Nei giorni scorsi Gianrico Carofiglio ha citato in giudizio Vincenzo Ostuni, poeta e editor della casa editrice Ponte alle Grazie, per aver affermato sulla propria pagina facebook all'indomani del Premio Strega dello scorso luglio che il suo ultimo romanzo, Il silenzio dell'onda, sarebbe «un libro letterariamente inesistente, scritto con i piedi da uno scribacchino mestierante, senza un'idea, senza un'ombra di 'responsabilità dello stile', per dirla con Barthes». Le storie letterarie sono piene di stroncature assai più feroci, eppure questa è in assoluto la prima volta che uno scrittore italiano ricorre alla magistratura contro un collega per far sanzionare dalla legge un giudizio critico sfavorevole. Non è necessario condividere il parere di Ostuni per rendersi conto che la decisione di Carofiglio costituisce in questo senso un precedente potenzialmente pericoloso. Se dovesse passare il principio in base al quale si può essere condannati per un'opinione - per quanto severa - sulla produzione intellettuale di un romanziere, di un artista o di un regista, non soltanto verrebbe meno la libertà di espressione garantita dalla Costituzione, ma si ucciderebbe all'istante la possibilità stessa di un dibattito culturale degno di questo nome. La decisione di Carofiglio è grave perché, anche a prescindere dalle possibilità di successo della causa, la sua azione legale palesa un intento intimidatorio verso tutti coloro che si occupano di letteratura nel nostro paese. Ed è tanto più grave che essa giunga da un magistrato e parlamentare della Repubblica. Per questi motivi offriamo la nostra solidarietà a Vincenzo Ostuni e ci diamo appuntamento mercoledì 26 alle 11 davanti al commissariato di Piazza del Collegio Romano - il commissariato di don Ciccio Ingravallo in Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda - per pronunciare pubblicamente la frase incriminata di Ostuni e rivendicare il diritto alla libertà di parola e di critica. E invitiamo scrittori, intellettuali e cittadini a iniziative analoghe.
da qui
Una parte di me da un pezzo vagheggia una genia di giudici artisti (e soprattutto, confesso, di giudici critici). Che alla dottrina professionale e alla dirittura morale associno un altrettanto incontrovertibile talento letterario. Ma è dalla scomparsa del grande Salvatore Satta che una simile creatura latita dal bestiario delle Patrie Lettere. La sua contraffazione più fortunata è Gianrico Carofiglio, magistrato dal 1986 e scrittore dal 2002 – quando parte la resistibile ascesa del legal thriller all’italiana. Dai suoi romanzi, tradotti in sedici lingue e venduti in tre milioni e passa di copie, sono stati tratti film e graphic novel; a Pordenone, nei giorni scorsi, la fila per pendere dalle sue labbra era la più lunga; e quando lo incontrano le signore frementi di passione civile, sotto lo sguardo di ghiaccio dei suoi, abbassano trepide gli occhi. Nel 2008, a sancire il suo status di artista di Stato (o almeno di Partito – PD, ovvio), il laticlavio di Senatore della Repubblica.
Al culmine dell’ascesa, improvviso quanto fatale, l’incidente. Se da noi uno scrittore vende così tante copie, c’è un filtro magico che superstizione vuole in grado di moltiplicarle senza freni. Un filtro dal colore respingente, e dal sapore peggio, che dà il nome al più squalificato dei Premi letterari: lo Strega. Il quale mi sono ormai convinto che – come Alcina o Armida nei gran poemi antichi – ad altro non serva che a far ammattire chi vi s’impegola. Per esempio, quest’anno, la magna Rizzoli. Che, orba dal lontano 2003, ha schierato proprio il marziale Carofiglio (cintura nera di karate, riportano sempre trepide le cronache). Mentre la non meno rampante GEMS, sotto il marchio Ponte alle Grazie (dove fa l’editor il non meno combattivo poeta Vincenzo Ostuni), presentava Emanuele Trevi. È andata a finire che tra i due litiganti, per l’ennesima volta, ha goduto Mondadori (ai voti propri sommando, per magia, quelli einaudiani). Il più scontato dei copioni, insomma...
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