In una delle sue ultime interviste rilasciate
in vita, la sola per un giornale israeliano, l’Ha’aretz Magazine, Edward Said descrive il conflitto fra Israele e Palestina
come una disperata e immensa sinfonia. Costruito su uno svolgimento
complicatissimo di stratificazioni storiche, di non risarcibili sofferenze
individuali, di tragici errori politici, di responsabilità nazionali e
internazionali, quel conflitto potrebbe essere sciolto solo da una mente
grandiosa come quella di JS Bach. Ci vorrebbe una politica portata
a quell'altezza di narrazione e di comprensione del reale; una diplomazia
educata all'arte del contrappunto e per questo capace di organizzare un
groviglio di conflitti senza apparente soluzione in un processo molto più ampio
e dinamico, di differenziazione e di riconoscimento. Proprio come nelle
Variazioni Goldberg. Senza annullare le differenze; senza farle reciprocamente
deflagrare. Non è strano, né tantomeno casuale, che Said pensi alla politica
attraverso la musica. Perché nella sua riflessione teorica, il legame che
stringe queste due esperienze umane, apparentemente lontanissime, è per contro
nitido ed essenziale…
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