…il TTIP realizzerebbe l’utopia delle
multinazionali : un pianeta al loro completo servizio, fino al punto di poter
chiamare in giudizio presso una corte speciale, composta da tre avvocati
d’affari rispondenti alle normative della Banca Mondiale, un qualsiasi paese
firmatario, la cui scelte politiche potrebbero avere un effetto restrittivo
sulla loro “vitalità commerciale”; potendole sanzionare con pesantissime multe
per avere, con le proprie legislazioni, ridotto i loro potenziali profitti
futuri. E per le elites dell’Ue rappresenterebbe anche la possibilità di
superare in avanti, attraverso un “meta-trattato” strutturale, l’attuale
difficoltà nell’ imporre, Stato per Stato e governo per governo, le politiche
di austerità e di smantellamento dello stato sociale, artificialmente indotte
dalla crisi del debito pubblico. L’opposizione radicale al TTIP, oltre che una
inderogabile necessità per le vertenze e le conflittualità promosse da
qualsiasi movimento sociale attivo, rappresenta anche una grande opportunità :
ottenere il ritiro “senza se e senza ma” di quello che rappresenta un disegno
esaustivo e totalizzante di un’Europa al servizio dei mercati, metterebbe
automaticamente in campo l’opzione di un’altra Europa possibile, quella dei
popoli, dei beni comuni, dei diritti e della democrazia.
…Il Trattato di Partenariato USA-UE per il Commercio e gli
Investimenti ci promette un reddito aggiuntivo per famiglia di 4 persone di 545
dollari all’anno, a condizione che siano smantellate tutte le leggi e
regolamenti di tutela sanitaria, ambientale, del lavoro, che attualmente
impediscono o limitano la possibilità di realizzare il massimo profitto negli
scambi e negli investimenti. Il che significa: libera produzione, circolazione
e vendita sul mercato europeo degli organismi geneticamente modificati, della
carne agli ormoni, dei polli al cloro. Il “principio di precauzione”sostituito
dalla prova scientifica di nocività dei singoli prodotti, processi produttivi,
componenti. Era stato adottato in Europa all’inizio degli anni 90 in seguito
all’epidemia della “mucca pazza” per ridurre o eliminare - tramite decisioni di
prevenzione – quei rischi che non sono ancora scientificamente provati. Di
conseguenza bando alla etichettatura e tracciabilità dei prodotti alimentari e
chimici. Emblematica la situazione riguardante l’estrazione e lo sfruttamento
del gas di scisto (fracking) : circa11.000 nuovi pozzi scavati in un anno negli
Stati Uniti contro una dozzina in Europa per effetto di divieti e moratorie in
attesa di verificare i rischi che la tecnologia estrattiva può arrecare alla
salute e alla sicurezza delle persone e dell’ambiente.
La segretezza dei negoziati si confà egregiamente alla
passività dei grandi mezzi d’informazione del nostro paese che si guardano bene
dal rompere il silenzio, appena scalfito dall’impegno dei “soliti” mezzi
d’informazione alternativi. E poiché la Commissione Europea tratta e firmerà
l’Accordo a nome e per conto degli Stati membri, rischiamo di trovarci a fine
2014, data prevista per la conclusione dei negoziati, con la brutta sorpresa
del pacco di Natale già confezionato e pronto per l’uso sotto l’albero.
Siamo ancora in tempo per impedirlo. Alla fine degli anni
’90 un analogo pacco-dono del libero mercato, l’AMI – Accordo Multilterale
sugli Investimenti, era stato preparato segretamente dalle stesse oligarchie
che oggi lo traducono nel TTIP e che venne fatto saltare proprio grazie al
fatto che i suoi demenziali contenuti erano divenuti di pubblico dominio. E
c’erano comunque ancora i Tribunali a cui ricorrere per il ripristino dei diritti
negati Ma la totale cancellazione dello Stato Sociale Europeo che ora il TTIP
si propone, la dichiarata subordinazione al profitto di ogni tutela sul lavoro,
la salute, l’ambiente che non sia compatibile con il profitto, può incontrare
ancora forti resistenze nel sistema giudiziario dei paesi più evoluti.
