domenica 30 giugno 2019

Perché odiano Carola - Antonio Mosca




Nelle spropositate e violente reazioni contro Carola Rackete si ritrova la classica ideologia piccolo-borghese tanto cara a chi ci governa. Serve solo a esorcizzare la paura che possano esistere comportamenti non orientati alla ricerca del profitto

Il copione è sempre lo stesso: una Ong salva un gruppo di migranti nel Mar Mediterraneo; Salvini, impedendo alla nave di entrare in acque territoriali italiane e far sbarcare i naufraghi-migranti a bordo, ne approfitta per sollevare un polverone mediatico volto a distrarre la popolazione dai problemi veri che attanagliano il paese; l’opposizione, dagli antifascisti-ma-non-troppo del Pd alla sinistra radicale, manifesta solidarietà all’equipaggio e ai migranti reduci da indicibili violenze subite nei lager libici; Salvini replica di pensare piuttosto ai Cinque milioni di poveri italiani, e giù applausi scroscianti, virtuali ma non solo, da parte dei suoi sostenitori, pronti a rilanciare via social il frame della guerra tra poveri che tanto successo garantisce ai partiti xenofobi di tutto il globo. 
È esattamente ciò che è accaduto in questi giorni sulla vicenda SeaWatch 3. A cui stavolta si è aggiunta una martellante campagna di denigrazione nei confronti di Carola Rackete, la capitana della nave, accusata di essere una ricca e viziata che gioca a fare la ribelle con i soldi di papà. Eppure, quando qualche illuminato imprenditore nostrano sposta la sede fiscale all’estero per pagare meno tasse o licenzia in blocco un certo numero di lavoratori gettandoli sul lastrico insieme alle rispettive famiglie non vediamo nessuno, da Salvini all’ultimo dei suoi elettori, sbraitare schiumante di rabbia: «E ai poveri itagliani chi ci penzah!». Potrà sembrare strano, ma questo atteggiamento è perfettamente coerente con l’ideologia di una piccola borghesia stracciona che rispetta, anzi adula, i ricchi proprio nella misura in cui sono diventati tali sfruttando/evadendo/speculando. In definitiva accumulando le proprie ricchezze a discapito della povera gente. Alla base vi è l’idea dell’uomo forte che si fa da sé e che ognuno di loro, abitando quel purgatorio socioeconomico che è la classe media, in fondo spera, un giorno, di diventare. Per questo è per loro inconcepibile che un ricco, o presunto tale, possa salvare vite umane mettendo a rischio se stesso da un punto di vista  fisico e giuridico: se sei ricco è perché vivi di opportunità, cinismo, speculazione di ogni sorta, ergo non puoi mica fare qualcosa di «straordinario» – com’è salvare una vita umana – senza chissà quale losco interesse dietro. 
Si potrebbe obiettare, d’altra parte, che se così fosse non ci sarebbe bisogno di prendersela in questo modo con Carola Rackete. D’altronde, se quest’ultima sfruttasse davvero le sofferenze di qualche decina di diseredati in nome del profitto o del prestigio personale, tutte categorie prettamente capitalistiche, non farebbe nulla di incompatibile con questo atteggiamento, nulla che, nell’odierna giungla del capitalismo non sia consentito e da loro intrinsecamente accettato. Dove sta, allora, il punto di rottura? Perché una simile schizofrenia? Bisogna considerare due aspetti, per comprendere come in realtà questo doppiopesismo piccoloborghesesia una forma di schizofrenia solo in superficie. 
In primis, per dirla con George Lakoff, i partiti conservatori/reazionari costruiscono la propria egemonia sul cosiddetto principio del Padre severo: la nazione sarebbe una famiglia, i cittadini i membri di questa famiglia, lo Stato-apparato il pater familias. Compito dei cittadini, in questa visione, sarebbe quello di impegnarsi ad aiutare la famiglia-nazione svolgendo il proprio dovere in conformità ai dettami (espressi o taciti) dello Stato-padre, profondendo al massimo il proprio impegno lavorativo-imprenditoriale in ossequio a un’etica ultralavoristica. Per raggiungere questo scopo il cittadino dev’esser pronto a «combattere» individualmente contro tutto e tutti e, soprattutto, difendere la nazione-famiglia dalle minacce «esterne».
Ora, è evidente che i migranti vengano considerati tali da una classe sociale abituata a vivere in una terra di mezzo rispetto alla quale non riesce a elevarsi e al di sotto della quale, d’altra parte, non vuole neppure scendere. I migranti, come tutti coloro che non hanno più nulla da perdere e per ciò stesso rappresentano un serio pericolo per il sistema, vengono inquadrati come coloro che potrebbero minare le piccole, insignificanti, conquiste materiali di una piccola-media borghesia la cui stella polare è solo e soltanto «la roba». Pertanto nel suo mondo ideale si può essere, anzi, si deve essere ricchi, ma finanche un ricco può diventare un problema quando fa qualcosa di concretamente «pericoloso» per questa classe sociale, laddove beninteso il pericolo avvertito può non essere reale, ma anche soltanto percepito. 
