venerdì 14 agosto 2015

40 anni nel pieno della crisi mediorientale – Sayed Kashua

Tra pochi giorni compirò 40 anni. Il solo pensiero mi terrorizza a tal punto che non ho messo piede fuori di casa per tutta la settimana. I familiari mi hano portato cibo e sigarette, nonostante cerchi di smettere di fumare da una vita. Solo ogni tanto, mi dicono che ho la barba troppo lunga e che sarebbe il caso di radermi, e anche che forse dovrei uscire per una boccata d’aria fresca. Ho deciso di chiudermi in casa in onore del mio quarantesimo compleanno, a leggere libri e giornali e a distrarmi, in attesa che mi passi questo sentimento di infinita tristezza che mi ha assalito e mi tormenta da una settimana.
Volevo informarmi sui marinai che commettono orrendi crimini al largo dell’Oceano Indiano, per sentirmi più al sicuro in casa mia, o provare a capire cosa sta succedendo in Medio Oriente, per sfuggire a quel perenne sentimento di esilio interiore. Ma i tentativi di fuga hanno solo peggiorato le cose; ho capito, ancora più chiaramente, che mi sfugge il senso della vita e che sono completamente impotente nel tentativo di affrontare le mie personali angosce esistenziali, almeno quanto sono incapace di seguire gli sviluppi della situazione politica.
Questa settimana ho letto dell’ordinanza del tribunale che impone di demolire le costruzioni illegali nell’insediamento di Beit-El, in Cisgiordania e degli scontri tra i coloni e la polizia e mi sono tornate alla mente le parole che pronunciò un professore universitario oltre 10 anni fa, nel 1993. No, un attimo: non sono passati solo 10 anni e io non ne ho più 30. Ohhh, è stato 20 anni fa, forse addirittura 22? Santo Cielo! In ogni caso, il professore disse questo, mentre commentava una dichiarazione di Yitzhak Rabin sui coloni: “Possono girare a vuoto come le pale di un ventilatore,” disse il primo ministro con disprezzo, nell’epoca felice dei colloqui che avrebbero dovuto assicurare pace, libertà e un futuro migliore.

“Rabin sa perfettamente cosa sta facendo,” disse il professore fiducioso, spiegando che il suo scopo era quello di innervosire i coloni, che avrebbero quindi manifestato contro di lui e contro la possibilità della restituzione delle terre ai Palestinesi e alla Siria. “Il Primo Ministro vuole che vi siano tali manifestazioni contro il suo governo,” aveva aggiunto il professore, apparentemente senza una vera logica. “Il premier vuole a tutti i costi vuole restituire quella terra,” aveva continuato.“Deve creare un’opposizione che sembri credibile agli occhi del mondo, per poi porsi come una personalità che si erge contro larghi segmenti dell’opinione pubblica, dimostrando che ogni centimetro di terra riconsegnato è una concessione dolorosa da parte sua e del popolo israeliano.”
“Quindi lei sostiene che sia solo uno spettacolino ipocrita?” ricordo di aver detto quasi senza riflettere, perché volevo, anzi voglio ancora, credere che una qualche forma di giustizia esista, che esistano ancora cose che possono essere definite ‘valori’. “No,” rispose il professore. “Non è una farsa, sono semplicemente le regole del gioco,” spiegò, sorridendo. E io, privo come sono di capacità analitica, non sapevo se si stesse prendendo gioco di me, esattamente come Rabin.
Oggi, dopo un milione di anni, ancora non capisco; di sicuro, la saggezza di Rabin non può essere paragonata alla chiarezza delle azioni del governo attuale, ma ancora mi chiedo: si parla di “costruzioni illegali” per distinguerle da quelle “legali?” E i Ministri continuano a parlare di uno Stato di diritto, come se in Palestina fosse possibile far riferimento a un quadro di leggi che non siano quelle razziali. E poi ci sono quelli che si indignano perché i coloni metterebbero in pericolo i propri figli, e i cittadini che vivono in Israele ne traggono consolazione, perché sono diversi da quei “folli”: quanto meno, non rischiano di portare i loro bambini nei territori arabi. “Questo è un avvertimento,” ha dichiarato un giornalista di fama, “per tutti coloro che ancora coltivano l’idea di evacuare gli insediamenti in futuro.
Ad ogni modo, le notizie da Israele sono piuttosto chiare, se paragonate ai miei tentativi di capire cosa sia lo Stato Islamico, anche detto ISIS o ISIL, cosa stia accadendo nel mondo Arabo e chi sia contro chi. Giuro di aver letto ogni possibile analisi scritta da giornalisti arabi, americani e israeliani, da liberali, islamisti, comunisti e sionisti, e anche da chi non ha altra ideologia se non la mole del pubblico dei suoi lettori. Ho letto teorie complottiste, tesi che rimandavano al colonialismo, alla visione del mondo salafita e anche al petrolio.
Ho letto accuse dirette all’Arabia Saudita, agli Stati Uniti e agli Stati del Golfo, ai Wahabiti, ai Sunniti, agli Sciiti, a Ibn Tamimi, al colonialismo, a Karl Marx, a Gamal Abdel Nasser e Sykes-Picot e non ho capito nulla. “Cerca sempre chi ha qualcosa da guadagnare da una guerra,” è stato scritto, con riferimento al petrolio e ai mercanti d’armi, ma non ho ancora compreso appieno il meccanismo. Forse, un agente dei produttori di armi si reca nella regione e convince gli arabi a innescare una crudele guerra? E cosa significa esattamente l’espressione “gli interessi dei poteri forti”? Come funzionano? Senza parlare di Israele, che non vuole l’ISIS ai suoi confini, ma neanche Hamas, Fatah, Hezbollah o il regime siriano, e cosa sono esattamente questi confini?
Mi sono chiesto se esista la seppur minima possibilità di conoscere almeno una piccola parte della verità e se gli analisti e i commentatori capiscano realmente cosa succede intorno a loro. Qualcuno lo sa? Ci sono agenti segreti senza volto, senza nome né identità, che girano per il mondo come fantasmi, sanno tutto ma non lo dicono a nessuno? Quanto guadagnano e come si finisce a fare quel lavoro? Le altre persone capiscono che sono dei pezzi grossi quando entrano in una stanza? Non lo so, io non sono uno che fa caso ai dettagli.
In ogni caso, ho 40 anni, e forse è meglio che mi concentri sulla mia crisi di mezza età e non su quelle politiche. Lo spirito di ribellione è un fattore legato all’età, in fondo. Quand’ero piccolo, sentivo gli adulti che parlavano di gente finita in ospedale, a cui il medico aveva raccomandato di “seguire meno notiziari”. Credo proprio di aver raggiunto quell’età. Non sono le notizie di per sé ad avere un pessimo effetto su di me, quanto la mia totale incapacità di comprenderle. Devo trovare modi alternativi e più salutari per distrarmi, magari coltivando un nuovo hobby. In ogni caso, devo trovare un modo divertente di passare il tempo… in attesa della pace.
(Haaretz -traduzione di Romana Rubeo)

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