venerdì 14 agosto 2015

La saga estiva della gioventù consumata – Ilvo Diamanti

Questa gioventù consumata. Esaurisce la vitalità e la vita stessa in discoteca e nei dintorni. Questi giovani: che si avvelenano con pasticche e droghe.
Stupefacenti. Sono loro i protagonisti di questa estate torrida. D’altronde, i giovani suscitano sempre – e da sempre - l’attenzione  sociale. Perché sono l’icona del futuro. Il luogo della speranza. Ma quando interpretano, da protagonisti, episodi di morte, generano un’angoscia che va oltre il fatto specifico. D’altronde, le tragedie si ripetono, da qualche settimana. In diverse parti d’Italia. Nella riviera romagnola, ma anche in Salento e, ancora, nel messinese. Dove alcuni giovani sono morti. Stroncati, pare, da “ecstasy killer”. Pasticche di ultima generazione “consumate” da chi insegue grandi emozioni. Oltre ogni limite. Non solo dai giovani. Ma i giovani, si sa, affollano maggiormente gli ipermarket delle droghe. Che, spesso, affiancano i locali da ballo. E da sballo. Bacini di mercato ampi.

Tuttavia, le principali “cause di morte giovanile” sono diverse. Secondo l’Istat, in primo luogo, gli incidenti stradali. In auto e in moto. Accentuati, anch’essi, dalle droghe, ma, soprattutto, dall’abuso di alcol. Che spingono alla ricerca e al piacere del rischio, alimentato dalla velocità. Non da oggi. Come dimenticare “Il Sorpasso”, capolavoro di Dino Risi, girato nei primi anni Sessanta e interpretato da Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant?

Anche oggi la cronaca degli incidenti mortali che coinvolgono giovani e giovanissimi scandisce le giornate. Con cupa regolarità. Ma la narrazione mediale che accompagna la nostra estate si sofferma soprattutto sui giovani consumati, anzi, fulminati dalle droghe. Fuori dalle discoteche. In riva al mare. Giovani consumati. Come Ismaele. Ammazzato perché colpevole di aver mostrato simpatia verso una ragazza. Impegnata con un altro giovane dello stesso paese. Intorno a Urbino.

Eppure  le morti dei giovani associate agli sballi alcolici  e tossici in discoteca ci sono sempre state. Soprattutto in estate. Ma non hanno sempre sollevato la stessa attenzione mediale. Non hanno sempre fatto “notizia”. Negli anni precedenti abbiamo assistito ad altri serial ansiogeni. Anch’essi drammatici, anche se impostati su episodi meno frequenti. Come registra, da tempo, l’Osservatorio sulla Sicurezza, curato da Demos, Oss. di Pavia e Fondazione Unipolis.
I “cani killer”, ad esempio, che, all’improvviso, aggrediscono e sbranano i “padroni”, dopo aver vissuto a lungo, fedeli, accanto a loro. Una follia che esplode soprattutto in estate. Quando la politica fa meno notizia. E non vi sono altri drammi “mediatici”, su cui soffermarsi.

Quest’anno, però, la politica non si è mai fermata. Renzi non va in ferie. E Salvini, Grillo, insieme alla Sinistra Dem: lo (in)seguono. Poi, c’è il dramma degli sbarchi. Che proseguono, un giorno dopo l’altro. Come le morti dei disperati in fuga, che affondano nel mare. Ma non fanno notizia. Perché sono morti e non hanno volto. Mentre i sopravvissuti suscitano polemiche infinite. Dovunque ne sia prevista l’accoglienza. In Italia e nel resto d’Europa.

Così la “saga della gioventù consumata”, fra pasticche e sballi alcolici, orienta la nostra angoscia estiva in direzione a noi più familiare. Perché i giovani riflettono sempre e da sempre le nostre paure. Ma oggi, più di ieri, ci preoccupa la “triste gioventù” (come la definisce Elisa Lello in un saggio di prossima pubblicazione per Maggioli). “Triste”, perché la attende – e si attende - un futuro precario. Da precari. In una società certamente incerta. Dove il tempo è ridotto a un eterno presente. “Triste”, perché l’immagine dei giovani riprodotta sui media riflette il sentimento degli adulti. Le loro paure: sono anzitutto le nostre. La tristezza di questa “gioventù consumata”, in effetti,
 è la nostra. Noi, schiacciati sull’immediato, proiettiamo sui giovani la nostra in-capacità di progettare. Di immaginare il domani. “Un” domani. E questa cronaca estiva di tragici sballi giovanili rispecchia la nostra paura di perderci. Nel presente infinito.

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