lunedì 3 agosto 2015

La morte stra-annunciata del piccolo Ali - Paola Caridi

È solo l’ultimo di almeno 120 attacchi perpetrati dai coloni israeliani in Cisgiordania contro i palestinesi, dall’inizio dell’anno. Solo l’ultimo di 120 attacchi, secondo i dati delle Nazioni Unite che stilano con precisione burocratica rapporti, grafici, statistiche, bollettini su quello che succede nel Territorio palestinese occupato, in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est. Poco meno di un attacco al giorno, contro le persone, le case, le macchine, gli olivi, le campagne.
Quella di Ali Saad Dawabsheh, appena 18 mesi, morto bruciato nella sua casa di Duma, è dunque una morte annunciata. Stra-annunciata, per chi guarda e conosce la Palestina, Israele, il conflitto, l’occupazione. Una morte a sorpresa, invece, per il telespettatore medio, per il lettore di quotidiani e riviste. Perché nulla, o quasi nulla, è stato detto in questi mesi e in questi anni della violenza perpetrata dai coloni israeliani che vivono, e continuano a costruire, in Palestina, territorio occupato. Neanche due giorni fa, il governo israeliano ha approvato altri 300 alloggi per i coloni. È il governo presieduto dallo stesso Benjamin Netanyahu che oggi si è dichiarato “sconvolto” dal l’uccisione di Ali Saad Dawabsheh.
Ali Saad Dawabsheh è morto bruciato vivo. La sua famiglia è all’ospedale. Suo fratello maggiore, di soli quattro anni. I suoi genitori, in condizioni critiche per le ustioni. Vivevano in una casetta nel paese di Duma, zona di Nablus, zona ad alta concentrazione di colonie israeliane. E di colonie radicali, rigonfie di estremisti. Non è un fulmine a ciel sereno. Gli attacchi notturni con le molotov, la distruzione di macchine, i raid nei villaggi sono all’ordine del giorno. E vanno in massima parte impuniti, come stigmatizzato da tutte le associazioni di difesa dei diritti umani e civili. In prima fila, le associazioni israeliane, come Breaking the Silence e Bt’selem, le stesse associazioni che subiscono in Israele attacchi durissimi da parte della destra, e di una maggioranza silenziosa che poco ha fatto in questi anni per la pace tra israeliani e palestinesi. Tanto poco ha fatto, da aver sostenuto l’ascesa al potere di Benjamin Netanyahu, della destra religiosa, e della destra nazionalista laica.
Non è nascondendo la violenza dei coloni, i cosiddetti price-tag-attacks, gli attacchi (incendiari) contro le chiese (quella della Moltiplicazione, per esempio) ad opera di estremisti israeliani, che si sostiene e si aiuta Israele. Non lo si aiuta per nulla, nascondendo la realtà. Al contrario, non si fa altro che acuire le fratture, fare di tutta l’erba un fascio, confondere ebrei e israeliani, estremisti e persone per bene. Occorre imparare a usare le parole, quelle giuste. E per esempio riflettere quando, come ha fatto lo Huffington Post versione italiana, si scrive che sono stati “nazionalisti ebrei” a commettere il crimine perpetrato a Duma. Cosa significa “nazionalisti ebrei”? Perché confondere l’ebraismo, una fede, con chi uccide? È lo stesso errore che si fa quando si parla di “islamici” e “terroristi islamici”. Lo stesso terribile errore. Confondere la fede e l’uomo. Sono criminali, coloro che hanno ucciso il piccolo Ali, e che hanno rischiato di sterminare la sua famiglia. Hanno molto probabilmente un passaporto israeliano e un’idea folle della loro religione. Ma non si confonda il loro Dio con la loro mano.
PS.: un’altra notiziola non è stata considerata degna di nota, qualche settimana fa, dalla nostra stampa. Lo Stato di Palestina ha depositato il 25 giugno scorso un rapporto al Tribunale Internazionale Penale Permanente, al quale ha aderito quest’anno. È un rapporto sull’ultima guerra di Gaza, in cui si ritiene che Israele abbia commesso crimini di guerra. Una guerra successa un anno fa, completamente dimenticata. Vittime palestinesi, quasi tutte civili, 2100, tra cui 500 bambini.

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