Così viene vista Carola: una giovane, ricca intellettuale che, in concreto, sta portando una minaccia «esterna» dentro le sacre mura patrie, complicando ulteriormente quella guerra del tutti contro tutti in cui ci si combatte per ottenere qualche briciola dai potenti.
Il più delle volte, tuttavia, gli odiatori seriali delle Ong non sono minimamente a conoscenza delle condizioni familiari di partenza o del conto in banca dei suoi membri, e allora qui entra in gioco l’altro aspetto da considerare per comprendere la crociata in atto. Spesso, infatti, a coloro che attaccano ignobilmente persone come Carola Rackete non interessa affatto se queste siano effettivamente dei paperoni «stranamente» interessati ai drammi umanitari del mondo, e tuttavia avvertono il bisogno impellente di asserirlo, in quello che è un vero e proprio esercizio di autoconvincimento oltre a rappresentare uno strumento comunicativo utile alla loro lotta per l’egemonia culturale. Sostenere che un operatore di una Ong agisca non per spirito di umana solidarietà ma esclusivamente per interesse personale (inteso in genere come interesse economico) significa alimentare quell’idea hobbesiana che vuole la società reggersi basicamente, se non unicamente, sull’individualismo sfrenato, legittimando ulteriormente il «mors tua vita mea» tanto caro al sistema capitalistico. Ripetere a se stessi un siffatto refrain è anche un modo per esorcizzare la paura che possa esistere un mondo diverso, migliore, estraneo alle logiche di profitto o, a seconda dei casi, un modo per assecondare la propria disillusione, per giustificare la propria disumanità spacciata per sano realismo, per scrollarsi di dosso il peso insopportabile della responsabilità per ciò che questo mondo è e per ciò che invece potrebbe essere. «Noi siamo cattivi, egoisti, arrivisti, sfruttiamo il prossimo ogni volta che possiamo ottenere qualcosa di utile per noi stessi, però oh, guarda, in fondo anche Carola lo è, lo sono tutti, quindi non venirmi a fare la lezioncina su come e quanto dobbiamo essere accoglienti, solidali, umani».
Il problema di questa piccola ragliante borghesia, come è evidente, è che non mette mai in discussione ciò su cui si fonda la ricchezza a livello sistemico, ma ne accetta i presupposti e i risvolti pratici, interiorizza lo status quo nella vana speranza di far parte degli eletti del mondo. Odiano Carola Rackete perché fondamentalmente odiano se stessi, e odiano se stessi perché semplicemente odiano la propria impotenza, frustrazione, incapacità di svincolarsi dalle gabbie ideologiche e materiali di un sistema che opprime la maggioranza delle persone, alla lunga anche quelli come loro.
Odiano le Carola di tutto il mondo perché sbattono loro in faccia che si può stare in questo folle e disgraziato mondo anche agendo incondizionatamente per il bene altrui, senza avere un tornaconto personale, senza pensare sempre e solo alle proprie tasche, come invece fanno loro credendo sia la normalità. Le odiano perché semplici azioni di buon senso come quelle della giovane capitana distruggono il loro castello di carta fatto di realismo capitalista e incapacità di ribellarsi alle ingiustizie in nome di un banale, banalissimo, principio di umanità. Le odiano perché smontano il principio thatcheriano secondo cui esistono solo gli individui (e tutt’al più le famiglie) e lo Stato, mentre in mezzo non ci sarebbe nulla. Le odiano non perché odiano i ricchi, ma perché mettono in discussione la ricchezza come sistema, come meccanismo di sopraffazione e disciplinamento degli altri – dal loro vicino di casa disoccupato al bambino senegalese dimenticato da dio – costringendo da un lato i ricchi di tutto il mondo a fare i conti con se stessi, a guardare in faccia tutto il male e la disperazione che hanno provocato, e dall’altro i piccolo borghesi, fintamente solidali con i propri connazionali più poveri, a considerare la povertà come un prodotto di questo sistema e non come un problema individuale del singolo a cui papà-Stato dovrebbe mettere una pezza con qualche sussidio da fame senza intaccare il sistema stesso. 
Odiano Carola, insomma, perché sanno che non riusciranno mai a essere come lei, perciò non resta che abbandonarsi a una triste e piatta realtà da cui non possono e non vogliono più liberarsi e che finiscono per legittimare. Facendo, come Italo Calvino aveva ben descritto ne Il sentiero dei nidi di ragno, quello che hanno sempre fatto i fascisti: utilizzare la miseria per perpetuare la miseria, e l’uomo contro l’uomo.

*Antonio Mosca, classe 1993, calabrese, studente di giurisprudenza a Reggio Calabria.


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