Ecco allora il Tribunale Speciale, organismo
sovranazionale, extra-territoriale – si dice con sede presso la Banca Mondiale
– sul modello del collegio arbitrale le cui sentenze non saranno appellabili
essendo sovraordinate alle stesse Costituzioni nazionali. È molto probabile che
si tratti di tribunali simili a quelli già previsti da Accordi come il NAFTA1,
modellati sui Collegi Arbitrali privati composti da tre arbitri scelti
generalmente tra “principi del foro” un po’ distratti rispetto ai loro
conflitti di interessi e che, una volta nominati, non devono più rendere conto
a nessuno. Possono avvalersi di ogni tipo di strumenti e risorse, in genere
lucrosissime consulenze, test e perizie, le loro decisioni sono definitive e
non possono più essere impugnate. Una gestione della giustizia di ricchi per i
ricchi e che infatti non emette sentenze ma multe, sanzioni, risarcimenti. Così
facendo, la giustizia si misura in dollari. La Lone Pine ad esempio, impresa
californiana dell’energia, ha chiesto al Tribunale Speciale istituito dal
NAFTA*, di condannare lo Stato del Canada a un risarcimento di 191 milioni di
dollari per aver imposto una moratoria sul fracking, il sistema di
frammentazione idraulica per estrarre il gas o il petrolio di scisto. Moratoria
dettata dalla preoccupazione per i rischi per la salute e l’ambiente provocati
da quelle lavorazioni. La Phillip Morris ha invece denunciato l’Australia al
Tribunale Speciale del WTO per le leggi antifumo e chiesto un enorme
risarcimento per i mancati profitti. Addirittura 3,7 miliardi di euro per
mancati profitti delle sue due centrali nucleari tedesche, sono stati chiesti
dalla svedese Vattenfall alla Germania che ha abbandonato la produzione di
energia nucleare dopo il disastro di Fukushima. Si contano ben 514 cause legali
di questo genere negli ultimi vent’anni: 123 sono state promosse da investitori
USA: il 24% del totale; 50 da investitori olandesi, 30 britannici e 20
tedeschi.
La sola minaccia di cause legali per milioni di euro,
intentate da studi legali con centinaia di avvocati per conto delle
multinazionali, può mettere sul chi va là i governi e indurli ad attenuare o
addirittura rinunciare a emanare leggi a tutela del lavoro, salute,ambiente. Se
le decisioni politiche a livello locale, regionale o nazionale corrono questi
rischi di strangolamento economico, ben più disarticolanti di una sentenza
civile o penale , è a rischio la stessa democrazia…
…Se da una parte già si moltiplicano studi e ricerche
che magnificano i presunti vantaggi di una completa liberalizzazione di
commercio e investimenti, dall’altra fino a oggi i contenuti dell’accordo
filtrano dalla Commissione europea e dai governi con il contagocce. Quello che
sembra però confermato è che uno dei pilastri del Ttip dovrebbe essere proprio
l’istituzione di un meccanismo di risoluzione delle dispute fra investitori e
Stati.
Tralasciando i pur enormi potenziali impatti di tale accordo in ogni attività immaginabile, per quale motivo gli investitori esteri che si sentissero penalizzati non dovrebbero rivolgersi ai tribunali esistenti tanto in Usa quanto in Ue, come un qualsiasi cittadino o impresa locale? Secondo la Commissione «alcuni investitori potrebbero pensare che i tribunali nazionali sono prevenuti». Fa piacere sapere che la Commissione si preoccupa per quello che alcuni investitori esteri potrebbero pensare più che dei cittadini che dovrebbe rappresentare. Tenendo poi conto che un singolo non può rivolgersi a tali tribunali nel caso in cui fosse danneggiato dal comportamento di un investitore estero, che giustizia è quella in cui unicamente una delle due parti può intentare causa all’altra? Ancora prima, nel momento in cui si sancisce un diverso trattamento fra imprese locali e investitori esteri, ha ancora senso affermare che «la legge è uguale per tutti»?
