La storia del Messico moderno pullula di inestimabili figure femminili, e ogni volta che approfondisco le vicende di un certo periodo o, come in questo caso, di una zona lontanissima dall'epicentro dell'emancipazione che fu – ed è tuttora – Città del Messico, cioè la penisola yucateca, emerge qualche donna a cui varrebbe la pena dedicare un libro intero.
Elvia Carrillo Puerto nacque il 6 dicembre 1878 a Motul, una quarantina di chilometri a est di Mérida, figlia di Justiniano e Adela, allora diciannovenne. Il fatto che a quell'età sua madre partorisse per la sesta volta, aiuta a comprendere come fosse stato possibile che Elvia si sposò a soli tredici anni. All'epoca le ragazze – che oggi definiremmo bambine – crescevano in fretta, specie nello Yucatán dove l'infanzia durava poco. Eppure, quello di Elvia e Vicente fu un matrimonio scaturito dall'amore reciproco, non da un'imposizione famigliare.
Prima, Elvia aveva frequentato la scuola distinguendosi per la vivace intelligenza, mentre l'educazione comune imponeva di andare spesso in parrocchia, per il catechismo e la messa. Fin da allora, Elvia e suo fratello Felipe, più grande di quattro anni, erano diventati inseparabili, condividevano piccole complicità quotidiane e passione per le letture. E intanto il destinoportava a Motul, proprio nella loro chiesa, un singolare prete che oggi il Vaticano sicuramente ridurrebbe al silenzio sospendendolo a divinis, ma erano tempi in cui a Roma neanche sapevano dove diamine fosse, lo Yucatán. Padre Serafín García era venuto dalla Catalogna portandosi appresso i testi e le esperienze del pedagogista anarchico Francisco Ferrer, fondatore della Escuela Moderna di Barcellona improntata all'insegnamento razionalista; Ferrer verrà fucilato dai militari spagnoli nel 1909, accusato di aver fomentato una rivolta di diseredati che protestavano contro la leva obbligatoria per le guerre coloniali in Africa. Padre Serafín aveva altri libri con sé: Rousseau, Voltaire, e soprattutto Proudhon e Kropotkin. Insomma, un prete anarchico, che tanto mi ricorda don Andrea Gallo.
Elvia e Felipe non fecero alcuno sforzo per assimilare gli insegnamenti di padre Serafín, perché già dimostravano una viscerale sensibilità nei confronti dei soprusi subiti dalle popolazioni maya, la guerra de castas volgeva al termine e i due precoci figli dei Carrillo Puerto sembravano vivere sulla propria carne le ingiustizie dei reietti. In breve, Elvia e Felipe divennero i discepoli prediletti del prete libertario. Altra fonte di ispirazione sovversiva fu la maestra che toccò in sorte a Elvia: Rita Cetina Gutiérrez, fondatrice della società femminista La Siempreviva, che pubblicava anche una rivista e diede questo nome pure alla sua scuola. Sulle pagine de La Siempreviva si leggevano scritti di Tristán, Harriet Taylor, Susan Anthony, John Stuart Mill, Mary Wollstonecraft, Victoria Woodhull, Robert Owen, e gli argomenti, così “scabrosi” per l'epoca e il luogo, trattavano di controllo delle nascite, aborto, divorzio, malattie veneree, libero amore e, addirittura, scandalosi approfondimenti sulla sessualità femminile, ricchi di ogni dettaglio.
Quando Elvia aveva compiuto dodici anni, ne dimostrava sicuramente di più, e non solo per l'altezza superiore alla media, ma soprattutto per la bellezza adolescenziale che era sbocciata in lei: le descrizioni di quanti la conobbero parlano di un corpo snello e un profilo “aristocratico”, grandi occhi da sognatrice ma capaci di fulminare l'avversario in una discussione sulle passioni che le stavano a cuore... e intanto Elvia cominciava a non sopportare più le mansioni a cui erano dedite la ragazze di “buona famiglia”, come cucire, ricamare, tessere amache secondo l'antica tradizione yucateca, mentre era attratta molto di più dalla musica: con Felipe aveva imparato a suonare il flauto, ed era anche dotata di una bella voce da soprano. L'orchestra del paese l'accolse con entusiasmo, però, a Motul sul finire dell'800, una ragazza che cantasse e suonasse nel chiosco della piazza non si era mai vista. Infatti, Elvia fu la prima: dicono che quella sera un giovane maestro, Vicente Pérez, ascoltandola e ammirandone la grazia con cui si esibiva sul palco, finì per innamorarsene perdutamente. Si conoscevano già, Vicente era anch'egli seguace della pedagogia libertaria di Ferrer, e i due avevano avuto varie occasioni di incontrarsi nelle riunioni parrocchiali di padre Serafín. Anche Elvia provava un'irresistibile attrazione per Vicente. Il padre tentò in tutti i modi di dissuaderla: sposarsi a tredici anni! Che se lo togliesse dalla testa. Ma Elvia aveva già un carattere volitivo, e non arrossì ricorrendo a un argomento decisivo, e allora fu il padre ad arrossire: “Quando voi avete sposato la mamma, lei quanti anni aveva? Tredici. E cosa avete dovuto aspettare? Che la mamma avesse le mestruazioni. Ebbene, io ho avuto le mestruazioni qualche mese fa. Perché aspettare ancora?”
E don Justiniano si rassegnò a ricevere la visita formale di Vicente, che, per altro, le cayó bien, non poteva certo dire nulla contro quel giovane maestro serio e decente, a parte il fatto che aveva circa una decina di anni in più, ma pazienza, la storia in famiglia si ripeteva, ed Elvia al suo fianco sembrava quasi coetanea. Per non parlare poi del determinante appoggio di Felipe, schieratosi con sua sorella insistendo a voler convincere il padre che non doveva ostacolare il loro amore, perché difficilmente avrebbe trovato un genero stimabile quanto Vicente.
Le nozze le celebrò padre Serafín, che non perse l'occasione della chiesa gremita di gente per tenere uno dei suoi sermoni: scusandosi innanzi tutto per non officiare la messa in lingua maya, esortò Elvia e Vicente a lottare insieme, “perché le donne, ancor più degli uomini, possono trasformare il mondo”...
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