qui Sebald racconta qualcosa di chi c'era.
una poesia di Bertolt Brecht:
La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente egualmente.
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente egualmente.
cosa sappiamo dei bombardamenti in Irak e in Afghanistan? - franz
Merita
d'essere letto non perché sia il libro migliore del grande scrittore tedesco
morto nel 2001 in un incidente d'auto, ma perché è un libro sulla letteratura
in cui, oltre a tutte le tematiche che trovano spazio nella sua straordinaria
opera, viene messa in luce la radice dell'oblìo (o una di esse) da cui tutto
quello che Sebald scrive nasce: l'incapacità di farsi carico della
responsabilità del mondo da parte di almeno due generazioni di tedeschi (e il
primo riferimento che mi viene in mente al proposito è la lacuna del tempo di
cui parla Hannah Arendt).
Il libro ospita due contributi: il primo ha come tema l'assenza, nella letteratura dell'immediato dopoguerra, della memoria della distruzione delle città tedesche durate il secondo conflitto mondiale; il secondo, tracciando un bilancio della vita e dell'opera di Alfred Andersch, è una riflessione sulla mancanza di elaborazione, da parte degli scrittori tedeschi, di tutto quel che accadde in Germania fino al 1945. E anche quei pochi autori, come appunto Andersch, che hanno come tema delle proprie opere, in parte, quegli anni, in realtà, a detta di Sebald, non ne dicono nulla, limitandosi a riproporre (il che annichilisce la ragion d'essere della Letteratura) e accondiscendere la vulgata della tragedia senza responsabili, né cause, né nomi e come qualcosa che non appartiene mai al presente, a nessun presente…
Il libro ospita due contributi: il primo ha come tema l'assenza, nella letteratura dell'immediato dopoguerra, della memoria della distruzione delle città tedesche durate il secondo conflitto mondiale; il secondo, tracciando un bilancio della vita e dell'opera di Alfred Andersch, è una riflessione sulla mancanza di elaborazione, da parte degli scrittori tedeschi, di tutto quel che accadde in Germania fino al 1945. E anche quei pochi autori, come appunto Andersch, che hanno come tema delle proprie opere, in parte, quegli anni, in realtà, a detta di Sebald, non ne dicono nulla, limitandosi a riproporre (il che annichilisce la ragion d'essere della Letteratura) e accondiscendere la vulgata della tragedia senza responsabili, né cause, né nomi e come qualcosa che non appartiene mai al presente, a nessun presente…
…Il libro non ha
mancato di suscitare certo interesse anche in Italia, in particolare si segnala
la densa recensione di Gustavo Corni su “L’Indice” del gennaio scorso, per la
chiarezza con cui sono indicate le ragioni che hanno concorso alla nascita
prima e al consolidamento poi dei “buchi” nella memoria collettiva tedesca.
Corni inoltre coglie, negli ultimi anni, i segni di una positiva
“normalizzazione” nei rapporti col passato: in letteratura testimoniata dai
libri di Sebald e Grass, in sede storiografica da Jörg Friedrich, La
Germania bombardata. La popolazione tedesca sotto gli attacchi alleati
1940-1945 (Mondadori 2004, ed. orig. 2002), in patria clamoroso
successo editoriale. Ma il recensore, tra i tanti meriti, ha il torto di
addebitare a Sebald certa miopia (non aver colto questo processo di
“normalizzazione”, testimoniato dalle pubblicazioni recenti di cui sopra, non
averne ricercato le ragioni) quando invece - ma poi lo dice, sebbene
obliquamente - semplicemente non fece in tempo, perché la morte prematuramente
lo colse, nel 2001.
Sebald, come evidenziato da Corni, non
risponde adeguatamente al quesito centrale - il perché della rimozione nella
memoria collettiva tedesca; egli si limita a documentare la
tragedia e ciò vale a infrangere - merito non da poco - il tabù del
silenzio. La risposta di Sebald è presente implicitamente al termine
del testo delle conferenze di Zurigo, e pare confermare quel senso di colpa -
irredimibile? - da cui il popolo tedesco è afflitto e dal quale nemmeno lo
scrittore si dimostra del tutto immune. Si leggano le sue parole conclusive: “E
nel pensare alle notti di fuoco a Colonia, ad Amburgo e a Dresda, dovremmo
anche ricordarci che già nell’agosto del 1942 (quando la Wehrmacht, con le
avanguardie della sesta armata, aveva raggiunto il Volga e non pochi fra i
soldati fantasticavano del tempo in cui, finita la guerra, si sarebbero
stabiliti in una tenuta di campagna con un bel giardino di ciliegi sulle rive
del placido Don) la città di Stalingrado, in quei giorni traboccante di
profughi come più tardi Dresda, veniva bombardata da milleduecento aviatori e
che, durante quell’attacco capace di suscitare sentimenti di giubilo fra le
truppe tedesche attestate sull’altra sponda, quarantamila persone persero la
vita”.
…l’opera sistematica di rimozione degli orrori della
guerra assume la tetra consistenza di un provvidenziale cono d’ombra che oscura
non solo i massacri in cui la popolazione tedesca assume il ruolo di vittima
sacrificale, ma anche retroattivamente, quelli in cui, poco tempo prima,
le ‘vittime’ avevano sapientemente interpretato la parte di ‘volenterosi
carnefici di Hitler’: “ un popolo che aveva assassinato e torturato milioni di
persone nei suoi lager non poteva certo chiedere conto alle potenze vincitrici
della logica politico-militare che aveva imposto la distruzione delle città
tedesche” ...
Questa richiesta di oblio suona come bestemmia davanti
a quel Sebald che aveva ‘aperto’ la prima delle quattro Vite del suo primo libro, quella del dottor Henry Selwin,
con l’epigrafe-emblema : ”Distruggete anche l’ultima cosa, il ricordo
no”. La cronaca dell’orrore è quindi necessaria, anche se dovrà evitare
il rischio di ricavare effetti estetizzanti dalle rovine di un mondo devastato
perché altrimenti “ la letteratura contravviene invece alla propria
legittimazione”. Frames indelebili del libro: la madre con il cadavere carbonizzato del bambino
dentro la valigia, il libraio che spaccia sottobanco, come materiale
pornografico, le foto dei cadaveri, la massaia che lava i vetri in un casa
intatta in mezzo al deserto di macerie, lo scrittore che scopre di essere
straniero perché, in treno, è l’unico a non guardare fuori dal finestrino la schiera
interminabile delle rovine e delle macerie, la devastazione dello zoo di
Amburgo, tanto simile nella descrizione al delirio ebbro del Kusturica di
“Underground”, lo scempio di quella replica dell’Eden che,secondo la volontà di
potenza dei regnanti europei, dovevano essere i giardini zoologici delle grandi
capitali europee.
da qui
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