Con tali meccanismi si rischia di minare le stesse fondamenta della sovranità democratica. Non vi è appello possibile, così come non c’è nessuna trasparenza sulle decisioni di tre «esperti» che si riuniscono e decidono a porte chiuse, nel nome della «confidenzialità commerciale», ma che di fatto possono influenzare, pesantemente, le legislazioni di Stati sovrani.
Spesso non è nemmeno necessario arrivare a giudizio: la semplice minaccia di una disputa basta a bloccare o indebolire una nuova legislazione. In parte per il costo di tali procedimenti, in parte per il rischio di dovere poi pagare multe che possono arrivare a miliardi di euro, ma anche per un altro aspetto: un governo che dovesse incorrere in diverse dispute dimostrerebbe di essere poco incline agli investimenti internazionali. In un mondo che ha fatto della competitività il proprio faro e che si è lanciato in una corsa verso il fondo in materia ambientale, sociale, fiscale, sui diritti del lavoro pur di attrarre i capitali esteri, l’introduzione di leggi «eccessive» e l’essere citato in giudizio in un Investor-State Dispute Settlement diventano macchie inaccettabili.
O forse, al contrario, è semplicemente inaccettabile un mondo in cui la tutela dei profitti delle imprese ha definitivamente il sopravvento sui diritti delle persone…
da
quiTralasciando i pur enormi potenziali impatti di tale accordo in ogni attività immaginabile, per quale motivo gli investitori esteri che si sentissero penalizzati non dovrebbero rivolgersi ai tribunali esistenti tanto in Usa quanto in Ue, come un qualsiasi cittadino o impresa locale? Secondo la Commissione «alcuni investitori potrebbero pensare che i tribunali nazionali sono prevenuti». Fa piacere sapere che la Commissione si preoccupa per quello che alcuni investitori esteri potrebbero pensare più che dei cittadini che dovrebbe rappresentare. Tenendo poi conto che un singolo non può rivolgersi a tali tribunali nel caso in cui fosse danneggiato dal comportamento di un investitore estero, che giustizia è quella in cui unicamente una delle due parti può intentare causa all’altra? Ancora prima, nel momento in cui si sancisce un diverso trattamento fra imprese locali e investitori esteri, ha ancora senso affermare che «la legge è uguale per tutti»?
Con tali meccanismi si rischia di minare le stesse fondamenta della sovranità democratica. Non vi è appello possibile, così come non c’è nessuna trasparenza sulle decisioni di tre «esperti» che si riuniscono e decidono a porte chiuse, nel nome della «confidenzialità commerciale», ma che di fatto possono influenzare, pesantemente, le legislazioni di Stati sovrani.
Spesso non è nemmeno necessario arrivare a giudizio: la semplice minaccia di una disputa basta a bloccare o indebolire una nuova legislazione. In parte per il costo di tali procedimenti, in parte per il rischio di dovere poi pagare multe che possono arrivare a miliardi di euro, ma anche per un altro aspetto: un governo che dovesse incorrere in diverse dispute dimostrerebbe di essere poco incline agli investimenti internazionali. In un mondo che ha fatto della competitività il proprio faro e che si è lanciato in una corsa verso il fondo in materia ambientale, sociale, fiscale, sui diritti del lavoro pur di attrarre i capitali esteri, l’introduzione di leggi «eccessive» e l’essere citato in giudizio in un Investor-State Dispute Settlement diventano macchie inaccettabili.
O forse, al contrario, è semplicemente inaccettabile un mondo in cui la tutela dei profitti delle imprese ha definitivamente il sopravvento sui diritti delle persone…
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