Il divieto imposto
alle navi che raccolgono migranti di attraccare nei porti italiani è una norma
particolare che ha molti punti di contatto con l’applicazione di una pena.
Formalmente non vi è un divieto e tanto meno una pena: si tratta di una
disciplina di amministrazione del territorio, che ha a che vedere con l’ordine
pubblico e la difesa dei confini.
Il numero risibile delle
persone coinvolte negli ultimi episodi rende però del tutto sproporzionato il
richiamo di queste materie. Non sono eserciti quelli che stanno approdando sulle
coste, e sarebbe avvilente immaginare che lo stato non abbia la capacità di
mantenere l’ordine pubblico se sul suolo circolassero, insieme ai 55 milioni di
abitanti, un’altra cinquantina di soggetti, la metà dei quali innocui per
ragioni fisiche e anagrafiche.
Oltre tutto, se quello fosse
il problema ci sarebbero altri modi per gestire la situazione: si potrebbe
offrire un soccorso temporaneo a quelle decine di persone, un ristoro. Una metafora usata di frequente è quella delle persone che vogliono
venire a casa nostra. Ma se alla porta di casa bussasse
qualcuno che ha appena avuto un incidente d’auto ed è malconcio, anche se ci
venisse da pensare ma chi te l’ha fatto
fare di ficcarti in macchina con questo tempaccio, gli daremmo un
bicchiere d’acqua, gli diremmo siediti un attimo. Mi rendo conto che, nel caso
dei migranti la legge non rende così agevole sbarazzarsene una volta esauriti i
doveri essenziali dell’ospitalità. Ma, a parte il fatto che una metafora non la
si può liquidare nel preciso momento in cui diventa scomoda, non è tanto
normale (né in linea con l’ordinamento internazionale) neppure che uno stato
chiuda i porti. Decreto per decreto, quindi se ne potrebbe fare un altro che li
tenga, diciamo così, socchiusi.
E’ vero che quando una persona
si trova sul nostro territorio ci vanno poi delle procedure legali per
allontanarlo: ma, se proprio lo spirito è quello di respingere i migranti, si
potrebbero sopprimere le procedure. E’ infantile un pensiero del tipo: ah sì?
Se entri poi è un problema mandati via? E allora ti lascio sulla barca, anche
se crepi (peraltro, quando si trova in acque italiane ormai la frittata sarebbe
fatta. A quel punto bisognerebbe aspettare le navi con un sottomarino e
affondarle prima).
E’ palese che la preferenza
per il rimedio più radicale (diamo per scontato, in questa sede, che si tratti
di qualcosa a cui rimediare: che cioè i barconi portino solo gente che ci
nuoccia avere tra i piedi) sia legata all’intenzione di punire
il migrante. Non è bello da dire, e infatti viene girato sulle ONG:
non vi facciamo attraccare, così la finite di raccogliere questa gente in mare,
e anzi vi multiamo pure. Ma è evidente che, se non si realizzasse l’operazione
di soccorso (che ha senso soltanto se la nave porta i naufraghi da qualche
parte) il problema non sarebbe per le ONG ma per quelli che affogherebbero. La
punizione dunque si rivolge ai migranti: siccome
senza chiederci il permesso vi siete messi in testa di entrare nel nostro
paese, adesso ve ne andate a fare un bel giro in mare, e ve ne tornate indietro
o nel primo posto che capita, magari pure in un paese dove vi rinchiudono e vi
torturano. Non avendo toccato ancora
il suolo, quelle persone non possono avere commesso alcun reato nel nostra stato.
Ma nella sostanza subiscono una pena. Se così non fosse, il linguaggio sarebbe
diverso. Leggeremmo che il governo è addolorato per questa
gente, che è proprio un brutto guaio, che il paese è veramente solidale. Non è
certo un mistero il tono non sia esattamente questo: è gente che vorrebbe la
pacchia, sono degli imbroglioni, vogliono venire qui a darci fastidio, se li
prendessero in casa quelli che li vorrebbero far attraccare, niente, non ci
fregano: hanno fatto di testa loro, sono saliti sui barconi, e ben gli sta se
gli viene il mal di mare (di solito, se non li soccorre nessuno, finisce un po’
peggio).
Perché le persone vengono
punite quando commettono un reato? Ci sono diverse teorie al riguardo:
che si voglia infliggere del male a chi ha fatto il male o che sia il caso di
isolare dalla società un individuo pericoloso. Un’altra teoria è quella della prevenzione generale, o della deterrenza, e si sposa
perfettamente con la pena inflitta ai migranti. Si deve punire, questa è
la tesi, non tanto per colpire chi si è comportato in un certo modo: tanto
ormai il danno l’ha fatto, e non c’è modo di tornare indietro. Ma lo si punisce
lo stesso per ammonire gli altri: guardate cosa succede a chi si comporta in
questo modo.
Molti giuristi, e anche molto
filosofi, sono del parere che non sia una buona ragione per punire. Si
tratterebbe del classico caso considerato e censurato da Kant, quello in cui un uomo viene usato non come
uomo ma come strumento. Viene punito per dissuadere gli altri dal fare la
stessa cosa.
