l'ultima volta che
sono stato a Praga ero con Tomas, Nicola e Francesca (allora 49 anni in tre), e
un giorno siamo andati a Lidice, mezz'ora di autobus da Praga.
c'è solo spazio, campagna,
un museo e una grande scultura con dei bambini (qui si può vedere) e poco altro.
poi, se ti è andata
bene, torni a casa sconvolto.
furono girati
diversi film di questa storia, ne ricordo due:
“Anche i boia
muoiono”, di Fritz Lang, del 1943 (anche Bertolt Brecht ha partecipato alla
sceneggiatura, anche se ci furono dei problemi; Tuttavia, a detta di Lang,
questo rimane un film brechtiano al 90 per cento.)
e
"Operation:
Daybreak" (E l'alba si macchiò di rosso), di Lewis Gilbert,del 1975.
Reinhard
Heydrich era comandante di divisione delle SS e nel 1941 fu nominato da Hitler
governatore del cosiddetto Protettorato di Boemia e Moravia. Heydrich era il
prototipo del gerarca hitleriano, tanto feroce da guadagnarsi il soprannome di
“boia di Praga”, acceso sostenitore della “Soluzione finale” tanto da
coordinare personalmente la conferenza di Wannsee del gennaio 1942 dove lo
sterminio del popolo ebraico fu dettagliatamente pianificato. Logico che il
governo cecoslovacco in esilio a Londra avesse convinto gli inglesi a far fuori
un simile mostro.
L’operazione – non a caso – venne battezzata “Anthropoid”, perché il disumano Heydrich dell’uomo aveva solo le sembianze.
Jan Kubiš e Jozef Gabčík, così si chiamavano i due paracadutisti cechi incaricati ed addestrati a portare a termine la missione.
Il 27 maggio del 1942 Kubiš e Gabčík intercettarono Heydrich che viaggiava senza scorta per le vie di Praga su una macchina scoperta, ostentando un’incauta sicumera, e riuscirono a colpire il veicolo con una granata anticarro. Heydrich morì qualche giorno dopo in seguito alle ferite riportate. I nazisti scatenarono una colossale caccia all’uomo e migliaia di persone furono arrestate e torturate nel corso delle indagini sull’attentato. La fidanzata di Kubiš, Anna Malinová, fu detenuta, torturata e infine inviata al campo di sterminio di Mauthausen dove morì. Molti altri parenti ed amici degli uomini del commando furono uccisi. Kubiš e Gabčík stesi non riuscirono ad abbandonare Praga e furono scovati un paio di settimane più tardi, nascosti in una chiesa ortodossa insieme ad altri patrioti. Dopo sei ore di violentissimo conflitto a fuoco con le SS, vistisi perduti, Kubiš e Gabčík preferirono darsi la morte.
Fremente di rabbia per aver perso uno dei suoi uomini migliori e per non aver potuto catturare vivi gli attentatori, Hitler organizzò personalmente una ritorsione esemplare. Scelse un piccolo villaggio nei pressi di Praga, Lidice, e ordinò che tutti i maschi sopra i 16 anni fossero fucilati (192 morti) e che le donne e i bambini fossero deportati a Ravensbrück e Chelmno (pochissimi scamparono alla morte). Le povere case di Lidice furono date alle fiamme ed il villaggio raso al suolo e cancellato dalla mappe.
In onore del “boia di Praga” la costruzione dei primi tre campi di sterminio tedeschi (Treblinka, Sobibór e Bełżec) prese il nome di “Operazione Reinhard”.
L’operazione – non a caso – venne battezzata “Anthropoid”, perché il disumano Heydrich dell’uomo aveva solo le sembianze.
Jan Kubiš e Jozef Gabčík, così si chiamavano i due paracadutisti cechi incaricati ed addestrati a portare a termine la missione.
Il 27 maggio del 1942 Kubiš e Gabčík intercettarono Heydrich che viaggiava senza scorta per le vie di Praga su una macchina scoperta, ostentando un’incauta sicumera, e riuscirono a colpire il veicolo con una granata anticarro. Heydrich morì qualche giorno dopo in seguito alle ferite riportate. I nazisti scatenarono una colossale caccia all’uomo e migliaia di persone furono arrestate e torturate nel corso delle indagini sull’attentato. La fidanzata di Kubiš, Anna Malinová, fu detenuta, torturata e infine inviata al campo di sterminio di Mauthausen dove morì. Molti altri parenti ed amici degli uomini del commando furono uccisi. Kubiš e Gabčík stesi non riuscirono ad abbandonare Praga e furono scovati un paio di settimane più tardi, nascosti in una chiesa ortodossa insieme ad altri patrioti. Dopo sei ore di violentissimo conflitto a fuoco con le SS, vistisi perduti, Kubiš e Gabčík preferirono darsi la morte.
Fremente di rabbia per aver perso uno dei suoi uomini migliori e per non aver potuto catturare vivi gli attentatori, Hitler organizzò personalmente una ritorsione esemplare. Scelse un piccolo villaggio nei pressi di Praga, Lidice, e ordinò che tutti i maschi sopra i 16 anni fossero fucilati (192 morti) e che le donne e i bambini fossero deportati a Ravensbrück e Chelmno (pochissimi scamparono alla morte). Le povere case di Lidice furono date alle fiamme ed il villaggio raso al suolo e cancellato dalla mappe.
