lunedì 1 luglio 2019

“Umanità in rivolta”, la perdita di diritti deve fermarsi e la lotta contro lo sfruttamento deve cominciare. il manifesto di Aboubakar Soumahoro - Alessandro Corroppoli



C’è una sottile linea rossa che unisce Alessandro Leogrande e Aboubakar Soumahoro. Un linea che ha inizio nell’ottobre del 2008, quando il compianto scrittore e giornalista tarantino, mette nero su bianco il suo viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del sud, dando vita al suo “Uomini e Caporali” (Mondadori). Pietra miliare del giornalismo d’inchiesta nell’ambito dello sfruttamento lavorativo. E, prosegue undici anni dopo con il sindacalista italiano nato in Costa D’Avorio, che mette insieme la sua esperienza di vita, le sue battaglie giornaliere nel volume “Umanità in Rivolta. La nostra lotta per il lavoro e il diritto alla felicità” (Feltrinelli).

Sfruttati, dimenticati e abbandonati al loro destino. Al massimo vengono utilizzati e strumentalizzati a fini di propaganda politica o trovano spazio sulle prime pagine dei giornali quando vengono uccisi o trovano il coraggio di denunciare la loro situazione lavorativa e sociale. Gli sfruttati, specie se stranieri di colore altro non sono che un pericolo alla sera e una risorsa, braccia forti da sfruttare al mattino per pochi soldi. Alessandro Leogrande e  Aboubakar Soumahoro, con i loro due lavori letterari,  sono riusciti a chiudere un primo cerchio iniziato 11 anni fa con il libro denuncia del giornalista pugliese e chiusosi con il manifesto alla felicità del sindacalista di origini africane: “La perdita di diritti deve fermarsi.
E la lotta contro lo sfruttamento deve cominciare”.
“Gli schiavi di Puglia parlano di una degradazione dell’uomo, dei corpi e delle speranze” scriveva Leogrande descrivendo la Capitanata: “Raccogliere l’oro rosso è un lavoro durissimo che spezza la schiena e le braccia, ma viene pagato pochissimo. Sono lavoratori inquadrati in situazioni di vita e di lavoro addirittura precapitalistiche: alloggiati in ruderi fatiscenti, sono anche sottoposti alle vessazioni, spesso sadiche, dei caporali, che offrono il loro lavoro a un mondo delle imprese che se ne serve per comprimere i costi. Talvolta, questi nuovi cafoni, così diversi dai cafoni di ieri, hanno anche difficoltà ad avere pagato quel poco che era stato pattuito. E alle proteste non di rado ci scappa il morto. Una situazione barbarica che flagella come un tumore sociale vaste aree dell’Italia, dove sembra essere del tutto assente lo stato di diritto, e dove vale la sola legge dell’esercizio della violenza bruta”.
Il giornalista pugliese prendeva spunto dalle prime denunce dei braccianti sfruttati, per lo più uomini dell’est Europa arrivati, e ingannati in Italia, con la prospettiva di un lavoro dignitoso per scrivere il suo saggio inchiesta.  Aboubakar Soumahoro, invece, parte da una posizione di privilegio (se così si può dire) essendo un sindacalista di base (Usb) e, dunque, affrontando giornalmente le vicissitudini dei braccianti agricoli stranieri, nordafricani e non.
Laureato in sociologia, Abu  ha fatto il bracciante e il muratore, quando viveva dalle parti di Napoli. L’episodio scatenante, che lo ha fatto salire alla ribalta delle cronache nazionali, avviene il 2 giugno 2018, proprio nel giorno della Festa della Repubblica,  quando Soumayla Sacko viene ucciso durante una sparatoria nella zona di Vibo Valentia, in Calabria, riaccendendo i riflettori e l’attenzione sulle condizioni dei migranti (anche quelli regolari) costretti a vivere in condizioni disumane e  sottostare a trattamenti lavorativi più vicini all’idea di schiavitù (12 ore per meno di 25 euro senza nessuna tutela e diritto lavorativo per mandare avanti la filiera dell’agricoltura che permette di avere prodotti tutto l’anno a prezzi bassissimi.
Aboubakar Soumahoro difende i diritti dei lavoratori. Conosce da vicino le insidie di un tessuto civile sempre più logoro e incapace di garantire i diritti minimi di ogni essere umano. Probabilmente dietro “i mestieri che gli italiani non vogliono più fare” si nasconde il degrado delle condizioni generali di lavoro, che chi arriva in Italia sprovvisto di tutele e di diritti è costretto ad accettare per sopravvivere. È così che si spiega il gran ritorno della retorica del “prima gli italiani” e della “razza: uno stratagemma per abbassare il costo del lavoro e per ridurre drasticamente la distanza tra dignità e sfruttamento”.
“Umanità in rivolta” è un manifesto, che si aggiunge alla denuncia fatta oltre un decennio addietro da Leogrande, e va a riempire il dibattito politico italiano in tema di lavoro, diritti e sfruttamento. Nelle pagine del libro viene detto chiaro e forte  che per non rinunciare al diritto alla felicità “il nostro paradigma economico deve cambiare”. Una nuova solidarietà deve nascere, così ha scritto Albert Camus, dalla rivolta di chi dice no a una condizione inumana di schiavitù. Aboubakar Soumahoro sa cosa significa essere privati di un diritto e per questo sa anche cosa significa lottare per conquistarlo. “Possiamo essere poveri, sfruttati e precari, ma non importa: usciremo dall’angolo.”

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