Il governo
si sente in un angolo. Forzare la mano per fissare al 5 o al 15 marzo il
referendum sulla riforma della separazione delle carriere e dei due Csm non
sembra più così facile anche se lo vuole fortemente, perché teme che una
campagna più lunga giochi a favore di chi spiega “l’inutilità” e la
“pericolosità” della riforma.
Non a caso
il decreto di lunedì del Consiglio dei ministri fissa solo il voto: non più
nella sola giornata di domenica, ma anche di lunedì.
La data,
però, non c’è. Segno che vacilla la sua interpretazione sui generis del
combinato Costituzione-legge ordinaria, secondo la quale l’iter per la data del
referendum si calcolerebbe a partire dall’ordinanza di novembre della
Cassazione, che ha ammesso il quesito referendario in seguito alla raccolta di
firme dei parlamentari della maggioranza e dell’opposizione. Solo così potrebbe
fissare la data ai primi di marzo.
Ma a rompere
le classiche uova nel paniere di Palazzo Chigi e della maggioranza di
centrodestra sono stati 15 cittadini “volenterosi” che il 19 dicembre hanno
promosso la raccolta di 500 mila firme per chiedere anche loro il referendum,
come previsto dall’articolo 138 della nostra Carta. Sono magistrati in pensione
e avvocati per il No.
Fra loro,
gli ex consiglieri di Cassazione Antonella Di Florio e Pino Salmé e gli
avvocati Piero Panici e Carlo Guglielmi, che è il portavoce.
“La
Costituzione – ha detto Guglielmi – consente alla cittadinanza di promuovere
una richiesta di iniziativa popolare per sollecitare la partecipazione
consapevole e per sviluppare la campagna referendaria coi tempi più opportuni.
Chiediamo al governo che venga rispettato il diritto di raccogliere le firme
entro il 31 gennaio”. Se alla scadenza saranno raccolte 500 mila firme,
l’ufficio centrale della Cassazione si esprimerà sulla loro legittimità e sul
quesito referendario ed emanerà un’ordinanza. È il momento in cui il Consiglio
dei ministri può deliberare il referendum. Spetta al presidente della
Repubblica, però, entro 60 giorni, emanare il decreto.
La data del
referendum viene fissata “in una domenica (e anche lunedì con la nuova
norma, ndr) compresa tra il 50° e il 70° giorno successivo
all’emanazione del decreto”.
Se si
rispetta la Costituzione, l’iter per il decreto presidenziale non può che
avviarsi all’inizio di febbraio e la data del referendum non può essere prima
di fine marzo, più verosimilmente metà aprile. I “tre mesi” per la delibera del
Cdm, infatti, non si contano dalla data dell’ordinanza della Cassazione di
novembre (in seguito al quesito dei parlamentari) poiché non si può comprimere
il diritto dei cittadini alla raccolta delle firme, che scade a fine gennaio. È
questa l’interpretazione che danno i costituzionalisti rifacendosi all’articolo
138 della Carta, combinato con la legge del 1970 (articolo 15). D’altronde è la
stessa interpretazione data dai governi Amato e Conte-2, rispettivamente nel
2001 e nel 2020 per i referendum sul Titolo V della Costituzione e sul taglio del
numero dei parlamentari.
Ad
appoggiare i 15 cittadini “volenterosi” anche il Coordinamento per la
Democrazia Costituzionale presieduto dal professor Massimo Villone e che ha
nell’esecutivo, tra gli altri, Alfiero Grandi, Silvia Manderino
(vicepresidenti) e Domenico Gallo. Il quesito pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale del 20 dicembre è il seguente: “Approvate il testo della
legge costituzionale concernente ‘Norme in materia di ordinamento
giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare’ approvato dal
Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 253 del 30
ottobre 2025, con la quale vengono modificati gli artt. 87 comma 10, 102 comma
1, 104, 105, 106 comma 3, 107 comma 1 e 110 comma 1 della Costituzione?”.
Rispetto a quello dei parlamentari indica tutti gli articoli che saranno
modificati: “Abbiamo formulato un quesito parzialmente diverso, ha spiegato
l’avvocato Guglielmi, per rendere evidente che è in gioco l’equilibrio dei
poteri dello Stato così come previsto dai Costituenti”.
Chiunque può
firmare con Spid o con Cie sulla piattaforma pubblica.
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