivato con interventi legislativi oggetto di proposte di
diversa provenienza che non solo prevedono l’adozione, a tutti gli
effetti, della controversa definizione operativa di antisemitismo approvata
dall’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2025/07/25/antisemitismo-e-dintorni-vietato-pensare/) – disegno di legge n. 1722/Senato,
d’iniziativa del sen. Delrio e altri – ma addirittura si
spingono a introdurre la criminalizzazione delle “manifestazioni
di antisionismo” e della “negazione del diritto all’esistenza dello Stato di
Israele” (disegno di legge n. 1627/S d’iniziativa del senatore
Gasparri). Difficile non vedere in questo insieme di provvedimenti e
proposte i segnali di un nuovo maccartismo, particolarmente
pericoloso per la sua connessione con i venti di guerra che soffiano
nel mondo.
La matrice è
chiara e la si ritrova, per esempio, in una sorta di catechismo del fascismo
“ad uso delle scuole e del popolo” edito dalla Libreria del Littorio nei primi
anni del regime in cui si legge, tra l’altro, che “il concetto di libertà
non può essere assoluto” e che “il concetto di Stato fascista urta contro
il vecchio concetto di libertà, per cui un cittadino può tutto, perfino
cospirare contro lo Stato, vilipendere le istituzioni e negare la
Patria”. Il seguito è noto.
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