In onore del “boia di Praga” la costruzione dei primi tre campi di sterminio tedeschi (Treblinka, Sobibór e Bełżec) prese il nome di “Operazione Reinhard”.
Jozef
Gabcik
(Poluvsie,
8 aprile 1912 - Praga, 18 giugno 1942)
Ho
guardato negli occhi il mostro. Mi ero addestrato per farlo. Avevo ripetuto
azione su azione nel nostro campo in Scozia. Tutto doveva funzionare come un
orologio.
Eravamo
stati paracadutati a dicembre per ucciderlo. Uccidere l’uomo della conferenza
di Wannsee che aveva pianificato la soluzione finale del popolo ebraico era la
nostra missione. Reinhard Heydrich era davanti a me. Ucciderlo era un nostro
dovere e un nostro diritto. Era il mio dovere, ma il mitra si inceppò.
Il suo
viso. L’aria di Praga. Lo sguardo del maestro quando sbagliavo il compito. Mio
padre. La ragazza alla fermata del tram. L’automobile. Tutto s’era fermato.
Anche il mio cuore. Poi Jan Kubis gettò la bomba e per il Boia fu la fine. Cinque
mesi di attesa in un attimo. La bomba che esplode, il mio mitra che s’inceppa,
l’auto che rallenta, il nervosismo dell’attesa, la corsa in bicicletta, la
sigaretta dopo colazione, aprire gli occhi e dirsi “Oggi è il giorno. Oggi lo
uccidiamo”, il letto caldo, il sonno tranquillo. Non c’era stato il tempo
nemmeno per la paura. Lo avevamo fatto noi, ma era come se lo avessero fatto
tutti.
Era la
prima volta che nel cuore dell’Europa un capo nazista veniva ucciso. Volevamo
che capissero che per loro nessun luogo sarebbe stato sicuro. Che per i loro
delitti prima della giustizia di Dio ci sarebbe stata la giustizia degli
uomini. Nessun perdono per i nazisti. La loro vendetta fu terribile. Rasero al
suolo un intero villaggio per vendicare Heydrich. Poi iniziarono a cercarci. Ci
eravamo nascosti in una cripta. Qualcuno parlò e fu la fine. Volevano prenderci
vivi, ma non ci riuscirono. Due battaglioni di SS circondarono la chiesa.
Provarono a farci uscire con il fumo. Provarono con l’acqua. Tutto inutile.
Eravamo dei soldati. La missione era compiuta. Il Boia era morto. Il loro
meccanismo perfetto si era inceppato. Ucciderlo era un nostro dovere e un
nostro diritto di uomini. Tenemmo l’ultima pallottola per noi.
…È la
sera del 10 giugno del 1942. In una cittadina della Boemia centrale, a ventitré
chilometri da Praga, i cinquecento abitanti sono già a letto. La maggior parte
di loro sono minatori, operai metallurgici, contadini, e la mattina si alzano
all’alba. Dai boschi una brezza soffia in direzione del paese e fischia quando
imbocca i porticati e le stradine del centro. Nessuno sente il convoglio di
camion che arriva e si ferma alle prime case. Nessuno sente i passi di corsa
sui selciati, o il tintinnio metallico, come centinaia di monete che si
scuotono nei salvadanai. Poi, un grido, in tedesco. Il segnale. E tutto
comincia.
Sei
giorni prima, a Praga, il Reichsprotektor, l’SS-Obergruppenführer Reinhart
Heydrich, noto anche come la Bestia bionda o Der Henker (Il boia), è stato
ucciso da due paracadutisti cechi addestrati in Inghilterra e alcune piste
della Gestapo confermano che i due attentatori provengono da un piccolo
villaggio a ventitré chilometri da Praga.
Le SS
sono millecinquecento. Tirano giù dal letto gli abitanti, ordinano loro di
raccogliere i propri averi e li trascinano fuori, in strada. Li spintonano, li
colpiscono col calcio del fucile. Uccidono tutti gli animali domestici. Poi
ammassano le donne e i bambini nella palestra del liceo, rinchiudono gli uomini
nello scantinato di una fattoria e, nonostante la notte calma e piena di
stelle, non parlano e non esitano. Saccheggiano ognuna delle novantasei case,
fanno irruzione negli edifici pubblici, prendono libri, quadri, radio, macchine
da cucire e li gettano in strada. Tornano a occuparsi degli abitanti soltanto
alle cinque del mattino. Le centosessanta donne e i centocinque bambini vengono
fatti salire su alcuni camion diretti a Kladno e poi al campo di concentramento
di Ravensbrück. I bambini considerati non adatti alla germanizzazione verranno
gassati. Gli altri, dati in affidamento. Diciassette cresceranno come cittadini
tedeschi. Nessuno dei centottantotto uomini, invece, lascerà il paese. Vengono
radunati di fronte a un muro rivestito di materassi, perché le pallottole non
rimbalzino. Ne fucilano cinque alla volta. Troppo lungo, troppo faticoso,
protesta qualcuno. Si prova con dieci: meglio. Quando è giorno e le SS
pensano di aver finito, un gruppo di minatori del turno di notte entra in
paese. Tocca rimettersi sotto…
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