La deterrenza è una strategia
che opera anche fuori dallo stretto diritto penale. I mafiosi, per fare
pressioni sul pentito che sta facendo dichiarazioni, gli ammazzano i familiari.
E in realtà il messaggio non è rivolto solo a lui, ma a tutti quelli che hanno
in animo di collaborare con la giustizia. Sotto il profilo
dell’efficacia non fa una piega: anzi, in termini di utilità, verrebbe da
domandarsi come mai anche la legge non preveda che, quando qualcuno commette un
reato, l’ergastolo, oltre a lui, lo scontino i figli.
Sicuramente i reati diminuirebbero. Il fatto che mai sia stata presentata una
proposta in tal senso (modificando la norma che prevede il carattere personale
della responsabilità penale) mostra che la deterrenza, quando
viene applicata dallo stato, deve comunque rispettare il senso di giustizia.
Cioè, la deterrenza da solo non può fondare la giustizia: al limite può
affiancarla.
Dal punto di vista
dell’efficacia la deterrenza presenta un altro problema: tanto più una persona
è motivata a realizzare un obiettivo tanto meno funziona. E’
sicuro che se la violazione del limite di velocità sulle autostrade venisse
punita con quindici anni di carcere tutti viaggerebbero sotto i centoventi. Ma
di rado un assassino sta a fare i conti prima del sul delitto. Dieci anni
razionalmente basterebbero come trenta (non entriamo qui nel merito della
questione che poi debba effettivamente scontarli), ma chi si spinge
all’omicidio o ha perso il controllo di sé ( e dunque ha smesso di ricordare se
per l’omicidio lo stato preveda le pena di morte o invece consegni una
medaglia) oppure era talmente motivato da convincersi che l’avrebbe fatta
franca.
Sicuramente i migranti che
pianificano di trasferirsi nel Vecchio Continente sono condizionati in partenza
dalle notizie che arrivano sulla sorte dei loro parenti o concittadini. Se
sapessero che tutti quelli che arrivano in Europa vengono immediatamente fucilati
ci penserebbero due volte prima di partire. Dovremmo in quel caso mettere in
conto una vita più pericolosa anche per noi, quando viaggiamo, e trovare
normale che quando facciamo quattro passi in una piacevole località esotica con
ogni probabilità la passeggiata si concluderebbe perché qualcuno ci pianta una
pallottola in mezzo agli occhi. Dunque manteniamo una condotta meno plateale, e
ci limitiamo a respingerli in mare anche quando sono in condizioni fisiche che
ne mettono in pericolo l’incolumità.
E’ improbabile che basti a
dissuadere chi ha forti motivazioni interne (non vivere come un miserabile, lui
e tutta la famiglia, per tutta la vita o scampare a una guerra civile). E
comunque, in quel momento stiamo disponendo della
sopravvivenza di una quarantina di persone, che accettiamo consapevolmente di
tenere in pericolo.
Si potrebbe dire che è colpa
delle navi delle Ong che li raccolgono (e anzi, al di là delle apparenze ci
lucrano: è evidente a tutti che di solito chi si impegna in un compito di volontariato
deve avere un tornaconto che ci sfugge. Saremo mica solo noi, e i migranti,i a
studiare come metterlo in quel posto al prossimo). Se non sapessero che a un
certo punto vengono salvati, i migranti non si metterebbero su quei barconi. Si
vorrebbe cioè che tutti partecipassero alla Grande Deterrenza. Ma lo
accetteremmo in un campo diverso? Forse se i ragazzi che si schiantano al
ritorno delle discoteche sapessero che gli ospedali non li faranno entrare
berrebbero meno, starebbero più attenti (forse no. Ma certo che rispetto a un
migrante dovrebbero avere meno motivazioni a persistere). E voi che ne direste
se ci capitasse vostro figlio? “E’ per salvare tutte le altre vite di tutti gli
altri ragazzi” (e anche di quelli con cui vanno a fare il frontale) vi
spiegherebbero mentre sta entrando in coma, e viene lasciato fuori dal pronto
soccorso. Il sistema della deterrenza non è altro che
questo. E quando è applicato radicalmente mette sempre davanti alla scelta di
accettare che quello che sta morendo muoia, e che cessi di esistere
come persona della quale prendere in considerazione l’individualità.
Nella giustizia vera e propria
(cioè, quando sono stati commessi dei reati) capita a volte che il reo sia un
povero disgraziato sovrastato dagli eventi, che non aveva una precisa
determinazione a delinquere, e che il reato sia stato condotto in qualche modo
oltre la sua volontà. La legge può tenerne conto, entro certi limiti, ma non
del tutto. Sotto il profilo della deterrenza, lo abbiamo detto, allargare la sfera
delle ragioni che giustificano un crimine potrebbe ridurre l’effetto
disincentivante della pena. Rimane però nelle persone un senso di amarezza, la
sensazione che il significato più profondo della giustizia sia stato incrinato.
Si tende in quel caso a simpatizzare con il reo.
