lunedì 19 maggio 2014

21 maggio 1937: i “bravi italiani” fanno una strage a Debre Libanos, in Etiopia

le “nostre” Fosse Ardeatine, quando moriva un prete cattolico nella guerra civile spagnola era un crimine, per chi ammazzava centinaia di monaci non cattolici in un colpo solo.
già allora un monaco africano valeva centinaia di volte meno di un prete europeo - franz


IOIWTW Clip - The Massacre of Debre Libanos from Awen Films on Vimeo.


Giugno 1936. L’Etiopia resta per quasi due terzi da occupare soprattutto nell’ovest e nel sud dell’impero.
I focolai di guerriglia sono presenti nello Scioa e lungo la ferrovia Addis Abeba-Gibuti. Difficoltà anche a causa della stagione delle piogge che blocca i movimenti nelle strade e rende difficili i rifornimenti.
Graziani è praticamente assediato ad Addis Abeba, mentre Badoglio è in Italia a riscuotere premi e onori.
In complesso il periodo da maggio a ottobre ha un carattere prevalentemente difensivo. Si intensifica la repressione del ribellismo.
Nei primi giorni di giugno Mussolini telegrafa a Graziani i seguenti ordini:
Tutti i ribelli fatti prigionieri devono essere passati per le armi” (tel n. 6496)
Per finirla con i ribelli…impieghi i gas” (tel.6595)
Autorizzo ancora una volta V.E a iniziare e condurre sistematicamente la politica del terrore e dello sterminio contro i ribelli e le popolazioni complici. (tel n. 8103)
Poggiali, nel suo Diario AOI, scrive a proposito di Addis Abeba: “Intorno alla città vi sono bande armate e minacciose. Da una settimana si vive sotto l’incubo di un assalto in grande stile“.
L’attacco viene sferrato il 28 luglio.
Nel timore che la popolazione insorga i carabinieri operano arresti di massa di etiopi adulti e Poggiali afferma: “Probabilmente la maggior parte è innocente persino di quanto accaduto. Trattamento superlativamente brutale da parte dei carabinieri, che distribuiscono scudisciate e colpi di calci di pistola”

