venerdì 21 settembre 2012

Storia naturale della distruzione - W.G. Sebald

il racconto dei bombardamenti che ci sono durante le guerre, e che quasi nessuno racconta, per vari motivi.
qui Sebald racconta qualcosa di chi c'era.

una poesia di Bertolt Brecht:

La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente egualmente.

cosa sappiamo dei bombardamenti in Irak e in Afghanistan? - franz






Merita d'essere letto non perché sia il libro migliore del grande scrittore tedesco morto nel 2001 in un incidente d'auto, ma perché è un libro sulla letteratura in cui, oltre a tutte le tematiche che trovano spazio nella sua straordinaria opera, viene messa in luce la radice dell'oblìo (o una di esse) da cui tutto quello che Sebald scrive nasce: l'incapacità di farsi carico della responsabilità del mondo da parte di almeno due generazioni di tedeschi (e il primo riferimento che mi viene in mente al proposito è la lacuna del tempo di cui parla Hannah Arendt).
Il libro ospita due contributi: il primo ha come tema l'assenza, nella letteratura dell'immediato dopoguerra, della memoria della distruzione delle città tedesche durate il secondo conflitto mondiale; il secondo, tracciando un bilancio della vita e dell'opera di Alfred Andersch, è una riflessione sulla mancanza di elaborazione, da parte degli scrittori tedeschi, di tutto quel che accadde in Germania fino al 1945. E anche quei pochi autori, come appunto Andersch, che hanno come tema delle proprie opere, in parte, quegli anni, in realtà, a detta di Sebald, non ne dicono nulla, limitandosi a riproporre (il che annichilisce la ragion d'essere della Letteratura) e accondiscendere la vulgata della tragedia senza responsabili, né cause, né nomi e come qualcosa che non appartiene mai al presente, a nessun presente…

…Il libro non ha mancato di suscitare certo interesse anche in Italia, in particolare si segnala la densa recensione di Gustavo Corni su “L’Indice” del gennaio scorso, per la chiarezza con cui sono indicate le ragioni che hanno concorso alla nascita prima e al consolidamento poi dei “buchi” nella memoria collettiva tedesca. Corni inoltre coglie, negli ultimi anni, i segni di una positiva “normalizzazione” nei rapporti col passato: in letteratura testimoniata dai libri di Sebald e Grass, in sede storiografica da Jörg Friedrich, La Germania bombardata. La popolazione tedesca sotto gli attacchi alleati 1940-1945 (Mondadori 2004, ed. orig. 2002), in patria clamoroso successo editoriale. Ma il recensore, tra i tanti meriti, ha il torto di addebitare a Sebald certa miopia (non aver colto questo processo di “normalizzazione”, testimoniato dalle pubblicazioni recenti di cui sopra, non averne ricercato le ragioni) quando invece - ma poi lo dice, sebbene obliquamente - semplicemente non fece in tempo, perché la morte prematuramente lo colse, nel 2001.
Sebald, come evidenziato da Corni, non risponde adeguatamente al quesito centrale - il perché della rimozione nella memoria collettiva tedesca; egli si limita a documentare la tragedia  e ciò vale a infrangere - merito non da poco - il tabù del silenzio. La risposta di Sebald è presente  implicitamente al termine del testo delle conferenze di Zurigo, e pare confermare quel senso di colpa - irredimibile? - da cui il popolo tedesco è afflitto e dal quale nemmeno lo scrittore si dimostra del tutto immune. Si leggano le sue parole conclusive: “E nel pensare alle notti di fuoco a Colonia, ad Amburgo e a Dresda, dovremmo anche ricordarci che già nell’agosto del 1942 (quando la Wehrmacht, con le avanguardie della sesta armata, aveva raggiunto il Volga e non pochi fra i soldati fantasticavano del tempo in cui, finita la guerra, si sarebbero stabiliti in una tenuta di campagna con un bel giardino di ciliegi sulle rive del placido Don) la città di Stalingrado, in quei giorni traboccante di profughi come più tardi Dresda, veniva bombardata da milleduecento aviatori e che, durante quell’attacco capace di suscitare sentimenti di giubilo fra le truppe tedesche attestate sull’altra sponda, quarantamila persone persero la vita”.

l’opera sistematica di rimozione degli orrori della guerra assume la tetra consistenza di un provvidenziale cono d’ombra che oscura non solo i massacri in cui la popolazione tedesca assume il ruolo di vittima sacrificale, ma anche  retroattivamente, quelli in cui, poco tempo prima, le ‘vittime’ avevano sapientemente interpretato la parte di ‘volenterosi carnefici di Hitler’: “ un popolo che aveva assassinato e torturato milioni di persone nei suoi lager non poteva certo chiedere conto alle potenze vincitrici della logica politico-militare che aveva imposto la distruzione delle città tedesche” ...
Questa richiesta di oblio suona come bestemmia davanti a quel Sebald che aveva ‘aperto’ la prima delle quattro Vite del suo primo libro, quella del dottor Henry Selwin, con l’epigrafe-emblema : ”Distruggete anche l’ultima cosa, il ricordo no”.  La cronaca dell’orrore è quindi necessaria, anche se dovrà evitare il rischio di ricavare effetti estetizzanti dalle rovine di un mondo devastato perché altrimenti  “ la letteratura contravviene invece alla propria legittimazione”.  Frames indelebili del libro: la madre con il cadavere carbonizzato del bambino dentro la valigia, il libraio che spaccia sottobanco, come materiale pornografico, le foto dei cadaveri, la massaia che lava i vetri in un casa intatta in mezzo al deserto di macerie, lo scrittore che scopre di essere straniero perché, in treno, è l’unico a non guardare fuori dal finestrino la schiera interminabile delle rovine e delle macerie, la devastazione dello zoo di Amburgo, tanto simile nella descrizione al delirio ebbro del Kusturica di “Underground”, lo scempio di quella replica dell’Eden che,secondo la volontà di potenza dei regnanti europei, dovevano essere i giardini zoologici delle grandi capitali europee.
da qui



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