martedì 9 dicembre 2025

L’imam Mohamed Shahin, noi, il maccartismo - Livio Pepino

Mohamed Shahin è l’imam della moschea di San Salvario a Torino. Residente in Italia dal 2004, è (anzi era, come si vedrà) titolare di un permesso di soggiorno di lungo periodo, ha moglie e due figli minorenni, è incensurato, è protagonista del dialogo interreligioso nel capoluogo piemontese, partecipa attivamente alla vita politica della città impegnandosi nella diffusione dei valori della Costituzione nella comunità musulmana e facendo della moschea un luogo aperto e di confronto. Sino a qualche anno fa è stato anche docente di “Lingua Araba” alla Scuola di Applicazione dell’Esercito di Torino. È tra i più autorevoli animatori delle manifestazioni cittadine contro il genocidio palestinese, punto di riferimento del movimento pro Pal.

Il 24 novembre scorso, mentre porta i figli a scuola, viene fermato da operatori di polizia e tradotto in Questura, dove gli è notificato un decreto di espulsione verso l’Egitto emesso dal ministro dell’interno “per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato” (con paralleli decreti di revoca del permesso di soggiorno e di accompagnamento alla frontiera). Nell’udienza di convalida dell’accompagnamento davanti al giudice di pace presenta richiesta di protezione internazionale, perché l’Egitto, considerate le sue prese di posizione contro il regime, non è per lui un paese “sicuro” (come non lo è stato, tra gli altri, per Giulio Regeni e di Patrick Zaki…). La richiesta sospende momentaneamente l’esecuzione dell’espulsione ma il questore, senza indicarne le ragioni, ne dispone il trattenimento, anziché nel CPR di Torino (città dove ci sono i suoi familiari e i suoi difensori), in quello di Caltanissetta, all’altro capo della penisola. Il trattenimento è convalidato dalla Corte d’appello di Torino e la richiesta di asilo è respinta, con inusitata rapidità, dalla Commissione territoriale di Siracusa. L’esecuzione dell’espulsione, ancora sospesa a causa dei ricorsi giurisdizionali proposti (che, peraltro, non hanno un effetto sospensivo automatico), è sempre in agguato e potrebbe intervenire a breve. E ciò nonostante una protesta corale che vede in primo piano esponenti di diverse chiese (tra cui il vescovo di Pinerolo), dell’associazionismo cittadino (a cominciare dall’Anpi e dalla Cgil), della società civile e del territorio di riferimento oltre che, evidentemente, dei movimenti di sostegno alla causa palestinese.

Ma che cosa ha fatto Shahin, di quali reati si è macchiato per incorrere in questo trattamento? L’espulsione è stata disposta, come si è detto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1, del Testo unico sull’immigrazione che la prevede “per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato”. Ma quali siano questi motivi non è indicato nel decreto, che ne afferma apoditticamente la pericolosità, in considerazione del suo “percorso di radicalizzazione religiosa”, di “una ideologia fondamentalista di chiara matrice antisemita” e del suo ruolo di rilevo “in ambienti dell’Islam Radicale”. Di ciò, peraltro, non è fornito alcun serio riscontro. Il provvedimento, infatti, si limita a contestare a Shahin di avere incontrato due persone successivamente coinvolte in percorsi di estremizzazione (incontri, peraltro, intervenuti nel 2012 e nel 2018 – sic! – e ritenuti, allora, insignificanti), di avere partecipato a un blocco stradale durante una manifestazione per la Palestina e di avere, in un analogo contesto, svolto un intervento nel quale la dichiarazione di non essere favorevole alla violenza si accompagnava all’affermazione che “quanto successo il 7 ottobre” non è un atto di terrorismo ma di resistenza (almeno stando a una trascrizione dell’intervento in verità assai confusa e caratterizzata da evidenti errori). Il rilievo dei primi elementi come indici di una condotta lesiva della sicurezza dello Stato è all’evidenza nullo, ma egualmente inconferente è il terzo elemento ché, anche nell’interpretazione più radicale (e nient’affatto univoca) delle dichiarazioni in questione, intese come disconoscimento di un crimine di inaudita gravità, l’affermazione contestata è – e resta – un’opinione, per di più priva di ogni valenza istigatoria.

