mercoledì 26 giugno 2019

L'uomo del censimento - China Miéville


il libro inizia con un bambino urlante.
urla affannato che c'è stato un omicidio, ma forse è solo la sua impressione.
esiste un ponte, che separa la cittadina dalle case sparse.
pochi personaggi hanno un nome, sarebbe un elemento di chiarezza in una storia dove tutto è incerto, insicuro, precario.
e poi ci sono i bambini, che vivono in strada, e dormono in un edificio disabitato, sono una banda, si arrangiano come possono.
la polizia appare ogni tanto, viene da lontano, e poi c'è l'uomo del censimento, deve ordinare, definire, scrivere indagare.
ma questo avviene alla fine.
si respira una qualche aria di Agota Kristof, tante cose non dette, luoghi e persone non individuabili, individui incatenati alle regole del luogo, andarsene è difficile, ma non impossibile.
è un libro di fantascienza, quella classica? direi di no, piuttosto un libro di misteri.
China Miéville sa, anche questa volta, come tenere il lettore legato alle pagine, alla storia, alla ricerca di una verità.
in confronto ai precedenti romanzi di centinaia di pagine questo è solo un racconto lungo che si fa leggere bene.




Di etichette gliene sono state attaccate molte, da quella dello scifi a quella del new weird, ma non siamo molto sicuri che il suo ultimo romanzo breve – o racconto lungo, L’uomo del censimento, possa davvero essere definito da un’etichetta. Tra horror e noir, grottesco e mistery, fantascienza e urban fantasy, L’uomo del censimento è un esempio magistrale di come il contenuto possa, alla fine, avere il potere di distruggere qualsiasi forma di narrazione conosciuta…
…La vera rivoluzione di questo romanzo, però, non sta né nella storia narrata, né nell’ambientazione post-apocalittica e iper-realistica, né nella denuncia sociale che ben conosciamo in Miéville. La grande originalità de L’uomo del censimento è, prima di tutto, formale: in un testo in cui domina la precarietà, Miéville mima stilisticamente l’ambiguità, l’incertezza, i “forse” e i “vedremo” dell’universo cui ha dato vita. A questo scopo ‘rompe’ la forma narrativa della prima persona e sin dalla prima pagina ci ritroviamo sbalzati dall’io narrante alla terza persona, passando anche da un tu generico in cui il narratore sembra voler parlare direttamente al “sé” bambino.
Rincorriamo, così, la narrazione tra il presente di chi sta narrando e i suoi ricordi che oscillano essi stessi, tra quelli dei giorni immediatamente successivi al tragico evento che ha segnato la sua esistenza, ad altri, precedenti allo stesso, con cui cerca di ricostruire, in un quadro più generale, la sua vita e quella dei genitori. Come in una lunga seduta psicanalitica, China Miéville fa confluire nelle sue pagine tutta la vita, i pensieri, i ricordi, i timori e le paure del suo protagonista, lasciandole libere di essere, semplicemente, narrazione soggettiva…

…La narrazione passa dalla terza alla prima persona all’interno della stessa frase, spostando in modo spericolato e affascinante il punto di vista da osservatore esterno fintamente oggettivo a osservatore interno estremamente soggettivo.
Molte cose nel romanzo rimangono non dette e non spiegate, ma il fascino della vicenda, i livelli di lettura stratificati e la complessità interiore del protagonista rendono la lettura estremamente appagante.
Non è un romanzo che piacerà a tutti, ma a chi saprà apprezzarlo regalerà ottime sensazioni e spunti di riflessione…

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