…Benvenuti nella Lourdes d’Etiopia. «Vaticano» degli ortodossi. Santuario fondato nel XIII secolo – si dice – da Tekla Haimanot, uno dei santi più venerati di tutto questo paese, che oggi con oltre 70 milioni di abitanti è il secondo più popoloso dell’intera Africa. Con le sue 85 comunità etniche è un mosaico di popoli e culture quasi unico nel continente. I fedeli arrivano qui a migliaia a bordo di ogni mezzo di trasporto. Poi camminano qualche chilometro prima di raggiungere la spianata del santuario. Sul ciglio della strada pellegrini, mendicanti, venditori di souvenir religiosi, anziani, piccoli vestiti di cenci, aspiranti parcheggiatori per i veicoli dei pochi turisti. Ma soprattutto una distesa di ammalati, storpi e menomanti: qui la cecità costituisce ancora un handicap diffusissimo (6 medici ogni 100.000 abitanti), una condanna senza appello alla miseria. È olfattivo il primo impatto sul piazzale del monastero: un fetore acre prende lo stomaco. L’odore della malattia. Dell’antico edificio non resta più nulla, incenerito nelle lotte secolari tra cristiani e musulmani. Quella attuale è una chiesa costruita nel 1961 per volontà di Hailé Selassié. Il cupolone ora accesso dal sole sovrasta due blocchi cubici marmorei, sulla facciata le vetrate istoriate filtrano i raggi. Il caravanserraglio di rumori sembra fermarsi davanti alla sobria cancellata d’ingresso. Sul piazzale si prega sotto variopinti ombrelli colorati, spicchi color arcobaleno usati nelle cerimonie ma utili anche per difendersi dal caldo che inizia a picchiar forte. Quello che non si vede, dal sagrato, è la posizione mozzafiato di questo tempio. Abbarbicato sugli strapiombi di una rupe che poi precipita in un canyon scavato dall’erosione delle acque, non lontano dal leggendario Nilo Azzurro.
Cospiratori eritrei
In questo luogo sacro e isolato cercarono rifugio Moges Asgedom e Abriha Deboch, i due giovani cospiratori originari dell’Eritrea che lanciarono una gragnola di bombe a mano contro Graziani nel febbraio di 68 anni fa. Ne è certo Jan Campbell, esperto di sviluppo sostenibile della Banca Mondiale e appassionato ricercatore della storia recente d’Etiopia. «Fuggirono probabilmente nella notte da Addis Abeba a bordo di una Plymouth americana, come mi ha confermato Ato Tebeba Kassa, un testimone dell’epoca», racconta per telefono da Washington. Le truppe italiane, dopo aver disseminato di morti la capitale etiopica («con gli strumenti del più autentico squadrismo fascista», annotò Ciro Poggiali, inviato speciale del Corriere della Sera), salirono a nord verso l’antico santuario copto, sotto i comandi del generale Pietro Maletti. Del Boca ha ricostruito che nella loro marcia di avvicinamento a Debre Libanos, gli zelanti esecutori fascisti – tra cui i «feroci eviratori della banda di Mohamed Sultan» – bruciarono oltre 115.000 tucul (le tipiche capanne), tre chiese, un convento e 2.523 ribelli. Giunti nella zona del santuario, Maletti ricevette le prove di una rapida inchiesta che avrebbe confermato la complicità dei monaci di Debre Libanos con gli attentatori. In risposta, Graziani telegrafò a Maletti: «Passi per la armi indistintamente tutti i monaci, compreso il vicepriore». «La carneficina – dice oggi Del Boca – venne compiuta senza un minimo di certezza, ma solo per il sospetto che due eritrei coinvolti nell’attentato si fossero rifugiati dai monaci». L’indagine dei carabinieri «fu troppo rapida, si comportarono in modo ignobile» aggiunge il professore torinese, 80 anni, che sta scrivendo un altro libro sul periodo coloniale, nel quale rievoca questo massacro (eloquente il titolo del volume: «Italiani, brava gente?»). Le ricerche storiche hanno permesso ormai di costruire con ampi margini di chiarezza quello che avvenne: monaci, sacerdoti, diaconi, pellegrini e il vicepriore di Debre Libanos, vennero passati per le armi. «Maletti – spiega ancora Del Boca – si trovò davanti circa 4-5000 persone e fece una selezione. Se le cifre di Campbell e dello studioso etiope Degife Gabre Tsadik sono corrette, le vittime potrebbero essere oltre 2.000. Furono massacrati anche i poveri pellegrini arrivati il giorno prima a Debre Libanos». Alcuni vennero uccisi nella zona del convento; i cadaveri vennero trasportati con i camion verso il canyon a sette-otto chilometri dal luogo del crimine. Altri invece, sempre a bordo di camion, furono portati in un villaggio isolato e finiti a colpi di mitragliatrice sul bordo di un dirupo, precipitando nella gola di un torrente…

2 commenti:

  1. Come ci siamo scordati velocemente. A differenza di quanto avviene in Germania, noi non abbiamo mai fatto i conti col nostro passato. A piazza Venezia nessuna lapide che ricorda le"adunate oceaniche" a sostegno di Mussolini. Chissà chi era tutta quella gente: gli italiani fascisti? mai! la nostra memoria selettiva ha censurato tutto: orami eravamo tutti nella resistenza e delle stragi nelle colonie la colpa è ovviamente di qualcun'altro!

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    1. il dramma è che non ci siamo dimenticati, ma al contrario ci ricordiamo di continuare come sempre :(

      crepano i pronipoti di quelli che i "bravi italiani" hanno ammazzato in Etiopia, Somalia, Libia cercando di sbarcare in Italia,

      e allo stesso tempo si onora l'assassino Graziani:

      http://danielebarbieri.wordpress.com/2012/10/03/affile-piu-che-sacrario-un-immondezzaio/

      http://danielebarbieri.wordpress.com/2012/11/12/se-affile-si-libera/

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