La conclusione è obbligata: il decreto di espulsione del ministro è un gesto di pura repressione del dissenso finalizzato a indebolire e criminalizzare il movimento di solidarietà al popolo palestinese. In una democrazia – lo abbiamo scritto infinite volte (https://volerelaluna.it/controcanto/2025/11/11/liberta-vigilata/) – le idee si confrontano, si discutono e, se del caso, si contestano ma non possono essere il presupposto per interventi repressivi di qualunque natura (in particolare amministrativa o giudiziaria). Ed è superfluo precisare che la libertà di parola è a tutela delle minoranze e del pensiero critico ché la maggioranza e il pensiero dominante non ne hanno, per definizione, bisogno. L’articolo 21 della Costituzione è chiaro: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La libertà di parola e di espressione del pensiero non può, dunque, essere sottoposta a limiti se non quelli previsti dal diritto penale. Pretendere di contrastarla con strumenti amministrativi e, addirittura, con un provvedimento di espulsione è fuori dal sistema costituzionale. Ed è un segnale dei tempi bui in cui viviamo che ciò sia ignorato non solo dal ministro, ma anche dalla Corte d’appello di Torino che, nel decreto di convalida del trattenimento di Shahin, si spinge a indicare come inaccettabile “la possibilità che le parole e la loro diffusione creino disordine e instabilità“. Sono proprio queste le parole tutelate dalla Carta fondamentale, non certo quelle a sostegno dell’ordine costituito e della stabilità del sistema. La libertà di espressione del pensiero infatti, ieri come oggi, serve – come è stato scritto da un illustre penalista – “a rendere libero l’eretico, l’anticonformista, il radicale minoritario: tutti coloro che, quando la maggioranza era liberissima di pregare Iddio e osannare il Re, andavano sul rogo o in prigione tra l’indifferenza o il compiacimento dei più”.

Ad essere sotto attacco, in questa vicenda, è ovviamente la libertà dell’imam torinese, ma, con essa, anche i diritti di tutti, già fortemente compressi con l’ultimo “decreto sicurezza”, confluito nella legge n. 80/2025 (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2025/05/02/237-professori-di-diritto-pubblico-il-decreto-sicurezza-viola-la-costituzione/ ). C’è, peraltro, un ulteriore elemento specifico che riguarda la questione palestinese. Il sostegno alla causa della popolazione di Gaza e della Cisgiordania è guardato con sfavore e, talora, represso duramente nell’intero Occidente, dagli Stati Uniti all’Inghilterra e alla Germania. Ciò accade anche in Italia, mediante evidenti discriminazioni culturali e provvedimenti amministrativi come l’espulsione di Mohamed Shahin, e rischia di essere ulteriormente incentivato con interventi legislativi oggetto di proposte di diversa provenienza che non solo prevedono l’adozione, a tutti gli effetti, della controversa definizione operativa di antisemitismo approvata dall’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2025/07/25/antisemitismo-e-dintorni-vietato-pensare/) – disegno di legge n. 1722/Senato, d’iniziativa del sen. Delrio e altri – ma addirittura si spingono a introdurre la criminalizzazione delle “manifestazioni di antisionismo” e della “negazione del diritto all’esistenza dello Stato di Israele” (disegno di legge n. 1627/S d’iniziativa del senatore Gasparri). Difficile non vedere in questo insieme di provvedimenti e proposte i segnali di un nuovo maccartismo, particolarmente pericoloso per la sua connessione con i venti di guerra che soffiano nel mondo.

La matrice è chiara e la si ritrova, per esempio, in una sorta di catechismo del fascismo “ad uso delle scuole e del popolo” edito dalla Libreria del Littorio nei primi anni del regime in cui si legge, tra l’altro, che “il concetto di libertà non può essere assoluto” e che “il concetto di Stato fascista urta contro il vecchio concetto di libertà, per cui un cittadino può tutto, perfino cospirare contro lo Stato, vilipendere le istituzioni e negare la Patria”. Il seguito è noto.

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