Accade, in questa storia
degli sbarchi che si cerca di far abortire, qualcosa di molto strano, invece.
Una quota non irrilevante di persone odia i migranti che vogliono sbarcare.
Si tratta di gente di cui si sa poco, è vero: nessuno di loro ha ancora avuto
modo (e probabilmente mai lo avrà) di essere pruriginosamente esplorato dalle
cronache. Però ci sono alcune certezze, anche per esperienze pregresse. Per lo
più sbarcano denutriti. Per lo più vengono da posti tremendi e sono transitati
per esperienze da incubo. Ci sono spesso dei bambini. E soprattutto se uno li
respinge non è mica sicuro che arrivano sani e salvi al porto successivo. La
concreta possibilità, per ciascuno , che uno di quei quaranta o cinquanta
disgraziati arrechi danno a lui è statisticamente inesistente. Facciamo pure
che sia necessario, perché ci va la deterrenza, e che se fai entrare quelli il
giorno dopo se ne presentano milioni (anche se non funziona proprio così). Ma
perché odiarli? La deterrenza, come dicevo, è un sistema freddo, che sovente
porta a far provare simpatia per qualche reo. Qui non ci sono nemmeno rei, la
simpatia dovrebbe essere naturale.
Ma non è che odiano solo
loro. Odiano anche quelli che li salvano. E odiano quelli che sui social
dicono: hanno fatto bene a salvarli. Odiano chiunque capiti
nella catena, che pure sarebbe abbastanza lunga da disperdere i sentimenti
negativi. La catena funziona come quella famosa canzone.
Alla
fiera funest’
un
migrante per scampare alla fame salpò.
E
venne l’utente che odiò il cantante
Che
appoggiò l’altra cantante
Che
elogiò il magistrato
Che
assolse il capitano
Che
comandò la nave
Che
salvò il migrante
Che
Salvini nel mare bloccò
(ed
intanto il rosario baciò)- (controcanto)
Se dobbiamo pensare che
cresca il numero di queste persone che odiano e guardare al futuro la
situazione è preoccupante, più ancora che trovarsi altri migranti nel paese. Se
vi capitasse di sentirvi male a casa, chi vorreste avere come vicino premuroso,
quello che odia i migranti in balìa del mare o quello che si addolora per loro,
e magari li salva? Se foste in grave difficoltà, secondo voi, su quale di
queste due categorie di persone avreste qualche possibilità di fare
affidamento?
C’è un altro dettaglio
curioso. Come è noto, Salvini insiste in modo martellante sul fatto che da
quando lui è ministro dell’Interno gli sbarchi in Italia sono diminuiti di
oltre l’ottanta per cento.
All’inizio questo dato non era
tanto vero. Cioè, erano diminuiti del 77% già quando c’era Minniti, e con
Salvini erano ancora diminuiti fino all’82%. Adesso effettivamente hanno
continuato a diminuire. Non solo in Italia, però. Per una serie di ragioni sono
diminuiti nelle stesse percentuali in tutta Europa.
Ora, non so cosa voi pensiate
di Salvini. Ma sono certo che, a maggior ragione se parteggiate per lui,
dovreste riconoscere che ha una certa attenzione a parlare ed agire in maniere
che non interferiscano negativamente sul consenso. Se uno dicesse a Salvini: guarda Matteo, la devi smettere di fare tutto
quel che ti passa per la testa, smetti di farti vedere sui social mentre sei in
giro, di vantarti per i tuoi risultati e di prendertela per qualsiasi cosa con
i migranti perché perdi voti, lui vi guarderebbe torvo. Vi scambierebbe per dei
cretini. Ma mi avete preso per uno stupido, direbbe. Io ho una squadra che
misura queste cose, e so perfettamente che attualmente aumentano il mio
consenso.
Allora uno dovrebbe
domandarsi: ma che interesse ha nel fare, ciclicamente, tutto questo casino per
una manciata di persone che, se sbarcassero per motivi umanitari, nessuno se ne
accorgerebbe (e in effetti, senza le navi ONG, ne sbarcano diversi, e i
soggetti pericolosi di solito stanno lì in mezzo)? Non gli
verrebbe più comodo ignorarli per convincere il suo elettorato che non sta
sbarcando più nessuno?
Il fatto è che Salvini ha
allevato il suo elettorato facendolo passare dal desiderio che non
sbarchino al desiderio di vederli respinti quando vogliono sbarcare.
Come ogni demagogo, ha bisogno di mostrare continuamente se stesso in azione, e
di trasmettere ai sudditi l’elettricità di quest’azione per mobilitarli a loro
volta. Se non arrivassero quella cinquantina di migranti ogni tot, se li
andrebbe a cercare. Vieterebbe a un bagnante di colore che sta rientrando da un
giretto al largo di tornare sulla spiaggia.
Questo spiega perché
l’esercizio (improprio) di una forma di deterrenza si accompagni a tanta
ferocia. Perché è un rito sacrificale, dietro il quale si compatta la tribù.
Altro che modernità. Stiamo viaggiando indietro nella storia. Tanto, tanto
indietro.
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